Un’intricata questione si collega al primo vescovo aquileiese sant’Ermagora (più esattamente Ermagòra), indicato, probabilmente già dalla prima metà del secolo sesto, come discepolo di san Marco, dal quale (o da san Pietro, secondo le versioni più o meno tendenziose e interessate) sarebbe stato consacrato vescovo di Aquileia.
Lo stesso Paolo Diacono, friulano-longobardo, riferisce quest’opinione come cosa risaputa e senza ombre di sospetto o di dubbio: segno della relativa antichità della leggenda, certamente anteriore al culto marciano di Venezia, che fu senza dubbio attratto da un «interesse» aquileiese per san Marco stesso.
La chiesa d’Aquileia costruì questa leggenda probabilmente su qualche indicazione vaga offerta dalla stessa figura di Ermagora o dalle tradizioni liturgiche della stessa chiesa aquileiese. La più recente agiografia storicistica e neo-positivistica ha rifiutato troppo drasticamente certe «storie» che invece, a parte talune motivazioni e indicazioni. anche storiche, contengono leggende, le quali sono ricche di contenuti di fede e di rappresentazioni simboliche, talora anche pre-cristiane, costruite dalle chiese con motivazioni valide e serie.
La leggenda dell’ origine marciana della chiesa d’Aquileia divenne ad un certo momento il simbolo della stessa tradizione gloriosa della città, in lotta aperta con l’atteggiamento di Roma rispetto a Giustiniano a proposito della questione dei «Tre capitoli». In altre parole, Aquileia, affermando l’origine apostolica della propria chiesa, attraverso sant’Ermagora e San Marco, sostituiva, indirettamente se non più intenzionalmente, l’autorità di Roma con quella di Alessandria.
Né gli aquileiesi recedettero davanti alla sfida lanciata loro da papa Pelagio (557), che contestò le loro affermazioni in merito all’origine apostolica della loro Chiesa. Il che mostra che realmente allora – e cioè sulla metà del secolo sesto, c’era chi era convinto che l’origine alessandrina e quindi apostolica della chiesa d’Aquileia era soltanto una leggenda. Ma è anche vero che c’era chi nell’origine apostolica credeva, pur senza avere documenti diretti, che del resto nessuno si sarebbe preoccupato di tramandare.
Resta il fatto che anche Ravenna, come Aquileia ma in un clima politico e religioso diverso, trasformò il protovescovo Apollinare in un personaggio dell’età apostolica e quindi usò la leggenda per proclamare un’autorità illegittima e in fine anche l’autocefalia. E Roma, come attorno alla metà del secolo sesto, temendo il distacco o la critica da parte di Aquileia, non esitò a contestare agli aquileiesi le loro affermazioni, così poco dopo si scontrò con Ravenna per l’abuso del palio metropolitico. in ambedue i centri si era dunque già formata l’opinione d’un’origine remota della chiesa. È significativo che anche l’affermazione dei ravennati è riferita da Paolo Diacono al pari di quella degli aquileiesi.
Sommando però tutti gli anni attribuiti ai vescovi precedenti Teodoro, si può giungere a malapena a collocare il vescovado di Ermagora al massimo attorno al 250-270, che dovrebbe corrispondere al momento in cui l’organizzazione ecclesiastica aquileiese assunse una forma definitiva, o, secondo qualcuno, definitivamente ortodossa.
È curioso che nel simbolo aquileiese, tramandatoci da Rufino, rimase una traccia d’una posizione antipatripassiana, propria dell’apologetica della prima metà del secolo terzo: la chiesa aquileiese organizzandosi dunque attorno alla metà del secolo terzo, adottò formule «attuali».
Sergio Tavano