Maria vuole che ci lasciamo amare da lei
Omelia dell’Arcivescovo al Santuario di Barbana in occasione del 150° anniversario dell'incoronazione della statua di Maria
15-08-2013

È del tutto naturale che per esprimere la fede e la religiosità si utilizzino modi di dire, immagini, concetti tratti dall’esperienza umana. È naturale ed è anche corretto. Del resto la stessa Parola di Dio che la Scrittura ci offre è fatta di parole umane, è incarnata nelle diverse culture, nelle varie mentalità che si sono succedute lungo la storia.

Risulta così comprensibile che 150 anni fa si sia voluto incoronare la statua della Vergine di Barbana, utilizzando una modalità tipica dell’epoca per esprimere verso Maria venerazione, rispetto e filiale obbedienza come dovuto alle sovrane di allora. La Madonna, quindi, considerata come una regina, anzi come la più grande delle regine.

Oggi, in un’altra epoca e con un’altra sensibilità, può darsi che, tranne per qualche nostalgico dei bei tempi passati, l’incoronazione di Maria e lo stesso attributo di “regina” possano sembrare meno consoni alla sua persona.

Il problema, però, non è il passaggio da una mentalità o da una cultura a un’altra, ma è piuttosto quello di verificare la qualità evangelica del nostro modo di esprimere la fede e la devozione e, in concreto, di ciò che attribuiamo a Maria.

Possiamo pertanto domandarci se è secondo il Vangelo definire Maria come regina. In realtà nel brano che abbiamo da poco ascoltato Maria definisce se stessa non come “regina”, ma come “serva”, come “schiava”. Quindi è giusto chiamarla regina e persino incoronarla?

Spostiamo però la domanda: Gesù è re? È giusto parlare di un suo Regno? La risposta è sì, se però intendiamo il Regno come quello che ci viene presentato dal Vangelo e se ricordiamo ciò che Gesù ha detto a Pilato: «Il mio Regno non è di questo mondo».

Tenendo presente questo possiamo allora dire che Maria è regina, ma lo è come Gesù è re e non come lo sono le regine o altri importanti personaggi di questo mondo.

Gesù stesso d’altra parte ha tenuto a distinguersi dai re e dai potenti del mondo. Lo ha detto con chiarezza ai suoi discepoli che rivaleggiavano tra loro per mettersi ai primi posti: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mc 10,42-45).

E, stando al Vangelo di Luca, mentre proprio durante l’ultima cena gli apostoli discutevano su chi tra loro fosse il più grande, Gesù ritornò sull’argomento dicendo: «I re delle nazioni le governano, e coloro che hanno potere su di esse sono chiamati benefattori. Voi però non fate così; ma chi tra voi è più grande diventi come il più giovane, e chi governa come colui che serve. Infatti chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve» (Lc 24,25-27).

Gesù è re, ma un re che serve, che dona la vita. Maria allora è certamente regina, ma una regina che si dichiara serva, che affida tutta la sua vita a Dio. Se la pensiamo come una regina, una potente di questo mondo, le facciamo un grave torto, vuol dire che non abbiamo capito chi è lei per davvero.

Analoghe considerazioni dobbiamo fare circa la festa di oggi: l’assunzione di Maria al cielo. L’assunzione è certamente entrare nella gloria di Dio, è quindi per Maria una glorificazione, ma una glorificazione secondo il Vangelo, che non muta il suo essere serva, ma amplifica la sua fede, il suo amore, la sua maternità verso l’intera umanità.

Maria non vuole essere venerata da noi, non vuole che la consideriamo una sovrana da osservare a debita distanza con rispetto e timore, ma vuole che ci lasciamo amare da lei, che la consideriamo una mamma che dona tutta se stessa a noi suoi figli. Esattamente come è per Gesù. Per Lui la risurrezione e ascensione al cielo non sono state un abbandonare la sua scelta di donarci la vita e di essere il nostro servo, ma lo svelamento del senso profondo della sua morte come un gesto di salvezza e di amore.

Il risorto non ha cancellato le piaghe del crocifisso. Il Signore dell’universo non ha smesso di essere il servo di tutti: non ce lo ha forse detto proprio nel Vangelo di domenica scorsa, quando ha affermato – ricordate? -: «Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli» (Lc 12,37).

Con il Battesimo siamo stati identificati a Gesù: dobbiamo essere come Lui. Anche noi, quindi, siamo chiamati a diventare re, a essere glorificati con tutto noi stessi – corpo compreso – nel Regno di Dio. Ma dobbiamo diventarlo esattamente come Lui e come Maria, cioè facendosi servi, schiavi, piccoli, imparando ad amare e a donare la vita.

Non c’è altra strada che sia evangelica per realizzare il nostro essere re.

Festeggiamo allora pure, con devozione e con gioia, Maria nostra regina e prima e con lei Gesù nostro re, ma sapendo che lei è serva come Gesù è servo. Questa festa allora ci impegna, per grazia – e la invochiamo di vero cuore confidando nell’intercessione di Maria – a diventare re a nostra volta, quindi inevitabilmente servi per amore.

† Vescovo Carlo