“Servo del Signore pronto alla sua venuta”

Venerdì 7 novembre 2025, l’arcivescovo Carlo ha presieduto nel duomo di S. Adalberto a Cormons le esequie del diacono permanente Renato Nucera.

Penso che un grande regalo che Dio ci ha fatto con la Sacra Scrittura sia stato quello di averci donato le parole giuste per affrontare la nostra vita, soprattutto i momenti più decisivi di essa. Se non avessimo la sua Parola, ci sentiremmo molto in difficoltà davanti al mistero della morte, soprattutto di una persona cara e conosciuta come il diacono Renato. Ci lasceremmo travolgere da sentimenti di sconforto, di dolore, di mestizia. Resteremmo senza risposta e destabilizzati di fronte ai tanti “perché”, che di solito riusciamo a tenere sottotraccia nel nostro cuore quando viviamo la vita di ogni giorno, ma che momenti come la morte di chi ci è vicino, portano prepotentemente in primo piano. La Parola di Dio, invece, nella sua semplice sobrietà e nella sua cristallina verità, mette sulle nostre labbra le parole adatte e nel cuore i sentimenti autentici. Lasciamoci allora guidare da questa Parola che abbiamo ora ascoltato.

La prima lettura, tratta dalla lettera di san Paolo ai Romani, ci indica due aspetti da approfondire mentre ricordiamo la vicenda spirituale di Renato. Anzitutto la sua vocazione che l’apostolo definisce con una significativa espressione: «abbiamo doni diversi secondo la grazia data a ciascuno di noi». Esiste quindi una grazia speciale che è data a ognuno e che si declina secondo i doni ricevuti. Doni che sono definiti come ricevuti, ossia come accolti. Non è detto che il dono sia sempre accolto: possiamo anche non aprire le mani rifiutando il regalo che qualcuno ci sta porgendo, oppure far finta di riceverlo ma poi aprire le mani e lasciarlo cadere. Ma lo si può invece accogliere come una realtà preziosa, un seme raro da seminare nel nostro cuore e far crescere con cura attenta, impegno costante e gioia profonda.

Renato, all’interno della vocazione cristiana che accomuna tutti i battezzati, ha ricevuto il dono della vocazione matrimoniale e poi di quella diaconale. Una vocazione, quella matrimoniale, vissuta con la moglie Daniela e a favore di figli e nipoti, che avrebbe raggiunto tra alcune settimane il traguardo del cinquantesimo di matrimonio. Una vocazione che si è intrecciata in modo armonioso, grazie anche all’intesa con la sua compagna di una vita, con quella diaconale.

Il brano di san Paolo parla esplicitamente di quest’ultima. Occorre però andare al testo originale in greco (l’apostolo scriveva in greco) dove il termine che viene tradotto in italiano con “ministero” («chi ha un ministero attenda al ministero») in greco è “diaconia”. Certo al tempo di Paolo non aveva ancora l’accezione precisa di uno dei gradi del sacramento dell’ordine e però resta vera la sua esortazione che chi comunque ha il dono di una particolare diaconia, di uno specifico ministero a favore della Chiesa, la eserciti davvero. E certamente il diacono Renato lo ha realizzato nel suo servizio in riferimento a una comunità per giovani con dipendenze, presso la comunità di San Valeriano a Gradisca di Isonzo, nella direzione della Caritas diocesana, nella responsabilità verso la Comunità sacerdotale di Gorizia.

Realtà che Renato ha servito con quelle caratteristiche della carità che l’apostolo Paolo descrive nella seconda parte del brano della lettera ai Romani che è stato proclamato. Si tratta del secondo aspetto della vicenda spirituale di Renato a cui sopra accennavo e che pure trova luce dalla Parola di Dio. Una carità sincera e non ipocrita, che rifiuta il male e cerca il bene, che stima gli altri, che vince ogni pigrizia, che apre alla speranza, che è costante anche nelle difficoltà, che si fonda su una preghiera perseverante, che si apre alle necessità delle persone, che garantisce una vera ospitalità.

Renato ha vissuto tutto questo mettendo in gioco la sua forte personalità, che qualche volta poteva creare qualche sconcerto nei suoi interlocutori, ma sempre con molta verità e molto cuore. E sono sicuro che il Signore che, come abbiamo ascoltato nel salmo responsoriale «sa bene di che siamo plasmati» (del resto ci ha creati Lui con le nostre caratteristiche personali…), ha saputo sempre capire più di noi l’animo di Renato, la sua dedizione appassionata agli altri e il suo essere servo del Signore pronto alla sua venuta, servo che il Vangelo definisce beato. Questa prontezza, questo essere sveglio nell’attesa del Signore è stato qualcosa che fino all’ultimo Renato ha vissuto con molta discrezione nei quasi tre anni della sua malattia, ma anche con molta fede e senza trascurare il suo servizio di carità.

Forse venendo meno a questa sua discrezione – ma mi auguro che me lo perdoni… – vorrei a questo proposito fare una confidenza personale. Quando scrivo le lettere pastorali o anche alcune omelie o altri interventi importanti è mia abitudine far girare le bozze di questi testi presso alcune persone, anzitutto i collaboratori più vicini, per raccogliere suggerimenti, integrazioni, correzioni. Così ho fatto anche la scorsa estate facendo circolare una prima bozza della lettera pastorale intitolata alla seconda conversione, una bozza ancora incompleta, perché mancava di quella che sarebbe stata la parte finale dedicata alla terza conversione. Una delle persone che hanno letto quella bozza e che mi hanno fatto avere delle osservazioni è stato il diacono Renato. Ciò che mi ha scritto, pur riferendosi alla bozza, era qualcosa di molto intimo legato alla sua situazione personale di fede. Senza chiedergli il permesso, ho pensato di riprendere alcune sue espressioni nella conclusione della lettera pastorale

Vi leggo il passo: «La “terza conversione” è il momento in cui si è chiamati ad abbandonarsi totalmente alla misericordia di Dio, finalmente a fidarci e ad affidarci a Lui anche quando pur pregando, dubbi, paure, incertezze, mancanza di fede prendono il sopravvento e la domanda diventa “perché, Signore?”. Insomma la terza conversione non è tanto il momento gratificante delle scelte, quanto piuttosto l’abbandono fiducioso nelle mani di un Dio a volte indecifrabile, ma del quale mi fido che faccia le cose giuste per me».

La cosa giusta per Renato che ora chiediamo al Signore è quanto Gesù ha promesso: «Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli». Siamo certi che sarà così per il diacono Renato: ora non sarà più lui a servire il Signore nei poveri, ma sarà il Signore stesso a servirlo nel suo Regno di luce e di pace.

+ vescovo Carlo

condividi su

7 Novembre 2025