
Mercoledì 1 gennaio 2025 l’arcivescovo Carlo ha presieduto in cattedrale la liturgia eucaristica nella solennità di Maria, Madre di Dio e nella Giornata mondiale della pace.
Iniziamo un nuovo anno che affidiamo alla benedizione del Signore, riprendendo le parole di Aronne: che il Signore ci benedica, ci custodisca, ci faccia grazia, ci rivolga il suo volto d’amore e, soprattutto ci conceda pace.
Da molti anni ormai all’inizio dell’anno domandiamo al Signore il dono della pace e riflettiamo su questa realtà così importante per l’intera umanità anche con l’aiuto del messaggio che da diverso tempo i Papi, che si sono succeduti sul soglio di Pietro, indirizzano alla Chiesa e all’intera umanità (a proposito di questi messaggi ricordo che il calendario proposto dalla diocesi,intitolato “Il Tempo e la Parola”, quest’anno presenta per ogni giorno una frase sulla pace tratta dai testi dei pontefici scelta dai ragazzi delle nostre scuole: un’ottima opportunità per ricordarci quotidianamente il tema della pace).
Vorrei pertanto riprendere un paio di spunti dal messaggio di quest’anno che si intitola “Rimetti a noi i nostri debiti, concedi la tua pace”, senza per altro trascurare la nostra situazione specifica di Gorizia, ricordando che lo scorso anno si è tenuta qui da noi sul confine la marcia nazionale della pace e che quest’anno la nostra città sarà con Nova Gorica capitale europea della cultura.
Del messaggio di papa Francesco mi sembra importante una prima sottolineatura, cioè quella della nostra personale responsabilità verso la pace. Afferma il Santo Padre: «Ciascuno di noi deve sentirsi in qualche modo responsabile della devastazione a cui è sottoposta la nostra casa comune, a partire da quelle azioni che, anche solo indirettamente, alimentano i conflitti che stanno flagellando l’umanità. […] Mi riferisco, in particolare, alle disparità di ogni sorta, al trattamento disumano riservato alle persone migranti, al degrado ambientale, alla confusione colpevolmente generata dalla disinformazione, al rigetto di ogni tipo di dialogo, ai cospicui finanziamenti dell’industria militare. Sono tutti fattori di una concreta minaccia per l’esistenza dell’intera umanità. […] Occorrono […] cambiamenti culturali e strutturali, perché avvenga anche un cambiamento duraturo».Parole molto chiare che interpellano il nostro impegno personale per la pace. Ovviamente i livelli di responsabilità sono molto diversi: un conto la responsabilità verso la pace di noi comuni cittadini, un altro quella di chi governa o ha ruoli di rilievo in ambito economico, finanziario, culturale, sociale.
Dalle parole di papa Francesco, riprenderei quindi due azioni verso la pace che tutti possiamo compiere: la ricerca della corretta informazione e l’impegno per creare una cultura di pace. Le due realtà si intrecciano, perché la corretta informazione deriva da una precisa scelta culturale e a sua volta la cultura si basa anche su un’informazione capace di offrire dati veritieri e tendenzialmente completi.
Anzitutto la corretta informazione. Sappiamo tutti che nelle guerre, ma più in generale nei rapporti internazionali, la cosiddetta propaganda è fondamentale. Una propaganda che spesso nasconde le notizie, le deforma, ne inventa di nuove, impedisce comunque di avvicinarsi alla verità e, soprattutto, presenta idee, slogan, messaggi in grado di mobilitare emozioni spesso negative della gente, soprattutto delle persone più sprovvedute o più giovani.
Sottolineo solo due aspetti su cui dovremmo avere attenzione qui da noi. Il primo è l’occultamento o comunque la non presentazione di notizie importanti sul tema pace e guerra. Un primo esempio è il numero dei conflitti in corso nel mondo: non c’è, purtroppo, solo la guerra in Ucraina e in Medio Oriente. L’ottavo rapporto sui conflitti dimenticati che è stato presentato da Caritas italiana il 9 dicembre scorso ricorda che nel 2023 ben 52 Stati hanno vissuto situazioni di conflitto e che i morti a causa della guerra sono stati più di 170.000. La cosa interessante in quel rapporto, frutto di specifiche ricerche, è aver studiato la presenza delle notizie di guerra nei TG italiani: sono state 3.808, pari all’8,9% di tutte le notizie (42.976), ma il 50,1% si è concentrato sul conflitto israelo-palestinese e il 46,5% sulla guerra in Ucraina, mentre solo il restante 3,4% ha riguardato altri 15 Paesi in guerra. In un anno, sei paesi in guerra non hanno ricevuto alcuna copertura mediatica: Bangladesh, Etiopia, Guatemala, Honduras, Iraq e Kenya.
Un secondo esempio riguarda la spesa militare: si insiste sul fatto che dovrebbe aumentare almeno al 2% del PIL, ma nel 2023 la spesa militare mondiale ha raggiunto i 2.443 miliardi di dollari con un aumento quasi del 7% rispetto all’anno precedente. Dato che viene raramente ricordato dai mezzi di comunicazione, come pure chi siano i destinatari di questi extra-profitti.
Ma la cosa più preoccupante che i mezzi di informazione cercano di far passare nell’opinione pubblica – ed è un secondo aspetto su cui vorrei soffermarmi e collega informazione a cultura – è l’idea che oggi sia necessario riarmarsi e che solo questo può garantire la sicurezza (si ha a volte il pudore almeno di non dire che solo questo può garantire la pace…). Questo è vero? La storia ci dice chiaramente di no. Solo il dialogo; l’attenzione al punto di vista dell’altro; la salvaguardia delle emozioni, delle memorie, dei simboli dei popoli e delle culture; la tutela dei diritti di tutti anche delle minoranze, i faticosi percorsi di riconciliazione e insieme, a livello alto, il rispetto del diritto internazionale, l’osservanza dei trattati di non proliferazione, il perseguimento dei crimini di guerra (non ammazzando i criminali, o presunti tali, ma portandoli davanti a corti internazionali) e così via, solo questo può garantire la pace. E alla fine di ogni guerra, se non si è voluto continuare a restare in una situazione di conflitto potenziale permanente, si è comunque dovuto ricorrere ai mezzi che ho appena descritto.
Lo sappiamo bene noi che siamo su uno dei tanti confini ingiusti derivanti dalla seconda guerra mondiale, confini che qui da noi e in altre parti di Europa sono stati superati e devono continuamente essere superati appunto attuando tutte le possibili azioni di dialogo, di riconciliazione, di rispetto e di collaborazione(e l’essere nell’unica Unione Europea è sicuramente un aspetto decisivo). Da qui l’importanza di vivere in questo 2025 l’esperienza di Gorizia e Nova Gorica, capitale europea della cultura, anzitutto come finalizzata a far crescere la cultura dellapace. L’aumento delle armi, invece, non serve che a spingere a usarle e non garantisce realmente la pace, ma caso mai a creare enormi guadagni a chi le costruisce e le commercia.
A scanso di equivoci preciso che la posizione della Chiesa non è quella di un pacifismo ingenuo, né di una demonizzazione di eserciti e di chi vi lavora e neppure di chi costruisce armi. Nel mondo concreto e non idealizzato in cui ci troviamo le esigenze giuste di difesa e di tutela dei diritti dei deboli hanno bisogno anche di eserciti: le operazioni di peace keeping, quando sono veramente tali, stanno a dimostrarlo. Ma anche l’esercito e tutto ciò che riguarda la difesa dovrebbero essere all’interno di una cultura di pace e lasciarsi guidare da essa nelle scelte e non da altri interessi.
Del resto non dobbiamo mai dimenticare che anche la nostra costituzione italiana (e non solo la dottrina sociale della Chiesa)afferma con chiarezza il principio del ripudio della guerra «come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali» e anzi l’art. 11 arriva persino a dichiarare che l’Italia «consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni» e perciò «promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo».
Concludo riprendendo un auspicio contenuto nel messaggio di papa Francesco. Vuole essere anche il mio augurio: «Che il 2025 sia un anno in cui cresca la pace! Quella pace vera e duratura, che non si ferma ai cavilli dei contratti o ai tavoli dei compromessi umani. Cerchiamo la pace vera, che viene donata da Dio a un cuore disarmato: un cuore che non si impunta a calcolare ciò che è mio e ciò che è tuo; un cuore che scioglie l’egoismo nella prontezza ad andare incontro agli altri; un cuore che non esita a riconoscersi debitore nei confronti di Dio e per questo è pronto a rimettere i debiti che opprimono il prossimo; un cuore che supera lo sconforto per il futuro con la speranza che ogni persona è una risorsa per questo mondo». Auguri. Buon anno. Srečno novo leto. Bon principi dal An.
+ vescovo Carlo