Chi ha paura degli angeli? Lo ripeto: c’è qualcuno tra i presenti che ha paura degli angeli? Penso nessuno. Non ne ha paura ovviamente chi pensa che gli angeli siano improbabili creature di fantasia, sfavillanti immagini poetiche, colorate espressioni artistiche, ingenue e fragili raffigurazioni di una infanzia lontana. Ma anche chi crede all’esistenza degli angeli può stupirsi della mia domanda: al massimo si può avere paura dei diavoli, non certo degli angeli…
Se andiamo però a rileggere le prime pagine del Vangelo di Luca che ci presentano la nascita di Gesù scopriamo due cose: che sono piene di angeli e che la loro apparizione suscita turbamento e timore, per cui per prima cosa devono invitare a non temere.
Questo avviene già al momento della annunciazione. Quando l’angelo Gabriele appare a Maria e la saluta: «Rallegrati, piena di grazia: il Signore è con te», l’evangelista Luca sottolinea: «A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo» e aggiunge: «L’angelo le disse: “Non temere, Maria”» (Lc 1,28-30).
La stessa cosa era già successa con l’annuncio da parte del medesimo angelo a Zaccaria, annuncio che riguardava la nascita del figlio tanto sperato e ormai non più atteso: «Apparve a lui [Zaccaria] un angelo del Signore, ritto alla destra dell’altare dell’incenso. Quando lo vide, Zaccaria si turbò e fu preso da timore. Ma l’angelo gli disse: “Non temere, Zaccaria”» (Lc 1,11-13).
Infine la pagina che poco fa è stata proclamata, l’annuncio ai pastori: «Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, ma l’angelo disse loro: “Non temete”» (Lc 2,9-10).
Perché si teme davanti agli angeli, perché si è presi da turbamento anche quando vengono ad annunciare qualcosa che riempie il cuore di gioia e di speranza – «ecco, vi annuncio una grande gioia» dice infatti l’angelo ai pastori -? Forse perché ci aprono a una dimensione di trascendenza che è nostra, ma da cui spesso ci difendiamo cercando di rinchiudere l’orizzonte del nostro esistere in quello che si vede, si tocca, si sperimenta. O anche perché portano una luce splendente davanti alla quale ci sentiamo a disagio, perché illumina – ci sembra in modo inesorabile – anche gli angoli oscuri della nostra persona, della nostra vita. Per questo abbiamo paura degli angeli.
Ma… di un bambino? C’è qualcuno che ha paura di un bambino, di un neonato? Sicuramente nessuno. Un bambino suscita sentimenti di tenerezza, di dolcezza, di affetto. Anche perché cosa può farti un bambino piccolo? Forse solo darti fastidio con il suo pianto e nulla più. Se per caso poi – non sia mai… – sei un re preso da pazzie sanguinarie e da allucinazioni di potere come Erode, non è comunque difficile sbarazzarsi di un bambino, soprattutto se di una famiglia povera e insignificante.
E se quel bambino diventato grande è un uomo «mite e umile di cuore» (Mt 11,29), se si fa servo di tutti, se come uno schiavo si mette a lavare i piedi sporchi e incalliti di pescatori, se permette che la folla che lo cerca rischi di travolgerlo e schiacciarlo, se persino si lascia vendere come uno schiavo per soli 30 denari, se non oppone resistenza a chi lo inchioda a una croce e non risponde a chi lo insulta invitandolo ironicamente a salvarsi…: chi può avere paura di quell’uomo? Nessuno.
Ma allora domandiamoci: perché Dio non si è fatto angelo, un angelo che incuta timore e rispetto, un angelo del giudizio, un angelo della lotta come Michele che sconfigge il drago e i suoi angeli (cf Ap 12,7-9)? Non avrebbe così risolto per sempre il problema del male spaventando a morte ed eliminando i cattivi e incutendo un po’ di sano e rispettoso timore nei buoni? Perché si è fatto invece bambino inerme, povero, nato da immigrato in un paese insignificante nella turbolenta periferia dell’impero? Perché si è fatto uomo e si è messo in balia delle nostre mani fino al punto da essere condannato e ucciso come uno schiavo?
Sono domande a cui ciascuno di noi deve trovare una risposta personale. Da parte mia ne indico due: anzitutto per rispettare la nostra libertà e poi per svelarci la dignità di ogni uomo, di ogni donna e, prima ancora, di ogni bambino qualunque sia la situazione in cui si trova.
Parto da questa seconda motivazione che spiega il perché Dio si sia fatto bambino, sia diventato uomo. Semplicemente per ricordarci che tutti siamo stati creati a immagine e somiglianza di Dio, che tutti siamo chiamati a essere suoi figli. Tutti: grandi e piccoli, poveri e ricchi, potenti e disprezzati, onesti e corrotti, uomini e donne di pace e uomini e donne di terrore e di odio. Lui si è fatto uno di noi, debole, povero, servo, crocifisso tra malfattori per dire che ognuno di noi ha dentro di sé l’immagine di Dio, un’immagine che niente di esterno o di interno – fosse anche la più grande malvagità – può cancellare.
Ma poi Dio si è fatto bambino per rispettare la nostra libertà. Poteva imporci la sua onnipotenza e sistemare ogni cosa con una sola parola. Gesù – ricordate? – fa presente questa possibilità all’apostolo che nell’orto degli ulivi ferisce con la spada uno dei servi del sommo sacerdote che sta catturando Gesù: «Non credi che io possa pregare il Padre mio, che metterebbe subito a mia disposizione più di dodici legioni di angeli?» (Mt 26,53). Ma le legioni in soccorso di Gesù non arrivano e Lui si fa catturare e trascinare alla condanna.
Dio non forza la nostra libertà né in bene (salvandoci a prescindere dalla nostra volontà), né in male (condannandoci), ma ci lascia scegliere. Comprendiamo allora perché l’angelo dice ai pastori che il «bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia» è un segno: segno della volontà di Dio, del suo modo di amarci, del suo modo di salvarci. Un semplice segno, non l’evidenza assoluta.
Davanti a questo segno, davanti a un bambino in una mangiatoia, un bambino nato in una famiglia lontana dal proprio paese e accampata alla meno peggio, un bambino che non ha attorno se non qualche pastore, di fronte a questo bambino e non a un angelo sfolgorante dobbiamo prendere posizione. Lo riconosciamo finalmente come nostro Salvatore? Se sì, allora stanotte può cambiare tutto nella nostra vita.
+ Vescovo Carlo