Nel giorno di Natale 2017, l’arcivescovo Carlo ha presieduto il solenne pontificale in Cattedrale. Di seguito l’omelia da lui pronunciata.
«Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio».
Festeggiamo quest’oggi il Natale del 2017. Ricordando il fatto che siamo ancora negli anni dell’anniversario della prima guerra mondiale, ho provato a domandarmi come venne celebrato il Natale cento anni fa.
Ho letto una testimonianza tratta dal diario di un cappellano dei soldati accampati nel Natale del 1917 sul Piave (il fronte si era spostato lì e non era più sul nostro Isonzo dopo la disastrosa ritirata di Caporetto). Così scriveva il sacerdote:
«25 dicembre 1917. Durante la notte inizia un fortissimo bombardamento dalla parte del Grappa: continua per tutta la giornata e raggiunge il massimo di intensità a tarda sera. Quale contrasto in questo giorno con le soavi voci degli angeli osannati a Gesù e cantanti pace agli uomini! I nostri perdono posizioni avanzate sul fronte di Asiago. Il Papa Benedetto XV ha tenuto ieri una allocuzione ai Cardinali, dalla quale traspare l’animo addolorato del Santo Padre nel constatare che la sua parola non fu ascoltata:”…non degnati di ascolto e non risparmiati di sospetto e di calunnia…”. Parole gravi contro chi non rispose alla sua Nota o la criticò. Il Papa prosegue con un caldo appello alla pace, cantata oggi dagli angeli a Betlemme, e invita il mondo a tornare a Dio» (il cappellano fa riferimento alla lettera inviata da papa Benedetto XV “Ai capi dei popoli belligeranti” il 1° agosto 1917 in cui dava indicazioni concrete per uscire dalla tremenda situazione di guerra in modo equo e rispettoso dei diritti di tutti i popoli).
Colpisce il riferimento al fortissimo bombardamento proprio il giorno di Natale. Quasi sicuramente era una scelta dei comandi per evitare quegli episodi di tregua, anzi di fraternità e accoglienza reciproca, successi nei diversi fronti, tra soldati che combattevano gli uni contro gli altri, in occasione del Natale del 1914 e in misura minore nel Natale degli altri anni di guerra. Risulta, infatti, che i capi degli eserciti erano molto preoccupati di quei fatti e vi reagivano con una triplice strategia: far circolare più spesso i reparti sulle varie zone del fronte per evitare che instaurassero rapporti di conoscenza e di fraternità con i contingenti schierati nella trincea nemica opposta; denigrare gli avversari presentandoli come sanguinari e brutali; intensificare le azioni di guerra proprio il giorno di Natale (così come era successo sul Piave nel 1917 stando al racconto del cappellano).
Sembrano cose successe 100 anni fa e che oggi non ci riguardano più dal momento che non siamo in guerra. Eppure, se ci pensate, la tecnica per impedire un’accoglienza dignitosa e fraterna verso chi viene da noi, spesso scappando da guerre (che purtroppo ci sono oggi in diverse parti del mondo) e persecuzioni, è esattamente la stessa. Si cerca anzitutto di non far conoscere le persone concrete, con le loro storie, i loro sentimenti, le loro attese, le loro capacità e … perché no, anche con i loro i limiti, suscitando paure ingiustificate, sospetti, preoccupazioni in modo che non ci siano contatti gli uni con gli altri. Non ci vuole molto impegno a non accogliere chi non si conosce, chi resta estraneo e quindi spontaneamente suscita un sentimento immediato di non simpatia. Diventa così facilitato anche il secondo passaggio: denigrare le persone, dare giudizi sommari su di loro, diffondere false notizie, enfatizzare episodi negativi di poco significato, considerarli tutti sotto un’unica etichetta e non come singole persone con un volto, una storia, un cuore. Infine il terzo passaggio: intensificare il bombardamento, in questo caso non con le granate o i colpi di artiglieria, ma con le parole, gli scritti, i post sui social, i giudizi sommari e cattivi. E il papa di oggi può invitare con forza a cambiare atteggiamento, ma resta spesso inascoltato come il papa di 100 anni fa.
Il Vangelo di oggi afferma a proposito del Verbo che si è fatto carne, quanto ho riletto all’inizio: «Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio». È una affermazione che ci porta alla radice delle nostre non accoglienze reciproche: la non accoglienza del Signore. In questo caso il paradosso è che Gesù non viene accolto non dagli altri, dagli stranieri, dagli avversari, ma da “i suoi”.
Tutti i Vangeli ci attestano questa apparente stranezza: gli oppositori di Gesù non sono i nemici romani (anzi talvolta proprio i centurioni dell’esercito nemico sono quelli che manifestano più fede in Lui), ma le persone più religiose come i sommi sacerdoti e i farisei. Come mai? Sono persone che non si lasciano convertire, hanno i loro rigidi schemi, pensano di essere nel giusto se osservano la legge fin nelle minuzie, ma si scandalizzano di un Messia che viene da Nazaret, di un Salvatore che fa di mestiere il falegname, di un profeta che predica la misericordia di Dio. «I suoi non lo hanno accolto». E se non si accoglie Lui, come si fa a essere disposti ad accogliere gli affamati, gli assetati, gli stranieri, gli ignudi, gli ammalati, i carcerati in cui Lui si è identificato?
Come fare invece ad accoglierlo e a diventare davvero “suoi”? Il Vangelo ci offre una risposta: non per nostra capacità o nostro impegno, ma ricevendo “grazia su grazia”, credendo in Lui e sapendo di essere stati generati da Dio come suoi figli. Tutti. Natale 2017: almeno qui da noi, diversamente da 100 anni fa, un Natale non di guerra, ma di pace. Che divenga anche un Natale di accoglienza. Anzitutto verso Gesù, ascoltando la sua Parola, il suo Vangelo senza pregiudizi e lasciandoci convertire, illuminati dalla sua verità che è dono di vita. E poi verso gli altri, superando la non conoscenza, i pregiudizi, le parole negative. Allora sarà anche un Natale di gioia, quella vera che nasce dal sentirsi in Cristo tutti figli di Dio e fratelli tra noi.
+ vescovo Carlo