L’inizio del nuovo anno avviene dentro le feste di Natale. C’è quasi un parallelo tra la nascita di Cristo e la nascita di un nuovo anno, tra l’inizio del tempo della salvezza e l’inizio di un anno. Un parallelo che ormai da molti anni si incentra sul tema della pace, quella pace che gli angeli hanno invocato sulla terra cantando nel cielo di Betlemme: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama» (Lc 2,14).
Quest’anno è la 52° giornata mondiale della pace, proposta dal papa alla Chiesa e all’intera umanità, una tradizione iniziata da papa Paolo VI, continuata da papa Giovanni Paolo II, poi da papa Benedetto XVI e ora da papa Francesco. In questi anni i Sommi Pontefici non si sono limitati a invitare tutti a pregare e a impegnarsi per la pace, ma hanno dato, attraverso i propri messaggi, delle precise e concrete indicazioni per un cammino realistico di pace. Anche solo scorrendone i titoli si intuisce che da essi è possibile ricavare quasi un manuale della pace. Cito solo i titoli dei messaggi di papa Francesco: “Fraternità, fondamento e via per la pace” (2014); “Non più schiavi, ma fratelli” (2015); “Vinci l’indifferenza e conquista la pace” (2016); “La nonviolenza: stile di una politica per la pace” (2017); “Migranti e rifugiati: uomini e donne in cerca di pace” (2018).
L’intervento di quest’anno ha come titolo: “La buona politica è al servizio della pace”. La politica, quindi, collegata alla pace. Siamo in un epoca in cui la politica non offre certamente una buona immagine, sia quella data da sé, sia quella rilanciata e spesso amplificata, negli aspetti negativi e discutibili, dai media.
Eppure in ambito ecclesiale si cita spesso la frase «la politica è la più alta forma di carità», attribuita a Paolo VI, che però non l’ha però mai pronunciata, mentre in realtà è stata utilizzata per la prima volta da papa Pio XI nel 1927 in un discorso rivolto ai giovani della FUCI. Per la precisione papa Pio XI diceva in quella occasione: «Tutti i cristiani sono obbligati ad impegnarsi politicamente. La politica è la forma più alta di carità, seconda sola alla carità religiosa verso Dio». Parole molto forti, che esprimono una concezione alta della politica, come reale e concreto servizio al bene comune.
Oggi, invece, la politica sembra molto lontano dalla carità e non pare essere una vocazione o anche solo un possibile impegno da proporre ai giovani. Non è questa la sede per approfondire o anche solo per elencare i motivi che hanno portato a questa situazione. Accenno solo al venir meno della consapevolezza di alcuni elementari principi che reggono il vivere comune e l’organizzazione sociale. Ne cito uno, a mo’ di esempio: si è dimenticato che chi ha un compito istituzionale (sindaco, presidente di regione, capo di governo, ecc.) ha un ruolo verso tutti. Ciò significa che deve prendersi cura del bene comune e di tutti cittadini e non solo di chi lo ha votato (un prendersi cura che partirà dalla visione della società propria della sua parte politica, ma che dovrà aprirsi e dialogare con le altre visioni sociali). E viceversa i cittadini sono tenuti a vedere in chi è investito di un compito amministrativo e di governo non l’amico o l’avversario politico, ma il rappresentante di un’istituzione che merita comunque rispetto.
Forse qualche responsabilità è anche della realtà ecclesiale che negli ultimi decenni ha rinunciato a fare formazione sistematica all’impegno socio-politico alla luce della dottrina sociale cristiana, non ha incoraggiato i credenti a impegnarsi in questo e, infine, spesso non ha sostenuto se non talvolta isolato chi aveva scelto nonostante tutto di tentare la via di questo servizio alla società.
Resta però il fatto, al di là del momento attuale così depressivo circa la politica, che essa ha comunque in sé un’ambivalenza, se non un’ambiguità. Papa Francesco nel suo messaggio, che vi invito a leggere, ha consapevolezza di questo e lo evidenzia proprio nel rapporto tra politica e servizio alla società e alla pace. Dice infatti: «La politica è un veicolo fondamentale per costruire la cittadinanza e le opere dell’uomo, ma quando, da coloro che la esercitano, non è vissuta come servizio alla collettività umana, può diventare strumento di oppressione, di emarginazione e persino di distruzione».
Esplicitando questa ambivalenza, papa Francesco elenca le virtù «che soggiacciono al buon agire politico: la giustizia, l’equità, il rispetto reciproco, la sincerità, l’onestà, la fedeltà». Ma enumera anche i vizi della politica e, purtroppo, l’elenco risulta inevitabilmente più lungo: «la corruzione – nelle sue molteplici forme di appropriazione indebita dei beni pubblici o di strumentalizzazione delle persone –, la negazione del diritto, il non rispetto delle regole comunitarie, l’arricchimento illegale, la giustificazione del potere mediante la forza o col pretesto arbitrario della “ragion di Stato”, la tendenza a perpetuarsi nel potere, la xenofobia e il razzismo, il rifiuto di prendersi cura della Terra, lo sfruttamento illimitato delle risorse naturali in ragione del profitto immediato, il disprezzo di coloro che sono stati costretti all’esilio».
Ma che cosa può fare in positivo la buona politica per la pace? Secondo papa Bergoglio un suo primo impegno è quello di promuovere «la partecipazione dei giovani e la fiducia nell’altro». Ciò avviene – sono parole del papa – «Quando la politica si traduce, in concreto, nell’incoraggiamento dei giovani talenti e delle vocazioni che chiedono di realizzarsi, la pace si diffonde nelle coscienze e sui volti. Diventa una fiducia dinamica, che vuol dire “io mi fido di te e credo con te” nella possibilità di lavorare insieme per il bene comune».
Un secondo impegno è dire «no alla guerra e alla strategia della paura», perché «la pace non può mai ridursi al solo equilibrio delle forze e della paura». In tale contesto papa Francesco parla anche del rispetto verso ogni persona, migranti e poveri compresi («Non sono sostenibili i discorsi politici che tendono ad accusare i migranti di tutti i mali e a privare i poveri della speranza», sono le sue parole), e di un’attenzione speciale verso i bambini: «Il nostro pensiero va, inoltre, in modo particolare ai bambini che vivono nelle attuali zone di conflitto, e a tutti coloro che si impegnano affinché le loro vite e i loro diritti siano protetti. Nel mondo, un bambino su sei è colpito dalla violenza della guerra o dalle sue conseguenze, quando non è arruolato per diventare egli stesso soldato o ostaggio dei gruppi armati».
La conclusione del messaggio propone di vedere la pace come «frutto di un grande progetto politico che si fonda sulla responsabilità reciproca e sull’interdipendenza degli esseri umani». Ma la pace è anche una sfida che chiede di essere accolta giorno dopo giorno in una triplice dimensione da parte di tutti: «la pace con sé stessi, rifiutando l’intransigenza, la collera e l’impazienza e, come consigliava San Francesco di Sales, esercitando “un po’ di dolcezza verso sé stessi”, per offrire “un po’ di dolcezza agli altri”; la pace con l’altro: il familiare, l’amico, lo straniero, il povero, il sofferente…; osando l’incontro e ascoltando il messaggio che porta con sé; la pace con il creato, riscoprendo la grandezza del dono di Dio e la parte di responsabilità che spetta a ciascuno di noi, come abitante del mondo, cittadino e attore dell’avvenire».
Come si può notare sono impegni che riguardano ciascuno di noi e non solo i politici. Chiediamo che il Bambino di Betlemme, con l’intercessione materna di Maria madre di Dio e madre nostra, ci aiuti nel nuovo anno a vivere tutti, ciascuno secondo le proprie responsabilità, un vero impegno per la pace.
+ vescovo Carlo