
Nel pomeriggio di domenica 22 giugno 2025, l’arcivescovo Carlo ha presieduto nella chiesa di San Giusto a Gorizia la concelebrazione eucaristica nella solennità del Corpus Domini e la successiva processione che si è conclusa presso l’ospedale civile di Gorizia.
La festa del Corpus Domini è stata pensata come un’occasione per tutta la Chiesa di contemplare il mistero dell’Eucaristia. La processione e l’adorazione dell’Eucaristia evidenziano soprattutto un aspetto di questo mistero ed è la presenza reale di Cristo nel pane e nel vino che diventano il suo Corpo e il suo Sangue (anche se è il solo pane consacrato che viene portato in processione ed è oggetto dell’adorazione). Si tratta di un aspetto del sacramento dell’Eucaristia, messo in crisi in quei secoli in cui è stata introdotta questa festa, e che anche i miracoli eucaristici, oggetto di particolare attenzione da parte del giovane Carlo Acutis presto santo, mettono in luce. Un aspetto importante, ma è solo un elemento del mistero dell’Eucaristia.
L’approfondimento biblico e la riflessione teologica degli ultimi secoli, l’insegnamento del Concilio Vaticano II e dei Sommi Pontefici, la riforma liturgica, la vita del popolo di Dio ci permettono però di riprendere anche altri aspetti fondamentali dell’Eucaristia. Questa sera vorrei soffermarmi solo su uno di questi elementi prendendo spunto dalla seconda lettura, tratta dal cap. 11 della prima lettera ai Corinti. La cosa che molti non sanno è che questo brano è il più antico racconto dell’istituzione dell’Eucaristia avvenuta nella sera dell’ultima cena. La lettera di san Paolo è infatti datata con certezza negli anni 55-56 dopo Cristo, una trentina d’anni dopo gli avvenimenti della passione e della risurrezione. I Vangeli, invece, nella versione che abbiamo, sono stati scritti sicuramente diversi anni più tardi.
Ma c’è un altro aspetto interessante di questo passo ed è il fatto che l’apostolo Paolo non sta facendo una catechesi sull’Eucaristia in cui racconta ciò che è avvenuto nell’ultima cena, così come fanno i catechisti e le catechiste quando intendono spiegare l’Eucaristia ai bambini. No, Paolo non sta facendo catechesi, ma sta intervenendo su una questione molto concreta che creava problemi alla comunità di Corinto.
Si trattava del fatto che l’Eucaristia (chiamata allora “spezzare del pane”) veniva celebrata in quella comunità insieme a un banchetto. Cosa bella se fosse stata l’occasione per una festa condivisa tra tutti. In realtà era invece una situazione di tensione per l’esibizione dei cibi abbondanti e succulenti dei cristiani ricchi contrapposta alla miseria e alla scarsezza di cibo dei cristiani poveri per cui, scrive l’apostolo: «così uno ha fame, l’altro è ubriaco». Paolo rimprovera i cristiani per queste difficoltà e per farlo ritiene che la cosa migliore sia ricordare l’origine dell’Eucaristia, raccontando quanto lui stesso aveva ricevuto «dal Signore», cioè da chi gli aveva testimoniato quanto successo in quella sera in cui lui non era presente (probabilmente era allora solo un adolescente cresciuto alla scuola dei farisei ben lontano anche solo dal pensiero di diventare un apostolo di Gesù). Un racconto che la comunità di Corinto ben conosceva, ma che si dimenticava di osservare trasformando l’Eucaristia da occasione di servizio e di amore, in una realtà di divisione e di disprezzo verso i poveri. Paolo lo ricorda perché vuole che si torni al vero senso dell’Eucaristia che la comunità aveva perso.
Faccio notare due cose: a Corinto l’Eucaristia era una realtà ovvia, anche se si rischiava nella pratica di travisarne il significato, per questo Paolo per correggere gli abusi può richiamarne le origini, che risalgono «nella notte in cui [Gesù] veniva tradito» e che la comunità conosceva. La seconda: potremmo dire che questi abusi sono stati per certi aspetti provvidenziali perché hanno spinto Paolo, senza saperlo, a offrirci una preziosa prima testimonianza circa l’Eucaristia.
All’interno del racconto di Paolo, che ho cercato di inquadrare nella sua importanza, vorrei riprendere solo la finale che non fa parte della narrazione del fatto dell’ultima cena, ma è come un commento dell’apostolo: «Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga». Un commento che la liturgia ha ripreso nell’acclamazione che segue all’annuncio del celebrante: “mistero della fede”. Ci sono tre modi di rispondere, quello più usato, che conosciamo a memoria è: “Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione nell’attesa della tua venuta”. È evidente la somiglianza quasi letterale con la frase di Paolo. C’è solo l’aggiunta della risurrezione, che ovviamente l’apostolo non ignora. Vuole, però, sottolineare che l’Eucaristia si collega anzitutto con la croce, perché è il sacramento del dono di sé che Gesù fa sul Calvario, il sacramento del suo sacrificio per la nostra salvezza.
L’Eucaristia ci mette quindi anzitutto in comunione con la croce del Signore, lo fa, ovviamente perché Lui è risorto (altrimenti l’Eucaristia sarebbe solo il ricordo di un morto) e ci ha donato il suo Spirito che viene invocato in ogni Messa affinché il pane e il vino divengano il Corpo e il Sangue di Cristo. Una comunione con la morte di Cristo, cioè con il suo amore che si dona per noi. Ed è lo stesso amore che siamo chiamati a vivere in attesa della sua venuta, giorno dopo giorno nel cammino della storia. Quando ci sarà la sua venuta, allora ci sarà modo di sperimentare la pienezza della risurrezione e il compimento dell’amore. Finché camminiamo in questa vita, dobbiamo invece accogliere il dono che Gesù fa di sé – e lo facciamo con la celebrazione eucaristica e la comunione con Lui – e vivere a nostra volta questo dono. Alla fine non ci sarà più l’Eucaristia, non ci sarà più la Comunione, perché ci sarà Lui e la nostra piena comunione con Lui. Intanto dobbiamo cibarci in questo cammino della vita dell’Eucaristia. Dobbiamo cibarci di Lui per imparare ad amare come Lui e a portarlo con noi in ogni parte del mondo.
Tra poco faremo la processione eucaristica in particolare passando da due luoghi di sofferenza e di cura come la Villa San Giusto e l’ospedale. Un modo per ricordarci che il Signore c’è e ci deve essere in questi luoghi come pure nelle case, negli uffici, nelle fabbriche, nelle scuole, nei treni, nei bar, nei campi sportivi, insomma in ogni spazio dove si svolge la nostra vita. Ci deve essere – scusatemi non voglio essere blasfemo… – non mettendo delle ostie consacrate in ogni angolo della città, ma con la nostra presenza: siamo invece noi, noi cristiani che ci nutriamo dell’Eucaristia, il Corpo di Cristo, la sua presenza in ogni luogo del mondo. Questa è la nostra missione. La processione è solo un segno di quello che dobbiamo essere, anzi che siamo se ci nutriamo dell’Eucaristia.
Vi auguro di esserlo non solo stasera, ma sempre per la nostra città.
+ vescovo Carlo