Preparandomi a questa celebrazione sono andato a cercare il messaggio che tradizionalmente i Vescovi italiani pubblicano in occasione della Giornata del Ringraziamento. Prima ancora di averlo letto, ho pensato che i colleghi vescovi della commissione episcopale che si occupa del mondo del lavoro avrebbero senz’altro fatto almeno un accenno alla circostanza che siamo nell’anno della fede.
Così è stato, con un collegamento interessante con il mondo agricolo. Vi leggo quanto hanno scritto: «È l’Anno della Fede, da cogliere nei gesti stessi del lavoro dei campi. Che cosa sono infatti le mani dell’agricoltore, aperte a seminare con larghezza, se non mani di fede? Non è forse la fede nella gioia di un raccolto abbondante, solo intravisto, a guidare le sue mani nella necessaria potatura, dolorosa ma vitale? E quando il corpo si piega per la fatica, che cosa lo sorregge e ne asciuga il sudore se non questa visione di fede, che allarga gli orizzonti e apre il cuore?».
Mentre leggevo queste frasi che sottolineano uno stretto rapporto tra la fede – almeno intesa nel senso del “fidarsi” – e il lavoro dell’agricoltore, mi è venuto da sorridere ricordando l’atteggiamento di “non fede” di mio padre quando, andato da poco in pensione, aveva pensato di riprendere la tradizione contadina della famiglia – ormai interrotta da due generazioni – coltivando un piccolo orto. Non so perché, si era cimentato per prima cosa con le carote. Non fidandosi forse del suo lavoro o dei ritmi della natura voluti dal Padre Eterno, si era messo in mente di controllare da vicino la crescita delle carote, estraendo e reimpiantando più volte le povere piantine. Vi lascio immaginare il risultato disastroso… (ma poi col tempo e ascoltando i consigli di amici esperti, sarebbe diventato davvero bravo…).
Il collegamento tra fede ed agricoltura è fatto da Gesù stesso quando racconta una parabola che parte dal seme per arrivare alla mietitura: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura» (Mc 4, 26-30). Una parabola che, per chi come voi lavora anche duramente per ottenere i frutti della terra, può sembrare semplicistica e irrealistica: bastasse gettare il seme e poi aspettare, tutti farebbero gli agricoltori…
Ma l’atteggiamento di fede o di fiducia, sia nel campo del lavoro, che in quello della vita spirituale, non è mai passivo. Basti notare che la seconda lettura di oggi ci parla di un giudizio, non per spaventarci, ma per richiamarci alla responsabilità della vita in proporzione ai doni ricevuti (e, a questo proposito, tutti ricordiamo molto bene la parabola dei talenti).
Anche gli altri due brani della Parola di Dio, presentandoci la figura delle due vedove, non ci invitano alla passività, tutt’altro… Le due donne, infatti, si fidano della provvidenza di Dio ma non restano inattive, in attesa di qualcosa di miracoloso: si mettono invece in gioco con tutto quello che hanno. La prima, quella di Sarepta, condividendo con altri (in questo caso il profeta) quel poco che ha. La seconda, donando tutto al tesoro del tempio in onore del Signore.
Gesù contrappone il gesto di quest’ultima a quello degli altri, in particolare i ricchi, che gettano nel tesoro il loro superfluo e che spesso – lo ricorda la prima parte del brano di Vangelo – si esibiscono davanti alla gente e si procurano ricchezze anche in modo disonesto (dice Gesù senza mezzi termini che “divorano le case delle vedove…”).
Si vive pertanto la fede nella Provvidenza non restando passivi e immobili, ma assumendo tre atteggiamenti: ringraziamento umile, condivisione generosa, affidamento sereno.
Ringraziamento: perché tutto ci è stato donato. Anche ciò che è frutto del nostro lavoro proviene dal fatto che ci sono state date le possibilità e le capacità per lavorare… Da qui l’umiltà e non l’esibizione: ho fatto con semplicità il mio dovere con i doni e le opportunità che mi sono stati dati e per questo non ho motivo per insuperbirmi ma devo solo ringraziare.
Condivisione: perché ciò che possiedo, dal momento che l’ho ricevuto, non devo tenermelo stretto ma metterlo in comune con altri, soprattutto con chi è più in difficoltà. Da qui la generosità, che non è prodigalità o, all’opposto, grettezza d’animo, ma saper essere di animo grande attento e aperto a tutti.
Affidamento: perché se tutto ci è stato fin qui donato, per il futuro non possiamo avere alcuna pretesa, ma solo affidarci a Colui da cui tutto proviene. Da qui un’autentica serenità nell’affrontare la vita.
Questo Colui ha un nome: Padre. Solo la fede in Dio Padre provvidente ci permette di vivere bene questi tre atteggiamenti. È Lui che dobbiamo ringraziare, perché Lui è il Creatore, l’origine di ogni vita e di ogni cosa.
È Lui che ci spinge a condividere perché se abbiamo un solo Padre vuol dire che siamo tutti fratelli, chiamati anzi a essere talvolta “provvidenza” gli uni per gli altri.
È Lui Colui al quale affidiamo noi stessi, le nostre famiglie, il nostro lavoro, il nostro futuro, le nostre preoccupazioni, i nostri sogni sapendo che tutti e tutto siamo in buone mani. Bellissime le espressioni del salmo responsoriale che parla del Signore che rimane fedele, dà il pane, libera, rialza, ama, protegge, …
La fiducia in Dio Padre Provvidente ci può sostenere nel grave momento di crisi che ormai da anni stiamo vivendo. In questo periodo siamo chiamati ancora di più ad affidarci al Signore, senza farci prendere dallo scoraggiamento o persino dalla disperazione, ma continuando a metterci in gioco e a darci da fare per trovare soluzioni, nella consapevolezza che è proprio nei momenti difficili che la Provvidenza non ci abbandona.
Il Signore Gesù ci ha fatto conoscere questo Padre Provvidente di cui ci possiamo fidare, rivelandoci che non è solo il suo ma anche il nostro. Gesù stesso è il dono più grande del Padre e ancora una volta ci viene ora donato proprio mentre nell’Eucaristia ringraziamo il Padre per il dono del Figlio e per tutti i doni ricevuti. Ma con Dio funziona così: mentre lo ringrazi, ti sta già colmando di nuovi doni, anzi ti dona se stesso.
Tutto ciò riempie oggi il nostro cuore di gioia e di fiducia e dice il senso profondo di questa giornata di ringraziamento. Sì, siamo figli di un Padre di cui possiamo fidarci e per questo diciamo grazie.
† Vescovo Carlo