Domenica 3 maggio l’arcivescovo Carlo ha presieduto nella IV^ domenica di Pasqua la messa nella chiesa di San Giorgio a Lucinico in occasione della festa del Patrocinio di San Giuseppe.
La prima lettura di questa domenica ci presenta la conclusione del discorso di Pietro il giorno di Pentecoste. Un discorso in cui, forte dell’assistenza dello Spirito Santo, l’apostolo presenta Gesù, l’uomo ucciso e messo in croce, come il Salvatore. La liturgia ci riporta solo un versetto di quel discorso che ne è come la sintesi: «Sappia con certezza tutta la casa d’Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso».
Interessante la reazione della gente. Non presenta richieste di spiegazione, non fa domande teoriche sulla questione, non fa esami di coscienza, non si ferma a discutere, ma chiede: «Che cosa dobbiamo fare, fratelli?». Una domanda che nasce dal fatto che si sentono il cuore trafitto, perché le parole di Pietro sono scese nel profondo di loro stessi, hanno raggiunto quel insopprimibile anelito di senso, quel radicato desiderio di salvezza e di compimento che c’è nel cuore di ognuno. Ovviamente ciò che ha loro trafitto il cuore non è stata l’abilità comunicativa di Pietro, neppure la sua capacità persuasiva o persino gli argomenti da lui portati, ma lo Spirito Santo. Lo Spirito agisce in chi annuncia Gesù, ma anche in chi ascolta quell’annuncio. Senza lo Spirito sarebbero parole vuote, senza lo Spirito non ci sarebbe cambiamento di vita.
Lo Spirito Santo però non fa miracoli, nel senso che non si sostituisce a noi. Piuttosto stimola la nostra libertà e disponibilità. Ed ecco allora la domanda: «Che cosa dobbiamo fare?». La risposta di Pietro è “convertitevi, fatevi battezzare, ricevete lo Spirito”, ma anche – è implicito nella notazione successiva sui nuovi 3000 cristiani – entrate nella comunità cristiana.
La domanda degli ascoltatori di Pietro può essere oggi anche la nostra. Noi siamo già battezzati e apparteniamo alla comunità cristiana. Una comunità, come quella nella cui chiesa sto celebrando, che ha antiche radici e che si riconosce nel suo impegno di fede e di carità e anche nelle sue belle e significative tradizioni, come quella del Patrocinio di San Giuseppe, che oggi possiamo solo ricordare senza poterlo celebrare. Formulo a tutti i parrocchiani di Lucinico i miei auguri anche con tanto incoraggiamento.
Sembra quindi che, qui o in altre comunità, abbiamo già avuto la risposta alla domanda e anche che l’abbiamo accolta e attuata. In parte è vero: la vita cristiana non va sempre ricominciata dall’inizio. Ma in parte no: la vita cristiana è un cammino che non termina se non nel regno di Dio.
Quindi è giusto che non tanto a Pietro, ma al Signore, alla sua Parola, oggi chiediamo: «Che cosa dobbiamo fare?». E che lo chiediamo non in astratto, ma in questa situazione molto precisa, per tutti di fatica e per molti di grande sofferenza e di preoccupazione.
Una prima risposta pare venire dalla seconda lettura, dove sempre Pietro invita a sopportare la sofferenza con pazienza proponendo l’esempio del Crocifisso. In realtà Gesù non è solo o primariamente un esempio, ma Colui che ci salva, che ci guarisce: «dalle sue piaghe siete stati guariti» e ci fa vivere non secondo il peccato, ma secondo la giustizia di Dio. E lo fa perché noi siamo il suo gregge e Lui è il nostro pastore e il nostro custode: «Eravate erranti come pecore, ma ora siete stati ricondotti al pastore e custode delle vostre anime».
Che cosa devono fare le pecore? La risposta viene dal Vangelo. Gesù ne parla come un dato scontato, nel senso che nel momento in cui le pecore riconoscono il vero pastore, cioè Lui, non possono che ascoltare la sua voce, sentirsi chiamare per nome, lasciarsi condurre fuori, seguire Lui, pastore, che cammina davanti perché conoscono la sua voce. Non seguono, invece, un estraneo, ma fuggono via da lui, perché non conoscono la sua voce. Non ascoltano i ladri e i briganti, che vengono per rubare, uccidere e distruggere. Seguono pertanto il pastore che dà vita e la dà in abbondanza. Lo fanno per così dire automaticamente. Il Vangelo non dice che le pecore devono fare qualcosa, ma che è ovvio per loro seguire il pastore, riconoscere la sua voce, fidarsi di lui. Come è ovvio il non fidarsi dell’estraneo, il non riconoscerlo come guida, il fuggire da lui. Questa intuizione quasi automatica, direi istintiva, di ciò che è bene e di ciò che è male, di ciò che viene dal Signore e di ciò che viene dal maligno e dal nostro egoismo è un dono dello Spirito ed è ciò che caratterizza o dovrebbe caratterizzare la vita cristiana. E’ un dono dello Spirito, ma è anche qualcosa che va acquisito. Mi permetto di fare un esempio: la guida di un auto. Dopo aver imparato a guidare, non abbiamo bisogno di pensare ogni gesto: è automatico schiacciare il pedale dell’acceleratore, quello del freno, inserire le marce e così via, come anche percepire subito un pericolo. Certo ci vuole attenzione, ma i movimenti di base vengono spontanei, appunto automaticamente. E’ così perché abbiamo imparato: c’è stato un tempo in cui abbiamo dovuto studiare la teoria e soprattutto impratichirci in concreto con l’aiuto di qualcuno. Ma poi si viaggia senza problemi. Non so se l’esempio è calzante, ma la normalità della vita cristiana dovrebbe funzionare così. Avere cioè la spontanea percezione di ciò che è secondo il Vangelo e di ciò che è contro ed essere portati a vivere ciò che è giusto, guidati dallo Spirito e riferendoci alla voce di Gesù, cioè alla sua parola.
Dicevo che occorre imparare tutto ciò e questo vale soprattutto nella giovinezza, ma per tutta la vita cristiana c’è sempre la necessità di imparare, di fare una revisione, di ripartire. Nella giovinezza ciò che conta è fare le scelte giuste che orientano la nostra vita, di scegliere quella che chiamiamo “vocazione” (e questa quarta domenica di Pasqua è tradizionalmente la giornata delle vocazioni). Un giovane cristiano che vuole scegliere dove spendere la propria vita deve mettersi in particolare ascolto del Signore. Dobbiamo pregare perché questo avvenga, nella convinzione che comunque il Signore chiama a vivere il Vangelo nelle diverse vocazioni, ma non forza la nostra libertà.
Ma anche chi non è più giovane e comunque ha già compiuto le scelte decisive della vita, deve mettersi in ascolto del Signore e del suo Spirito perché la connaturalità con il Vangelo possa crescere. Può crescere quanto più ascoltiamo la voce del pastore, del Signore. Si ascolta il Signore riferendosi alla sua Parola, lo si ascolta nella preghiera (e, permettete un suggerimento, sarebbe molto bello e ci potrebbe essere di grande aiuto, se oggi facessimo diventare nostra preghiera il salmo 22: il Signore è il mio pastore, che abbiamo ascoltato come salmo responsoriale), lo si ascolta ancora negli altri, lo si ascolta leggendo gli avvenimenti con la guida dello Spirito Santo.
Nella nostra vita, però, ci sono anche voci concorrenti, contrastanti che non sono del Signore, del nostro pastore, ma vengono dalla parte di noi che non si apre al Vangelo e si lascia suggestionare dall’avversario. Voci, per esempio – per riferirsi all’oggi – di scoraggiamento, di perdita di speranza, di ripiegamento su noi stessi, di lamentela, di contrapposizione agli altri, di strumentalizzazione di persone e situazioni. E’ interessante che nel Vangelo non ci venga detto di non ascoltare queste voci, ma che chi ha il Signore come pastore semplicemente non le riconosce come vere in modo istintivo e immediato. Mi sembra che l’indicazione sia allora quella di lavorare in positivo lasciandoci guidare dalle voci giuste. Non si vince l’egoismo contrapponendosi direttamente, ma amando. Non si vince lo scoraggiamento mettendosi contro, ma sperando. Non si vince la tentazione lottando allo spasimo, ma aprendo il cuore all’ispirazione buona dello Spirito.
Gesù è il nostro pastore: con Lui siamo sicuri anche in una “valle oscura”. Lui ci guida e ci assiste anche con l’aiuto di Maria (siamo nel mese di maggio a lei dedicato), di san Giuseppe, degli apostoli e di tutti santi e sante di Dio, conosciuti o no, che ci sono vicini. Questo ci dà grande coraggio e speranza.
+ vescovo Carlo