Nella III^ domenica di Pasqua, 26 aprile 2020, l’arcivescovo Carlo ha celebrato la messa in cattedrale a porte chiuse. Il rito è stato trasmesso in diretta streaming sui media diocesani.
Il Vangelo racconta che Gesù spiega le Scritture ai discepoli di Emmaus. Non è una spiegazione scolastica o didattica: non stanno facendo un corso biblico e non è neppure una presentazione dei contenuti teologici della Bibbia. Si dice invece: «E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui». Quel “ciò che si riferiva a Lui” è fondamentale. Gesù espone le Scritture ai due discepoli, e così farà poi la stessa sera apparendo agli Undici e alle altre persone riunite nel cenacolo, per spiegare chi è Lui e in particolare il mistero della sua Pasqua. La Scrittura, la Bibbia prima che racconto di vicende, trasmissione di contenuti, indicazioni per la vita, è rivelazione di Gesù, di Dio.
Noi non conosciamo Dio o, meglio, pensiamo e crediamo di conoscerlo, ma così spesso sovrapponiamo a Lui le nostre immagini più o meno indovinate. E’ la Scrittura, la stessa Parola che Dio ci rivolge, ciò che ci rivela chi è Dio Padre, Figlio e Spirito, chi è Gesù. E quindi anche chi siamo noi perché è una rivelazione di salvezza. Ogni pagina della Bibbia, infatti, ci svela il mistero di Dio, che è un mistero di amore, di redenzione.
Una salvezza certo realizzata con le modalità proprie di Dio e non con le nostre. I due discepoli di Emmaus avevano capito molto bene e avevano condiviso il fatto che Gesù fosse «profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo», ma non capiscono la croce: come può essere che un profeta potente venga crocifisso come un malfattore? E se non si comprende la croce non si capisce neppure la risurrezione. Solo la Scrittura ci può portare a capire la necessità della croce. Dice Gesù, rimproverando i due: «Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». E per questo spiega «in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui».
Gli apostoli dopo la Pentecoste hanno ben compreso la lezione. Lo abbiamo constatato ascoltando la prima lettura di oggi che ci presenta una parte del primo discorso di Pietro tenuto il giorno di Pentecoste. Pietro parla di Gesù, ricordando ciò che di potente aveva compiuto (in analogia con quanto affermato dai discepoli di Emmaus), come un «uomo accreditato da Dio presso di voi per mezzo di miracoli, prodigi e segni», ma aggiunge subito il fatto della croce – «voi, per mano di pagani, l’avete crocifisso e l’avete ucciso». Spiega poi che questo non è avvenuto per caso o per sola scelta degli uomini, ma «secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio» (esattamente quello che Gesù aveva detto ai due di Emmaus sulla necessità che il Cristo patisse). E infine conclude annunciando la risurrezione: «Ora Dio lo ha risuscitato, liberandolo dai dolori della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere». Spiega questo riferendosi esplicitamente a un passo della Scrittura, precisamente il salmo 15, attribuito a Davide. Un salmo che illumina la vicenda di Gesù, il suo non poter restare in potere della morte. Il salmo citato da Pietro è esattamente il salmo responsoriale.
Venendo a noi possiamo domandarci: come si fa a conoscere attraverso la Scrittura Gesù e il suo mistero di morte e risurrezione, il suo essere il nostro Salvatore? A scanso di equivoci, penso sia necessario affermare che ci vuole ascolto disponibile, una lettura attenta, un impegno di studio,… Bisogna prendere seriamente la Scrittura, anzitutto e non solo come un testo letterario, che ha bisogno di comprensione. Occorre rifiutare semplicismi e ingenuità nell’ascoltare e nel leggere la Scrittura. Forse mi sbaglio, ma certi appelli alla spontaneità (“non c’è bisogno di tanto impegno, basta leggere il Vangelo e sentire che cosa mi dice…”) nascondono spesso un po’ di pigrizia e poca disponibilità a dare tempo e attenzione alla Scrittura, se non talvolta una presuntuosa autoreferenzialità. Ma l’ascolto attento, lo studio, la comprensione non bastano per capire. Occorre che il Signore si riveli.
I discepoli di Emmaus avevano a fianco Gesù che spiegava loro la Scrittura e noi? Noi abbiamo lo Spirito Santo che è il dono del Risorto. Lo afferma esplicitamente san Pietro: «Questo Gesù, Dio lo ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni. Innalzato dunque alla destra di Dio e dopo aver ricevuto dal Padre lo Spirito Santo promesso, lo ha effuso, come voi stessi potete vedere e udire». Lo Spirito Santo, dono che va invocato, ci fa comprendere la Scrittura come rivelazione di Dio con la sua azione nel nostro cuore, ma anche negli insegnamenti della Chiesa a tutti i livelli, nella condivisione nella comunità cristiana, nella testimonianza di chi vive il Vangelo, nella ricchezza della tradizione della Chiesa. Tutte realtà dove lo Spirito è presente. Possiamo quindi anche noi conoscere Gesù.
L’episodio di Emmaus non si limita a raccontarci la spiegazione della Scrittura a opera di Gesù lungo la strada. I tre arrivano a Emmaus e lì Gesù si rivela nella spezzare il pane. Il riferimento all’Eucaristia è evidente. Lì c’è la piena rivelazione di Gesù e non è più necessario che il Risorto resti visibilmente con i due discepoli. E’ fondamentale però non separare il cammino, con la spiegazione della Scrittura, dalla cena con la frazione del pane e gli occhi dei discepoli che finalmente si aprono.
Parola ed Eucaristia non vanno separate. Purtroppo è stato così nel corso della storia della Chiesa a motivo della divisione tra cristiani. Semplificando: protestanti a favore della Scrittura, cattolici sostenitori dell’Eucaristia. Malauguratamente questa separazione e anche la non valorizzazione della Parola sono proseguiti fino a epoca recente: chi è più anziano tra noi, ricorderà che si diceva che per soddisfare il precetto festivo bastava arrivare in chiesa quando si scopriva il calice, come per dire che ciò che precedeva non era importante… Da tempo, invece, abbiamo compreso che la celebrazione eucaristica presenta inscindibilmente i due momenti della liturgia della Parola e della liturgia eucaristica. Abbiamo bisogno di nutrirci di Gesù che è Parola e che è pane spezzato.
Dobbiamo sottolineare che anche la celebrazione eucaristica, la Messa, è anzitutto rivelazione, prima che manifestazione della fede, sacrificio, banchetto, comunione, ecc. Partecipando alla Messa – e speriamo che presto ci venga concesso (con tutte le necessarie cautele per la salute) – noi conosciamo chi è Gesù, chi è Dio. Tramite la celebrazione eucaristica, infatti, entriamo in comunione con il mistero della Pasqua e ci viene rivelato l’amore di Dio per noi peccatori, un amore fino alla croce.
Chi accoglie questa rivelazione non può che diventare missionario, così come è stato per i due di Emmaus, che subito hanno ripercorso a ritroso gli undici chilometri per tornare a Gerusalemme, non più con il volto triste, ma con il cuore ardente d’amore. Un cuore di chi aveva riconosciuto il Risorto attraverso la Scrittura e la frazione del pane.
Dovrebbe succedere così anche per noi.
+ vescovo Carlo