
Sabato 21 ottobre, nella festa di S. Orsola, l’arcivescovo Carlo ha presieduto nella chiesa di Sant’Ignazio a Gorizia la liturgia eucaristica nel corso della quale è stato espresso dalla comunità diocesana il ringraziamento alle Suore Orsoline che si apprestano a concludere la loro presenza in città.
Pubblichiamo di seguito l’omelia di mons. Redaelli.
La Parola di Dio di questo pomeriggio si riferisce all’esperienza di Sant’Orsola e delle sue compagne, un’esperienza di martirio. Così la prima lettura ci presenta la visione del destino di gloria di coloro che hanno dato la loro vita per l’Agnello, per Gesù, passando attraverso la grande tribolazione. Il Vangelo, a sua volta, ci parla dell’esperienza del Signore, che Lui stesso interpreta con l’immagine del seme che muore per portare frutto: «In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo, se invece muore, produce molto frutto».
Fin dall’inizio della cristianesimo c’è stata la consapevolezza nella Chiesa che i martiri non sono delle eccezioni, che il martirio non è un incidente di percorso, ma, al contrario, esprime l’essenza stessa della vita cristiana. Perché? Per una specie di gusto insano di farsi del male? Per una ricerca malata di persecuzioni e di fallimenti? Come per dire: peggio va, meglio è…; più gente ci è contro, meglio stiamo; più il Vangelo è rifiutato, più abbiamo raggiunto il nostro scopo… Ovviamente no.
Il martirio è importante perché dice il senso di ogni vita cristiana, anche quella, almeno in apparenza, più tranquilla. E il senso è l’amore, il dono di sé agli altri, persino ai nemici, persino ai persecutori. Gesù perdona chi lo ha crocifisso e lo stesso farà il primo martire Stefano e dopo di lui una moltitudine di martiri, uomini e donne, lungo la storia della Chiesa fino a oggi sapranno perdonare. Il cristiano però non deve necessariamente diventare martire per essere se stesso, ma deve amare e donarsi totalmente. Questo sì. Ogni cristiano e non solo qualche persona eccezionale.
Siamo qui oggi pomeriggio per ringraziare le Suore Orsoline che per secoli, a cominciare dal 1672, sono state una presenza importante per la nostra città. Porto anche il saluto e il ringraziamento dei vescovi sloveni che ho incontrato questa mattina. Un ringraziamento che si vela di malinconia visto che ci stanno lasciando.
Ma che cosa hanno fatto di importante per Gorizia le Madri Orsoline in questi secoli? Certo hanno insegnato a una moltitudine di giovani che via via nascevano e crescevano nella nostra città e nei dintorni. Hanno formato anche molte insegnanti, sono state una preziosa presenza educativa e culturale in molti campi, hanno vissuto con la città i momenti bui della guerra come anche i momenti gioiosi di festa, ecc. In una parola: sono state fino in fondo “goriziane”. Ma alla fine ciò che hanno fatto è averci amato, aver amato questa città, questa diocesi, questa gente. Un amore uguale a quello dei martiri. Un amore che non si è manifestato tutto in un istante, come un fuoco acceso improvvisamente nel momento del martirio, ma un amore che si è speso giorno per giorno con umile e laboriosa dedizione come quella fiammella rossa che arde perennemente nelle chiese indicando la presenza del Signore.
Le Madri Orsoline non sono state martiri, ma hanno amato il Signore e noi, i nostri bambini, le nostre ragazze, i nostri ragazzi, le nostre famiglie giorno dopo giorno. Adesso sembra l’ora se non del martirio, di qualcosa che muore. Pare però che non muoia un seme, ma un albero che ha dato molti frutti e ora sembra inaridirsi. Ciò avviene per causa dell’albero, per causa del terreno o per causa degli agenti atmosferici sfavorevoli? Non importa andare a cercare i motivi di una chiusura, perché in ogni caso questa c’è. Sarebbe bello pensare che non si trattasse di un albero, ma che fosse un seme a morire per risorgere come pianta di nuovo feconda, ma temo sia un’illusione.
Tutto perduto allora? No, l’amore non si perde, non sparisce, non viene meno con il morire delle istituzioni e neppure delle persone. L’amore dura per sempre e mantiene per sempre una sua forza, una sua efficacia, un suo valore. Noi non sappiamo come, ma il Signore lo sa e forse ci darà la grazia di scoprirlo tra non molto tempo.
Concludo ricordando – sperando di non violare l’intimità di una confidenza – quello che più volte mi ha detto la Madre superiora, suor Maria Letizia, mentre si parlava nei nostri incontri del destino ormai sempre più ineluttabile della comunità della Suore Orsoline: “Sia quello che Dio vorrà”. Ma che cosa vuole il Signore? Il nostro bene, la nostra salvezza. Vuole amarci e che a nostra volta amiamo. Lo fa, al di là di quello che vediamo, anche nell’avvenimento che oggi un po’ mestamente ricordiamo.
Ma se è così, in questo pomeriggio deve comunque prevalere il ringraziamento. Un ringraziamento nonostante tutto pieno di gioia e di serenità. Un grazie alle Madri Orsoline e un grazie soprattutto al Signore perché tutto concorre al bene di coloro che sono amati da Lui e amano in suo nome, come hanno fatto le Suore. E l’amore, lo sappiamo, dura per sempre.
† vescovo Carlo