Il cammino dei magi

Lunedì 6 gennaio 2025, nella solennità dell’Epifania del Signore, l’arcivescovo Carlo ha presieduto la concelebrazione eucaristica in Cattedrale.

Celebriamo la festa dell’Epifania all’interno di un anno santo da poco iniziato.

Viene spontaneo collegare il motto che ci deve guidare in questo giubileo – “pellegrini di speranza” – con l’esperienza dei magi. Una vicenda molto lontana dalla nostra, eppure anche loro sono stati pellegrini di speranza.

Il Vangelo ci racconta molto poco di loro: li chiama magi, nome che più che indicare dei maghi (la Bibbia, sia l’Antico che il Nuovo Testamento, è molto critica verso maghi, fattucchieri, oroscopi o cose simili…) si riferisce a dei sapienti, probabilmente vicini alla fede del popolo ebraico (qualche esegeta sostiene che fossero degli ebrei) al punto da cercare il Messia. Ma il Vangelo non dice altro oltre all’annotazione che vengono dall’oriente: niente di più. La tradizione della Chiesa, ripresa anche in antiche raffigurazioni come quella sulla facciata della basilica di Betlemme, li ha visti come i primi stranieri che hanno incontrato Gesù. Le altre due letture di quest’oggi vanno in questa direzione, presentando la processione delle genti e dei re verso Gerusalemme, la prima lettura, e sottolineando nella seconda lettura, un passo della lettera di Paolo agli Efesini, che anche le genti, quindi i pagani, sono chiamate a condividere la stessa eredità, la stessa salvezza promessa al popolo dell’alleanza.

I magi sono guidati da una speranza, da un’attesa: che ci sia il “re dei Giudei” e che sia possibile incontrarlo e adorarlo. Il Vangelo non presenta alcuna specifica rivelazione per loro, non c’è un angelo che li inviti ad andare dal Bambino Gesù come è successo ai pastori, la speranza per loro ha solo la luce di un astro: non quella splendente e abbagliante del sole, né quella bianca della luna, ma quella flebile e lontana di una stella. Intuiscono, però, che sia il segno giusto per loro e si mettono in ricerca, diventano pellegrini, appunto pellegrini di speranza. Ma la stella non è sufficiente: devono chiedere notizie, sentire informazioni da chi sa o può sapere, interrogare le Scritture con l’aiuto di chi le conosce e le può interpretare. Ed ecco una Parola per loro, l’oracolo del profeta che indica in Betlemme la loro meta. Riprendono il cammino, rivedono pieni di gioia la stella, arrivano alla casa, incontrano il Bambino, lo adorano, offrono i loro doni e ripartono per un’altra strada senza farsi imbrogliare da Erode.

Un’attesa, una ricerca, una stella, una Parola, un incontro: potremmo sintetizzare così l’esperienza dei Magi. Forse anche quella che dovrebbe essere la nostra in questo anno santo? Penso di sì, pur con gli ovvi adattamenti alla nostra situazione.

Un’attesa. Tutti abbiamo delle attese nel nostro cuore, dovremmo viverle con maggior consapevolezza come cristiani durante il tempo di Avvento, sono comunque sicuro che le abbiamo condivise con gli uomini e le donne di oggi in particolare nell’apertura di un nuovo anno, ma nel nostro cuore ci sono sempre grandi e piccole attese, alcune legate a situazioni contingenti, altre invece sono sempre in sottofondo perché sono quelle fondamentali per la vita: l’attesa della felicità, dell’amore, del senso di tutto.

Una ricerca. Sono attese che ci mettono in cammino, in ricerca o le lasciamo parcheggiate nel fondo del cuore? C’è un’attesa dinamica, ma ci può essere anche un’attesa pigra, bloccata, passiva. Il pellegrinaggio del giubileo, con la sua pregnante ed evidente simbolicità, potrebbe servirci proprio per rimetterci in movimento, per non accontentarci di attese che diventano rassegnazioni e progressivamente si spengono. Cercare che cosa? È una bella domanda che ognuno di noi deve porsi con verità. In ogni caso cercare il Signore, perché è Lui al centro dell’Anno santo, Lui, perché, come afferma papa Francesco nella bolla di indizione, il Giubileo deve «essere un momento di incontro vivo e personale con il Signore Gesù».

Una stella. Penso che per tutti noi la fede non è mai un’esperienza sfolgorante, un sole che splende all’improvviso e neppure qualcosa che illumina l’oscurità come succede in una notte di luna piena. No, di solito è qualcosa di molto ordinario, forse a volte un po’ trascurato, intrecciato con la nostra vita di ogni giorno. Ciò che può però tenere viva la fede è la speranza, le piccole e grande speranze che ci indicano una strada, che ci incoraggiano, che ci sostengono. Come delle stelle che bisogna sapere vedere, spegnendo le luci artificiali che sono nel nostro cuore e ci impediscono di osservarle e aprendo gli occhi attorno a noi. Solo così è possibile riconosce i segni di speranza soprattutto nei gesti di carità e di umanità che ci vengono rivolti e che vediamo attorno a noi: un sorriso, una parola giusta, una mano offerta, un bambino che si apre alla vita, un adulto che prende seriamente le proprie responsabilità, un anziano che non si chiude nella tristezza, ecc. Piccole stelle che ci indicano la strada.

Una Parola. I Magi grazie all’aiuto di altri sapienti hanno avuto la possibilità di conoscere una Parola che li ha guidati verso la meta giusta. Più volte in questi anni ho sottolineato il grande dono che il Signore ha dato alle nostre generazioni dopo il Concilio Vaticano II di poter ascoltare, meditare e pregare con abbondanza la Parola di Dio. Un grande e indimenticabile maestro della Parola, quale è stato il card. Carlo Maria Martini, ha voluto che sulla sua lastra tombale nel Duomo di Milano fosse scritto questo versetto del salmo 118: “lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino”. Davvero la Parola di Dio è la stella che ci guida nel cammino della nostra vita, passo dopo passo.

Un incontro. L’incontro è con Gesù. È anche lo scopo del Giubileo. Un incontro d’amore, di gratuità. Quando si dice che il Signore è il nostro Salvatore si afferma una cosa vera, ma si può correre il rischio di pensare il nostro rapporto con Lui in termini strumentali: ho bisogno di aiuto, c’è il Signore che può aiutarmi, ma una volta risolto il problema Lui non mi serve più. Insomma il rischio di vedere il Signore come un soccorritore, cui giustamente essere riconoscenti, ma non un amico, una persona che ci ama e che amiamo. L’adorazione e i doni dei magi esprimono questo amore non strumentale. Occorre adorare il Signore come si guarda estasiati la persona di cui si è innamorati o il proprio bambino che ci sorride. La preghiera non è anzitutto invocazione, richiesta di aiuto, è prima di tutto sentirsi amati e amanti con il Signore. Un contemplare il suo volto.

Un’attesa, una ricerca, una stella, una Parola, un incontro è stato il cammino dei magi. Che sia anche il nostro cammino in questo anno santo, di noi pellegrini di speranza.

+ vescovo Carlo

condividi su

6 Gennaio 2025