Ogni volta che si ascolta il Vangelo della Passione nascono in noi emozioni, sensazioni, riflessioni, preghiere sempre nuove. Si resta colpiti da una frase piuttosto che da un’altra, da un avvenimento o da un altro, a volte per motivi del tutto occasionali. Oggi, per esempio, mi sono giunti gli auguri della Caritas di Bolzano con riportato in tre lingue, tedesco, ladino e italiano, l’episodio di Maria sotto la croce: «Bei dem Kreuz Jesu standen seine Mutter und die Schwester seiner Mutter…»; «Daujin dala crëusc de Gejù fova si oma y la sor de si oma…»; «Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre…» (potremmo qui da noi dire la stessa frase in sloveno: «Poleg Jezusovega križa pa so stale njegova mati…» o in friulano: «Donje de crôs di Gjesù a jerin sô mari…»).
Gli auguri ricevuti mi hanno spinto a meditare proprio quell’episodio. Vorrei oggi soffermarmi qualche momento con voi su questo stare di Maria presso la croce. Uno stare che ha avuto una interpretazione poetica, ha fatto nascere una preghiera che tutti conosciamo: lo Stabat mater. Un inno che, tra l’altro, ha ispirato moltissimi artisti, in particolare grandi musicisti.
Ma oggi vorrei invitarvi a immaginarvi davvero con Maria, le donne e Giovanni sotto la croce… In silenzio.
Siamo con te, Maria, Madre dolorosa. Oggi dalla croce diventi nostra madre e noi diventiamo tuoi figli. Vogliamo stare con te sotto la croce. In realtà la croce ci spaventa e vorremmo scappare piuttosto che restare. Ma la croce nonostante tutto ci affascina. Dobbiamo allora stare, in silenzio. Del resto la nostra esperienza umana ci dice quanto è importante stare e stare in silenzio in certi momenti e come è eloquente allora il silenzio. Molti di noi hanno provato ad assistere una persona cara, un amico morente: si resta lì seduti, in silenzio, magari vegliando tutta la notte, cercando di percepire il respiro affannoso, i lamenti, … non si dice niente e non si fa niente (se non forse inumidire di quando in quando le labbra di chi è in agonia). Però si è lì. E si ama.
Che cosa fai Tu, o Madre, sotto la croce se non amare? Amare tuo Figlio nel dramma del dolore e della sofferenza più aspra, che loStabat mater canta: «La Madre addolorata stava in lacrime presso la Croce su cui pendeva il Figlio. E il suo animo gemente, contristato e dolente era trafitto da una spada. Oh, quanto triste e afflitta fu la benedetta Madre dell’Unigenito! Come si rattristava, si doleva la Pia Madre vedendo le pene del celebre Figlio!».
Quell’inno medievale ti chiede di renderci partecipi del tuo dolore, della spada che ti trafigge il cuore, del dolore del tuo Figlio. Ma a noi, uomini e donne del XXI secolo, è più facile interpretare in modo diverso la spada confitta nel tuo cuore, quella spada oscura annunciata da Simeone a te giovane mamma, fiera e gioiosa del bimbo neonato che portavi al tempio (e il tuo volto si era rabbuiato pensando a quel bimbo che l’anziano Simeone profetizzava sarebbe diventato “segno di contraddizione”). Noi la pensiamo come la spada oscura della prova di fede. Già gli antichi padri della Chiesa lo avevano intuito. Perché anche per te la fede non è stata subito visione e chiarezza, ma cammino faticoso verso la luce, un cammino che esigeva silenzio e meditazione come più volte l’evangelista Luca sottolinea.
No, non sei una superdonna, non sei fuori dalla nostra umanità, sei una di noi. Il fatto di essere stata redenta dal peccato fin dal primo istante della tua vita, grazie alla croce di Cristo, non ti ha reso meno libera, meno uguale a noi. Se dello stesso Gesù la lettera agli Ebrei afferma – lo abbiamo ascoltato nella seconda lettura – che «è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato» (Ebrei 4, 15), anche tu devi essere stata messa alla prova. E come Gesù, che – come dice lo stesso testo sacro – «proprio per essere stato messo alla prova e avere sofferto personalmente, è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova» (Ebrei 2,18), così anche tu puoi sostenerci con la tua intercessione.
Stiamo con te sotto la croce, con le nostre sofferenze, le nostre oscurità, i nostri dubbi. Eppure non ce ne andiamo. Contempliamo nel crocifisso non uno dei tanti sconfitti della storia, uno dei tanti umiliati, uno dei tanti schiacciati a morte, ma il Figlio di Dio che si è immerso nelle nostre tenebre, nel nostro male, nel nostro peccato per trasformare con il suo amore tutto ciò – il massimo male – nel massimo bene. Ti vogliamo allora domandare con l’antico inno anche di soffrire con Cristo, ma soprattutto di amare con Lui: «Fa’ che il mio cuore arda nell’amare Cristo Dio». Ti chiediamo che la croce si trasformi da oscuro strumento di morte a vessillo glorioso di vittoria sul male e sulla morte e sia la nostra protezione: «Fa’ che io sia protetto dalla Croce, che io sia fortificato dalla morte di Cristo, consolato dalla grazia».
Siamo qui in silenzio sotto la croce. L’unico che parla però è Gesù che ti affida a noi, nella persona del discepolo che egli amava, e ci affida a te come madre. Un duplice affidamento a partire dalla croce. Tu sei affidata alla Chiesa, di cui sei parte, e noi siamo affidati a te. Insieme andiamo allora verso la Pasqua passando dalla prova della croce, dall’oscurità del sepolcro per arrivare alla luce sfolgorante della risurrezione. Con la tua intercessione di madre.
† Vescovo Carlo