Uomini e donne che hanno preso sul serio il Vangelo

Sabato 1° novembre, nella solennità di Tutti i Santi, l’arcivescovo Carlo ha presieduto la liturgia eucaristica nella chiesa di S. Ignazio.

Come immagino molti di voi sanno, ho dedicato quest’anno la lettera pastorale alla “seconda conversione”. L’idea è nata con riferimento al Giubileo di cui stiamo vivendo le ultime settimane. Sicuramente molti dei presenti hanno avuto la possibilità di partecipare a diverse iniziative giubilari, come il pellegrinaggio diocesano a Roma per varcare la porta santa di San Pietro e delle altre tre basiliche, o anche le celebrazioni compiute per decanato nella scorsa primavera o la visita personale a vari santuari e luoghi giubilari.

Il giubileo è chiamato anche “anno santo”, santo non perché un tempo sia necessariamente più santo di un altro, ma perché in questo anno giubilare siamo noi a essere chiamati con più forza dal Signore alla santità.

Si diventa santi se ci si converte: da qui la lettera pastorale che invita alla seconda conversione. Seconda perché la prima conversione o, meglio, l’adesione al Signore è avvenuta per tutti noi con il Battesimo, quando – immagino tutti – eravamo nei primi giorni o nelle prime settimane di vita. Sono certo, poi, che ci siano stati nella vita di ciascuno anche dei passaggi significativi nel cammino personale di fede, piccole e forse grandi conversioni che hanno avvicinato di più al Signore. In ogni caso, l’anno santo è proprio l’occasione propizia per diventare convertirci e diventare santi.

Vorrei soffermarmi su questo proprio oggi in cui abbiamo davanti agli occhi l’esempio di uomini e donne che hanno preso sul serio il Vangelo, anche coloro che non sono stati dichiarati beati e santi dalla Chiesa ma fanno parte di quella moltitudine immensa, di cui ci parla prima lettura, dei salvati dall’Agnello. Riferendomi alla Parola di Dio di oggi, vorrei pertanto offrire qualche suggerimento per una conversione che ci apra alla santità.

Parto dalla seconda lettura che ci ricorda la realtà fondamentale a cui dobbiamo convertirci e cioè che siamo già santi. Forse ricordate che nei primi tempi della Chiesa i cristiani si chiamavano tra di loro “santi”. Non era un’esagerazione, un auspicio, un augurio, ma l’affermazione di una realtà. Essere santi non è altro che essere figli e figlie di Dio e questo lo siamo già. Lo afferma appunto la prima lettera di Giovanni: «Carissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!».

Una prima via di conversione è quindi quella di prendere coscienza di quello che siamo. Non siamo orfani, ma figli e figlie di Dio. Lo siamo, non lo diventeremo perché lo siamo già. Caso mai alla fine verrà rivelato in pienezza quello che già ora siamo: «Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è».

Sapere non in teoria, ma realmente, direi esistenzialmente, che siamo figli e figlie di Dio può cambiare la vita. Ci ricorda infatti molte realtà: anzitutto che siamo amati da sempre e comunque, e poi la nostra personale dignità e anche quella degli altri, e ancora a chi dobbiamo assomigliare, cioè a Dio. San Giovanni infatti afferma nella sua lettera: «Chiunque ha questa speranza in lui, purifica se stesso, come egli è puro».

Non si tratta di purezza legale, ma di quella dell’amore che rifiuta compromessi, ipocrisie e tradimenti. Si tradisce Dio se al suo posto si mettono gli idoli. Il salmo responsoriale si fa a questo proposito una domanda e dà una risposta: «Chi potrà salire il monte del Signore? Chi potrà stare nel suo luogo santo? Chi ha mani innocenti e cuore puro, chi non si rivolge agli idoli». Gli idoli che qui ci interessano non sono certo le statue o statuette che gli archeologi ritrovano o che sono ancora in uso in certe culture (per altro, anche nella nostra cultura occidentale non mancano amuleti, portafortuna o comunque il ricorso a oroscopi, maghi e cose del genere). Si tratta invece di ciò che nella nostra vita prende il posto di Dio: i soldi, il potere, il possesso, l’ambizione, la sensualità, l’alcol, la droga, il gioco, eccetera.

Tutte realtà che si cercano perché non ci si sente realmente figli e figlie di Dio e comunque non si è capaci di trovare in ciò che si è – appunto l’essere figlie e figli di Dio – la fonte della vera felicità. E allora si cerca altrove. Ma si trova la libertà o non piuttosto la schiavitù? (non per niente molte delle realtà citate creano “dipendenza”, che è un nome più elegante per dire “schiavitù”). Si trova la felicità o un effimero piacere che lascia alla fine la bocca amara? Si realizza in pienezza la vita o la si butta via?

Coscienza di quello che siamo, rifiuto degli idoli, ma c’è un terzo elemento importante della conversione che ci viene proposto dal Vangelo delle beatitudini. Vangelo che riguarda appunto la beatitudine ossia la felicità. Il terzo elemento della conversione è quindi la ricerca della vera felicità.

Ma dove si trova? Le indicazioni di Gesù sono in netto contrasto con quelle che ci vengono dalla mentalità comune, che inevitabilmente influenzano anche noi. Da dove viene quindi la felicità? La risposta che ci sembra ovvia è esattamente contraria al Vangelo: la felicità verrebbe dalla ricchezza, dal riso, dalla forza, dall’ingiustizia, dalla durezza, dall’impurità, dalla guerra, da chi non si lascia perseguitare ma piuttosto domina gli altri. Non pare quindi che venga dalla povertà, dal pianto, dalla mitezza, dall’avere fame e sete di giustizia, dalla misericordia, dalla purezza, dall’essere operatori di pace, dall’essere perseguitati per la giustizia e a causa di Gesù. Occorre pertanto una reale e impegnativa conversione per accogliere i criteri del Vangelo e non quelli del mondo, non per dovere, ma per essere felici. E occorre chiederla nella preghiera perché la conversione è sempre anzitutto grazia prima che nostro impegno.

Non è facile convertirsi al Vangelo, perché l’alternativa pare molto più suadente e convincente e contrasta la via che Dio ci propone. Ma del resto per il cristiano non è previsto un destino diverso da quello di Gesù: il Vangelo non è a buon mercato, costa!

Costa talvolta l’opposizione, il subire incomprensioni, il vivere quella che la prima lettura chiama la “grande tribolazione” che spesso è anzitutto dentro di noi. Il Vangelo spesso isola, ci fa sentire emarginati.

Così mi scriveva l’altra settimana una ragazza che stava per ricevere la cresima, con un modo di dire molto diretto: «a volte penso che sia un po’ da sfigati seguire questo percorso perché molte mie amiche le quali mi danno dei consigli non credono nella fede e sull’argomento della cresima mi sento un po’ esclusa». Credere nel Vangelo, essere cristiani può farci sentire esclusi, visti come persone fallite.

Eppure seguire il Vangelo anche quando costa è la strada per la conversione verso la santità. Una strada che, sulla base di quanto la liturgia oggi ci ha proposto, chiede la consapevolezza di ciò che siamo (l’essere figlie e figli di Dio), il rifiuto degli idoli, l’accoglienza dei criteri del Vangelo per la vera felicità, la capacità di resistere alle incomprensioni e alle opposizioni. Tutti elementi che oggi possiamo domandare umilmente al Signore, affidandoci all’intercessione dei santi e delle sante nel giorno della loro festa.

+ vescovo Carlo

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2 Novembre 2025