L’immagine di Gesù tra i “like” e l’”amen”
Omelia nella festa di San Francesco di Sales 2019
24-01-2019

Giovedì 24 gennaio 2019, nella festa di San Francesco di Sales patrono di quanti operano nel campo delle comunicazioni sociali, l’arcivescovo Carlo ha celebrato la messa nella chiesa di San Rocco a Gorizia. Pubblichiamo di seguito la sua omelia.

 

Siamo in una società dell’immagine. Più di quello che sei, conta l’immagine che vuoi dare di te, attraverso le tue parole, i tuoi gesti, i tuoi interventi e persino i tuoi silenzi. Conta l’immagine, ma conta anche il messaggio. In realtà immagine e messaggio si sovrappongono. Nel senso che l’immagine è già un messaggio e che il messaggio (penso per esempio a un twitt) costruisce un’immagine.

Sappiamo che tutto questo non è frutto di improvvisazione: i politici, gli esponenti di vario tipo, gli influencers, gli uomini e le donne che fanno opinione, quelli di spettacolo o comunque presenti nell’agone dell’opinione pubblica sono spesso sostenuti da una o più persone, a volte persino da una squadra di esperti, che suggeriscono gesti, battute, twitt, post su facebook, foto su instagram, ecc. Ma la cosa vale anche per le società e gli enti e non per niente la facoltà di relazioni pubbliche presente qui a Gorizia non soffre certo di carenza di iscritti. All’interno di quegli esperti, una figura particolare è quella dello ”spin doctor”. In termini molto sintetici – lo sapete – possiamo dire che è un esperto (appunto un “doctor”) incaricato di curare l’immagine di un politico. E’ quello che gli suggerisce interventi, slogan, colpi ad effetto (“spin” significa proprio questo ed è preso dal gergo del tennis) per acquistare popolarità, consenso, applausi.

Proprio riflettendo su questo, mi sono domandato: Gesù aveva uno “spin doctor” personale, incaricato di curare la sua immagine di Messia? Aveva qualcuno che gli suggeriva come fare per avere successo come Messia?

Un’attenta ricerca nei Vangeli offre più risultati di quanti si possano pensare. Anzitutto c’era un personaggio che fin dall’inizio si era offerto come “spin doctor” di Gesù. Non vi dico chi è, ma vi leggo dal Vangelo di Matteo il suo suggerimento: «Se tu sei Figlio di Dio, gettati giù; sta scritto infatti: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo ed essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra» (Mt 4,6).

Avete certo capito chi fosse lo spin doctor: satana. Effettivamente la sua proposta non era male, anzi, occorre riconoscere, era altamente persuasiva: incominciare la carriera di Messia con un gesto plateale a Gerusalemme buttandosi dal pinnacolo del tempio davanti a tutti, con la presa al volo da parte degli angeli, era sicuramente un colpo ad effetto incredibile…

Ma sempre leggendo i Vangeli, si scopre che ci sono anche altri parte della squadra che si era incaricata – per altro non richiesta – di supportare Gesù sotto il profilo delle pubbliche relazioni. Qualcuno che si attiva verso la fine della vita di Gesù. In questo caso il contesto era un po’ più drammatico, ma per questo il suggerimento, se attuato, si sarebbe rivelato efficacissimo. Ascoltiamolo dal Vangelo di Marco: «Ehi, tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso scendendo dalla croce!» (Mc 15,29). Noto di passaggio che questa frase conteneva anche la fake new del proposito da parte di Gesù di distruggere il tempio (qualcosa di analogo succederà a Paolo, quando arrivato a Gerusalemme si diffonderà la voce che aveva introdotto nel tempio un pagano, anche se la cosa non era assolutamente vera: cf Atti 21,27-29).

Ma della squadra faceva parte anche Pietro, quando aveva preso in disparte Gesù per rimproverarlo e dirgli di lasciar perdere quegli strani discorsi sulla croce… E non per niente Gesù in quell’occasione l’aveva chiamato ”satana” (cf Mc 8,33).

Altri che si erano offerti come suggeritori per curare l’immagine di Gesù erano i suoi parenti. C’è un passo poco noto e poco letto del Vangelo di Giovanni dove si dice: «Gesù se ne andava per la Galilea; infatti non voleva più percorrere la Giudea, perché i Giudei cercavano di ucciderlo. Si avvicinava intanto la festa dei Giudei, quella delle Capanne. I suoi fratelli gli dissero: “Parti di qui e va’ nella Giudea, perché anche i tuoi discepoli vedano le opere che tu compi. Nessuno infatti, se vuole essere riconosciuto pubblicamente, agisce di nascosto. Se fai queste cose, manifesta te stesso al mondo!”» (Gv 7,1-4). Un suggerimento forse anche interessato per tenere lontano Gesù e per evitare così di essere in qualche modo coinvolti nella persecuzione nei suoi confronti, cosa che poteva essere pericolosa per dei parenti…

Anche il Vangelo di oggi ci presenta una forzatura per costringere Gesù a esporsi pubblicamente. Torniamo a satana e ai suoi adepti. In questo caso, infatti, sono gli spiriti impuri che dicono chi è Gesù: «Tu sei il Figlio di Dio!». Ma Gesù non ci stava: «Ma egli imponeva loro severamente di non svelare chi egli fosse». Non tanto per nascondersi, ma per evitare che la gente avesse un’immagine già pregiudicata di Lui, come il Messia combattivo e vittorioso verso i romani.

Gesù da parte sua è molto attento non tanto a promuovere la sua immagine, ma a preservarla da fraintendimenti, soprattutto all’inizio della sua missione. Poi, a suo tempo, spiegherà con chiarezza chi è Lui, a partire anche da una piccola inchiesta che farà presso i suoi discepoli per sapere che cosa la gente pensasse di Lui, ma anche quale fosse l’idea che avevano di Lui i suoi stessi discepoli: «Chi dice la gente che io sia? E voi chi dite che io sia?». Gesù ci tiene a essere se stesso, a essere conforme alla volontà del Padre e a essere compreso così, nella sua verità. Potremmo dire, riprendendo il messaggio di papa Francesco per la giornata delle comunicazioni di quest’anno, che a Gesù non interessano i like, ma l’amen, l’adesione nella verità a Lui.

Il papa ne parla in riferimento al tema prescelto: “Siamo membra gli uni degli altri” (Ef 4,25). Dalle sociale network communities alla comunità umana. Dove l’invito è a incontrare le persone nella loro verità e a non fermarsi all’apparenza, costruendo così la possibilità di una autentica comunione. Alla Chiesa non interessano delle immagini, ma delle persone vere, a cominciare da Gesù stesso per quello che è come risulta dai vangeli.

Significativa la conclusione del messaggio: «Questa è la rete che vogliamo. Una rete non fatta per intrappolare, ma per liberare, per custodire una comunione di persone libere. La Chiesa stessa è una rete tessuta dalla comunione eucaristica, dove l’unione non si fonda sui “like”, ma sulla verità, sull’”amen”, con cui ognuno aderisce al Corpo di Cristo, accogliendo gli altri». Alla luce di queste parole, celebriamo in verità l’Eucaristia di stasera pregando in particolare per tutti coloro che per professione sono chiamati a costruire una rete di autenticità tra le persone.

+ vescovo Carlo