
Domenica 13 luglio 2025, nella solennità della dedicazione della basilica di Aquileia, l’arcivescovo Carlo ha presieduto la concelebrazione eucaristica in basilica.
Sicuramente qualcuno di voi era presente ieri sera ad ascoltare l’interessante lectio del card. Cantoni sul legame tra il patriarcato di Aquileia e la diocesi di Como, di cui il cardinale è vescovo. Una lezione di storia, che ci ha ricordato le complesse vicende ecclesiali, sociali e politiche che hanno coinvolto per secoli la realtà di Aquileia, delle Chiese e dei territori che a essa si riferivano, all’interno del più vasto contesto della storia della Chiesa e della sua collocazione in Europa e in Asia. Se dovessimo quest’oggi concentrarsi non più sul patriarcato, ma solo su questa basilica, ci sarebbe spazio per un’altra lectio che coinvolgerebbe non più solo le vicende ecclesiali, sociali e politiche di secoli, ma anche quelle fisiche come distruzioni, incendi, terremoti e, per fortuna, anche ricostruzioni che nel tempo hanno interessato questo edificio di culto.
Partirei però in questo momento di riflessione da una semplice duplice costatazione: la basilica c’è, con tutto il suo splendore e il suo carico di storia, e, costatazione ancora più importante, c’è anche una comunità cristiana che in questa basilica prega. La basilica c’è, non è andata in rovina e, anzi, da più di un secolo esibisce con orgoglio il ritrovato pavimento a mosaico. Ma anche, dobbiamo subito aggiungere non è diventata un museo: è una chiesa parrocchiale, ossia un luogo per la preghiera, la liturgia, le feste, le ricorrenze belle e brutte di una vivace comunità cristiana, che c’è e che abbraccia ora anche Fiumicello. Si deve poi aggiungere che è anche una basilica diocesana, riferita quindi a una comunità cristiana più vasta, ed è anche luogo per celebrazioni molto intense, cariche di fede e di testimonianza che coinvolgono altre Chiese (è molto significativa a questo proposito la scritta nell’affresco dell’abside, che ricorda i nomi dei moltissimi vescovi intervenuti alla consacrazione di questa basilica).
Ringraziamo il Signore per tutto ciò, per avere una splendida basilica che testimonia secoli di fede e di fedeltà al Signore e ancora di più per esserci come comunità che è anche capace, con semplicità e umiltà e con uno spirito di vera accoglienza di aprirsi verso i tanti che per motivi di fede, di arte, di storia ogni giorno varcano il portone di questo edificio, provenendo anche da luoghi molto lontani. Realmente, per usare un’espressione del profeta Isaia che abbiamo ascoltato nella prima lettura, questa è «casa di preghiera per tutti i popoli».
Lo è – ribadisco – non perché c’è anzitutto una bella costruzione, ma perché esiste una comunità, che come edificio voluto dal Signore, è edificata «sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, avendo come pietra d’angolo lo stesso Cristo Gesù», come ricordato dalla seconda lettura. Senza la Chiesa con la “c” maiuscola, lo sappiamo, non hanno senso le chiese intese come edifici sacri. Perché queste sono a servizio della comunità, della sua preghiera, delle sue celebrazioni, ma anche della sua missionarietà.
Dio, lo ha ricordato lo stesso Gesù nel colloquio con la samaritana di cui abbiamo ascoltato uno stralcio nel Vangelo di oggi, non è legato a un luogo, ma alla presenza dello Spirito. Certo i luoghi, gli edifici sacri sono comunque un segno di Dio anche per il non credente, ma Dio non può essere “recintato” in uno spazio, perché è dappertutto, in particolare nel cuore delle persone che si fanno guidare dallo Spirito, coloro che Gesù definisce «adoratori del Padre in Spirito e verità». Chi ha dentro di sé lo Spirito, chi si lascia ispirare da Lui nel vivere la vita di ogni giorno, diventa inevitabilmente, a volte in modo esplicito, altre volte in modo più nascosto presenza e testimonianza di Dio.
Lo dobbiamo essere oggi, nella sua complessità e problematicità. Nessun periodo della storia della Chiesa e dell’umanità è stato semplicemente felice. Ogni epoca ha le sue gioie, ma anche le sue fatiche e le sue difficoltà, come appunto la stessa storia di Aquileia e di questa basilica ci attesta. Ma ciascuno uomo e ciascuna donna ha la responsabilità dell’epoca che vive e della realtà in cui è inserito: pertanto noi oggi e qui siamo chiamati a vivere il Vangelo.
Lo possiamo fare se ci lasciamo guidare dallo Spirito che dentro di noi ci suggerisce come concretamente mettere in pratica l’insegnamento di Gesù. Per quello che posso capire, lo fa suggerendo alcune attenzioni da avere, anche attraverso questa basilica e la sua testimonianza direi fisica. Mi sofferma solo su una di esse, tra le diverse che potremmo ascoltare nel nostro cuore, ossia la riscoperta del senso di Dio e della sua presenza.
Dio esiste ed è il senso della nostra vita come di tutto. Questo edificio può esserci perché Dio c’è. Purtroppo, però, nella nostra vita, nella nostra società occidentale, Dio è sempre più nascosto, sempre più altrove, sempre più estraneo. Ora è vero che Dio non può che essere “aldilà”, non è riducibile ad “aldiquà”, a qualcosa che è della realtà umana, non può essere un riferimento da usare a sproposito pe giustificare, come spesso è successo e succede, persino guerre, lotte, sopraffazioni. Ma Dio non può essere espunto della storia dell’umanità, non può divenire un’ipotesi lontana: chissà se c’è… Sarebbe, per gli uomini e le donne di oggi, come tagliare le proprie radici, interrompere il flusso della loro vita.
Senza però guardare agli altri e alla società nel suo complesso, la domanda può e deve diventare: Dio c’è nella mia vita o no? Certo che c’è, ma ne sono consapevole? E Dio è persona viva, è Padre, Figlio e Spirito: non è un’entità astratta e lontana, ma Qualcuno che mi ama, che è in relazione con me e che sono chiamato ad amare.
Chi di noi non è più molto giovane, forse ricorderà una delle prime domande del catechismo di una volta: “perché Dio ci ha creati?” e la risposta era: «Dio ci ha creato per conoscerlo, amarlo e servirlo in questa vita, e per goderlo poi nell’altra in Paradiso». Una risposta esatta, ma che va completata e resa più aderente al Vangelo, per esempio dicendo che Dio ci ha creati anzitutto perché ci ama, perché ci vuole suoi figli, perché vuole realizzare il suo Regno di giustizia e di amore, perché vuole che ci amiamo (il riferimento al duplice comandamento dell’amore non è esplicitato in questa risposta del catechismo), ecc. E però dice una priorità fondamentale. Ossia il riferimento a Dio.
Una quindicina di anni fa i vescovi italiani hanno pubblicato un bellissimo testo intitolato: Lettera ai cercatori di Dio. Le prime righe si esprimevano così: «Come credenti in Gesù Cristo, animati dal desiderio di far conoscere colui che ha dato senso e speranza alla nostra vita, ci rivolgiamo con rispetto e amicizia a tutti i cercatori di Dio. Li riconosciamo in tanti uomini e donne del nostro tempo, guardando alla situazione di inquietudine diffusa, che non ci sembra possibile ignorare. È un’inquietudine che abbiamo riconosciuta anche in noi stessi e che si esprime nella domanda, presente nel cuore di molti: Dio, chi sei per me? E io chi sono per te?».
Rileggendo queste parole, mi sono domandato: questa lettera potrebbe essere riscritta oggi? Sono molto incerto nella risposta. C’è ancora oggi un’inquietudine nel cuore delle persone? Certamente sì. Ma è legata in qualche modo alla ricerca di Dio? Ossia, ci sono ancora “cercatori di Dio”? Lascio a voi la risposta, perché non vorrei essere troppo pessimista. Però noi cristiani, non dovremmo essere almeno noi dei “cercatori di Dio”, come sono stati coloro che hanno costruito questa basilica e qui hanno pregato, hanno trovato la forza per essere testimoni di Dio talvolta fino a dare la vita?
Potrebbe costituire allora una grazia grande da chiedere per l’intercessione di Maria Assunta, cui questa basilica è dedicata, di san Marco, dei santi martiri e patroni Ermacora e Fortunato, dei martiri e delle martiri di Aquileia, quella di essere realmente cercatori di Dio e per questo testimoni di Dio nel mondo di oggi.
+ vescovo Carlo
(foto Enzo Andrian)