
L’arcivescovo Carlo ha presieduto nella mattinata di lunedì 22 settembre 2025 nella chiesa di Sant’Ignazio a Gorizia la celebrazione eucaristica con i vescovi della presidenza del Consiglio episcopale permanente della Cei.
Incomincia quest’oggi nella liturgia feriale la lettura del Libro di Esdra. Mi soffermo solo su di esso in questo momento di riflessione. Per sé la sua lettura termina solo dopo due giorni: un breve passaggio! Non c’è traccia di questo libro nella liturgia festiva e nei libri liturgici in genere, se non nel solo Benedizionale, dove viene proposto il passo odierno nel contesto della “benedizione dei profughi e degli esuli”. Interessante la monizione che precede la benedizione e ne dà una chiave di lettura cristiana: “Fratelli e sorelle, disponiamoci a ricevere la benedizione del Padre, nel nome del suo Figlio fatto uomo, che si identifica in ogni straniero e pellegrino. In questo momento voi siete alla ricerca di una patria, di un lavoro, di una casa per voi e per la vostra famiglia. Dio, che è rifugio degli esiliati, non vi abbandonerà e darà consistenza alle vostre legittime aspirazioni di giustizia e di pace”. Ed è pure significativa la conclusione della benedizione: “Padre rimargina le ferite, ripara le offese, restituisci la dignità conculcata, e fa’ in un domani non lontano i fratelli dispersi possano ritornare alla terra in cui sono le loro radici perché hai dato agli uomini uno statuto di libertà, che nessuna potenza terrena potrà mai cancellare”.
Oggi come 2500 anni fa, i profughi, gli esiliati, le persone mandate via dalla loro casa e dalla loro patria ci sono ancora. Le tremende e strazianti immagini che vediamo alla televisione della cacciata dei palestinesi da Gaza, ne sono una testimonianza molto forte. Ma da sempre ci sono persone e spesso intere popolazioni costrette, soprattutto a causa delle guerre e delle loro conseguenze, a lasciare tutto e ad andare esuli. Questo territorio ha ben presente e ricorda ancora gli esuli istriani, circa 350.000, italiani che abitavano sulle coste dell’Adriatico in Istria e Dalmazia, che hanno lasciato la loro terra negli anni successivi alla seconda guerra mondiale con il riassetto dei confini e le violenze e le turbolenze di quel tempo. Ma in quegli anni tutta l’Europa ha visto trasmigrazioni di popolazioni intere (come i tedeschi, forse tra i 12 e i 16 milioni).
La Bibbia, quindi, non dice nulla di nuovo, se non rivelare ciò che fa parte della tragica esperienza umana. Ma aver scelto questa lettura per la benedizione di chi è cacciato dalla sua terra è sicuramente un segno di speranza: c’è l’esilio, ma almeno qualche volta c’è un ritorno e, in ogni caso Dio assicura a tutti “uno statuto di libertà”, che nessuna potenza terrena potrà mai cancellare: quello di essere figli e figlie di Dio, amati nonostante tutto faccia apparire il contrario. Molto bello il passo di Ezechiele, letto qualche giorno fa nell’ufficio delle letture, dove Dio dice a proposito degli esuli: «Se li ho mandati lontano fra le genti, se li ho dispersi in terre straniere, sarò per loro un santuario per poco tempo nelle terre dove hanno emigrato». Anche se sono lontani dal tempio di Gerusalemme, che verrà distrutto, Dio è comunque il loro santuario.
Una seconda riflessione ci viene suggerita dall’inizio del libro di Esdra. In esso si fa riferimento all’editto di Ciro, re di Persia, dell’anno 538, che modificava radicalmente la politica dei precedenti dominatori, i babilonesi: non più il trasferimento delle popolazioni conquistate in luoghi lontani dell’impero, ma il ritorno in patria degli esuli, da trasformare in sudditi riconoscenti. Se si osservano nel loro insieme le vicende del popolo di Israele, ci si rende conto di quanto sia stata decisiva la sua collocazione territoriale in mezzo a due grandi imperi: a sud e a ovest l’Egitto con le varie dinastie dei faraoni, a est e a nord prima gli Assiri, poi i Babilonesi e quindi i Persiani (e in seguito, da ambo le parti i regni nati dell’impero di Alessandro Magno). Eppure quelle vicende di secoli, con Israele che cercava di barcamenarsi tra le super potenze di allora (spesso sbagliando le alleanze), sono storia di salvezza: Dio agisce dentro la storia, anche servendosi della libertà e della responsabilità dei potenti di turno.
Oggi siamo in una preoccupante transizione della configurazione geopolitica del mondo: non sappiamo come andrà a finire e speriamo che si giunga presto a nuovi assetti internazionali che non nascano – come praticamente sempre è successo – da guerre e rivoluzioni. Eppure dobbiamo avere la convinzione che il filo rosso della storia della salvezza non si è spezzato, né si spezzerà e che è intrecciato – spesso in modo invisibile – dentro le vicende della storia. Il seme del Regno è stato gettato dalla Pasqua di Cristo e comunque crescerà e porterà frutto.
Possiamo ricavare una terza considerazione dal libro di Esdra e da quello che potremmo chiamare il suo gemello, il libro di Neemia. Ed è l’idea che il popolo tornato dall’esilio debba essere un popolo “puro”: da qui l’imposizione dello scioglimento dei matrimoni misti (ebrei con donne straniere) di cui parla il libro di Esdra nel cap. 10 e quello di Neemia al cap. 13. Come vedete, il nazionalismo e l’epurazione, più religiosa che etnica (o comunque spiegata da motivi religiosi), è presente nella stessa Bibbia. Ed è stata purtroppo attiva anche in questo territorio con esiti tragici, come sono anche quelli in tante situazioni di oggi.
La questione della convivenza di più culture e di più identità non è comunque facile. Sembra che la soluzione più semplice sia separare rigorosamente etnie (o presunte tali) o anche religioni l’una dalle altre per garantire la purezza e la continuità di tradizioni identitarie. O, al contrario, cancellare ogni tradizione e mescolare tutto in una globalizzazione uniforme. Invece la strada giusta è quella di garantire la continuità e l’individualità delle varie tradizioni culturali e anche religiose, ma in termini dinamici, ossia di reciproco arricchimento verso una nuova identità.L’esempio di Gorizia può essere significativo, perché qui pur con inevitabili limiti e tensioni, da secoli convivono persone di lingua e cultura italiana e friulana e slovena, che però non restano separate, ma da sempre si intrecciano nelle famiglie, spesso miste,e nelle relazioni (o anche nella scuola: il 30% degli alunni delle scuole italiane con lingua slovena sono di famiglie italiane) dando origine a un’identità originale, quella appunto goriziana, talvolta con la prevalenza dell’una o dell’altra lingua in modo alternato, magari contemporaneamente in ambiti diversi (si parla per esempio sloveno o friulano in casa e italiano fuori).
Anche l’accoglienza e l’integrazione di chi da fuori viene a lavorare e ad abitare qui non può che essere dinamica nel tempo dando origine sempre a nuove sintesi: l’alternativa è la ghettizzazione degli stranieri e la chiusura in una specie di fortino degli italiani. La fede cristiana può costituire una grande spinta per questa integrazione dinamica. San Paolo, in diverse sue lettere,ci assicura che non siamo più ai tempi di Esdra e Neemia e che il muro di separazione è stato abbattuto e che in Cristo non c’è più né schiavo, né libero, né uomo né donna, né giudeo, né pagano, né cittadino né straniero.
Come ci assicura la Fratelli tutti, questo vale non solo per chi è cristiano, ma per ogni uomo e ogni donna nelle varie religioni: «Le diverse religioni, a partire dal riconoscimento del valore di ogni persona umana come creatura chiamata ad essere figlio o figlia di Dio, offrono un prezioso apporto per la costruzione della fraternità e per la difesa della giustizia nella società» (n. 271) affermava papa Francesco. E ancora scriveva: «le cose che abbiamo in comune sono così tante e importanti che è possibile individuare una via di convivenza serena, ordinata e pacifica, nell’accoglienza delle differenze e nella gioia di essere fratelli perché figli di un unico Dio» (n. 279).
Un mio professore di Sacra Scrittura, l’attuale card. Ravasi, ci diceva sempre: “ragazzi, nella Bibbia c’è tutto”. Sì, è vero. C’è tutta l’umanità con la sua storia, i suoi progressi e i suoi limiti e persino i suoi tragici fallimenti. Ma è comunque storia di salvezza che trova il suo centro in Cristo. Per questo quelle antiche pagine ci possono aiutare a comprendere le vicende di oggi e a non perdere mai, nonostante tutto, la speranza.
+ vescovo Carlo
(foto Ilaria Tassini)