La sera di domenica 2 novembre 2025, nel giorno in cui la Chiesa commemora tutti i defunti, l’arcivescovo Carlo ha presieduto la liturgia eucaristica in cattedrale.
La lettera pastorale che ho scritto per quest’anno pastorale ha come titolo “La seconda conversione” e vuole offrire alcune indicazioni in occasione del Giubileo per un rinnovamento della vita cristiana. In quella lettera, oltre a dare qualche suggerimento per questo salto di qualità nel nostro impegno di credenti – cosa che potrebbe essere la grazia da chiedere in questo anno santo che si sta avviando alla conclusione -, presento a titolo di esempio due ambiti nei quali si dovrebbero vedere gli effetti di una vera conversione. Il primo di essi è la conversione alla giustizia, il secondo la conversione alla speranza.
Proprio in riferimento alla conversione alla speranza cristiana ho dedicato qualche passo della lettera pastorale al tema della risurrezione e del come ricordiamo e preghiamo per i nostri defunti.
Vorrei quindi riprendere e proporre oggi, giornata dedicata proprio alla commemorazione dei fedeli defunti, quanto ho scritto, riferendomi però anche alle letture che sono state proclamate in questa liturgia.
Nella lettera pastorale presento un piccolo episodio che mi è capitato quest’estate in una sala d’attesa in ospedale per una semplice visita dove, mentre appunto attendevo con altri pazienti il mio turno, si è sviluppato uno scambio di battute a partire da una domanda che mi era stata rivolta riguardante il perché non è possibile celebrare le esequie con le sole ceneri del defunto e invece è necessaria la presenza della bara con la salma. Chi me lo chiedeva osservava che se fosse permessa la prima forma, si risparmierebbero tempo e soldi. Ma poi una signora aveva aggiunto che a lei non interessava il funerale e neppure dove andassero a finire le sue ceneri. Un accompagnatore aveva poi parlato delle ceneri di un parente disperse per sua volontà nell’Isonzo. E c’era stato un accenno alle “case del commiato”, che si stanno diffondendo anche da noi.
Tornato a casa dopo la visita ho ripensato a quanto avevo ascoltato in quell’occasione. Discorsi e pareri che erano una conferma di ciò che avevo già sentito da diversi nostri parroci e anche da amici preti di Milano: l’aumento di coloro che non vogliono più nemmeno il funerale per i loro cari (o, al massimo, chiedono una benedizione), la scelta ormai quasi obbligata della cremazione, la privatizzazione del lutto (con le ceneri spesso portate a casa e il venire meno quindi della funzione del cimitero, che è anche continuazione della comunità dove ciascuno prega non solo per i propri parenti, ma anche sulla tomba di chi ha conosciuto), la diluizione della fede nella vita in un generico riferimento naturalistico (appunto come succede con le ceneri sparse in un fiume, nel mare o in un bosco), la celebrazione per così dire all’americana del funerale nelle case del commiato (con discorsi e scenografie che si riferiscono alla vita e agli interessi del morto).
Queste scelte che si stanno diffondendo corrispondono alla fede cristiana nella risurrezione o ne sono una contraddizione? Quanto sono sostenute dalla speranza cristiana nella vita eterna o sono solo segno di un generico ricordo delle persone defunte, ritenute ormai morte per sempre? Ovviamente sono sicuro che voi presenti oggi qui in chiesa per pregare per i vostri defunti avete una fede certa nella risurrezione, sapete che sono vivi nel Signore, avete la speranza che essi siano accolti per sempre presso di Lui e quindi con la vostra preghiera manifestate il vostro amore per loro e sapete che anche loro – i nostri defunti – pregano per noi ancora in vita in questo mondo.
Questi dati di fede però oggi non sono più condivisi, non sono più scontati e dobbiamo stare attenti anche noi cristiani credenti di adeguarci senza troppo pensarci a mode che non sono conformi alla nostra fede. Nella lettera pastorale scrivo a questo proposito: «il come disporre del “dopo” della propria vita terrena e il modo di celebrare il suffragio dei propri cari sono un segno di conversione al Vangelo o di allontanamento da esso. E in questo possono offrire o far mancare una silenziosa testimonianza di speranza».
La fede nella risurrezione e la speranza nella vita eterna vanno nutrite dalla preghiera e dall’ascolto e dalla meditazione della Parola di Dio, come i testi che abbiamo ascoltato oggi. Li riprendo brevemente. Il passo del libro di Giobbe – la prima lettura – esprime la fede di quest’uomo provato dalla malattia e dal lutto verso il Signore: «il mio redentore è vivo» e proprio per questo Giobbe può dire – e vogliamo dirlo anche noi con lui -: «Dopo che questa mia pelle sarà strappata via, senza la mia carne, vedrò Dio. Io lo vedrò, io stesso, i miei occhi lo contempleranno». Una bellissima manifestazione di fede e di speranza: vedere il Signore con i nostri occhi come si vede una persona cara e amica. Anche il salmo responsoriale esprime la stessa convinzione: se il Signore è nostra luce e nostra salvezza, se è difesa della nostra vita, non si può avere né timore, né paura.
Nella seconda lettura – tratta dalla lettera di san Paolo ai Romani – si dice il perché la speranza che noi cristiani abbiamo non finirà in una delusione, ma in una certezza: «La speranza non delude – afferma l’apostolo -, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato». Un amore che è la stessa presenza dello Spirito di Dio nei nostri cuori. Una presenza che ci è stata donata dalla morte e risurrezione di Gesù. Molto bello ciò che Paolo scrive: «Dio dimostra il suo amore per noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi». Un morire che dice la grandezza e la totale gratuità del suo amore. L’apostolo infatti sottolinea che è molto difficile trovare qualcuno disposto a morire per una persona buona, ma Gesù è morto per tutti gli uomini, che non sono certo dei santi (noi compresi…), e così ha dimostrato il suo amore e il suo attuare ciò che vuole Dio Padre.
Una volontà che Gesù stesso ha rivelato. Lo abbiamo ascoltato nel Vangelo di Giovanni. Dopo aver detto che Lui è venuto per compiere la volontà del Padre, aggiunge: «questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno».Come vedete, la Parola di Dio di oggi è molto incoraggiante. Ci spinge ad avere davvero fede e speranza nel Dio della vita, a mantenere questa fede e questa speranza anche con comportamenti che la manifestano anche se non sono più capiti da molta gente, a trovare in questa fede e in questa speranza ciò che sostiene il nostro ricordo e la nostra preghiera per i nostri cari defunti in particolare in questa giornata dedicata a loro.
Che il Signore Risorto rafforzi questa nostra speranza.
+ vescovo Carlo
Al termine del rito, mons. Redaelli è sceso nella cripta della cattedrale, soffermandosi in preghiera dinanzi le sepolture degli arcivescovi di Gorizia.
