Lasciamoci convertire dalla Misericordia
Omelia nell'apertura della Porta della Misericordia della basilica di Aquileia
13-12-2015

Nel Vangelo di Luca, il Vangelo della misericordia che guida il nostro cammino diocesano di quest’anno, viene raccontato un episodio molto significativo. Giovanni Battista, che è il protagonista del brano di Vangelo che abbiamo terminato di ascoltare, si trova in carcere. Viene a sapere delle parole e delle azioni di Gesù e ha un dubbio radicale su di Lui, sul suo essere davvero il Messia che lui, Giovanni, ha preannunciato. Manda quindi due sue discepoli a chiedere a Gesù con molta franchezza: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?».

Perché Giovanni ha questo dubbio su qualcosa di così importante per lui visto che tutta la sua missione è stata a servizio del Messia che stava per venire? Gesù, la cui venuta lui, Giovanni, ha preparato con la sua predicazione e con il battezzare nel Giordano, non sembra corrispondere al Messia che Giovanni aveva annunciato. Lo abbiamo ascoltato: di fronte alla gente che sospetta che Giovanni sia il Messia, il Battista risponde: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile». Deve quindi venire un Messia che separerà il frumento dalla paglia e interverrà con il fuoco a distruggere il male.

Gesù, però, non ha in mano alcuna pala, né un lanciafiamme o qualcosa di simile. Gesù non brucia nessuno. Chiarisce fin dall’inizio quale sia la sua missione. Nel discorso inaugurale tenuto nella sinagoga di Nazaret – brano utilizzato ieri sera a Gorizia per l’apertura della porta della misericordia in cattedrale – Gesù legge il passo dove il profeta Isaia proclama un anno di grazia, ma lo interrompe di netto al punto in cui il profeta continua la sua profezia annunciando «il giorno di vendetta del nostro Dio».

Niente giudizio, niente fuoco, niente vendetta, solo grazia. Questo è il modo di essere Messia di Gesù, che, quando parla della sua missione, afferma: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori perché si convertano» e ancora: «Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto». Gesù dichiara questo non in astratto, ma quando chiama Levi/Matteo a diventare suo apostolo e festeggia con lui e con i suoi colleghi pubblicani – persone considerate pubblici peccatori, perché a servizio dei romani – o anche quando si fa invitare a casa da Zaccheo, capo dei pubblicani di Gerico.

E’ interessante vedere che cosa Gesù risponde ai discepoli di Giovanni. In realtà non risponde subito, ma solo dopo aver compiuto dei gesti molto significativi: «In quello stesso momento – scrive l’evangelista Luca – Gesù guarì molti da malattie, da infermità, da spiriti cattivi e donò la vista a molti ciechi. Poi diede loro questa risposta: “Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciata la buona notizia. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!”». Gesù, riferendosi a quanto sta compiendo e che i discepoli di Giovanni possono constatare con i loro occhi, cita in realtà dei passi profetici. Vuole quindi sottolineare che Lui è Messia in continuità con le promesse profetiche, ma solo con quelle che parlano di misericordia e non di giudizio. Comprende bene che Giovanni può scandalizzarsi, come molti attorno a Lui si scandalizzavano vedendo la sua attenzione per i poveri, i peccatori, le prostitute, gli stranieri. Molti, soprattutto gli scribi e i farisei, tutt’altro che persone lontane dalla fede: erano allora le persone migliori dal punto di vista religioso e però non capiscono Gesù.

Gesù conclude il confronto con Giovanni Batista – come ci narra il cap. 7 del Vangelo di Luca – lodandolo come il più grande profeta, un uomo molto coerente. Ascoltiamo cosa dice il Vangelo: «Quando gli inviati di Giovanni furono partiti, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: “Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che portano vesti sontuose e vivono nel lusso stanno nei palazzi dei re. Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: Ecco, dinanzi a te mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via. Io vi dico: fra i nati da donna non vi è alcuno più grande di Giovanni”». Un elogio molto forte: Giovanni è più grande dei profeti dell’Antico Testamento, di Elia, di Isaia, di Geremia, di Ezechiele, ecc. Gesù però fa subito un’aggiunta: «ma il più piccolo nel regno di Dio è più grande di lui». Chi accoglie il Vangelo è più grande di ogni profeta! Possiamo a questo punto domandarci: a che cosa serve l’anno della misericordia che stiamo iniziando? A convertirci? A diventare più bravi? A compiere opere di misericordia? No, prima di tutto a diventare cristiani, discepoli di Gesù di quel Messia che non viene a giudicare, ma a salvare. Dico una cosa forte: non sono sicuro che siamo – io per primo – cristiani davvero. Siamo uomini e donne “religiosi”, ma forse non veramente “cristiani”.

Crediamo in Dio, ma non in quel Dio che fuori di ogni logica manda suo Figlio a morire per noi. In quel Signore cui non basta il 99% di successo, ma deve cercare la centesima pecora che si è perduta (e neppure la rimprovera, ma fa festa e Gesù concludendo quella parabola nota: «Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione» e al termine della parabola simile della moneta perduta dice: «Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte»). Ancora, in quel Padre che non lascia neppure parlare il figlio che è ritornato non perché pentito ma solo perché affamato, ma gli corre incontro, lo riveste, gli dà la firma in banca (l’anello con cui venivano sigillati i documenti), fa festa… Di quel Padre che esce di casa per andare incontro al figlio maggiore che non accetta che si faccia festa per il fratello ritornato, il figlio maggiore che non capisce che se lui è rimasto a casa del padre è stato solo per grazia e non per suo merito. Dobbiamo convertirci al Vangelo, al Vangelo di Gesù, del Dio di Gesù. Non di un Dio che immaginiamo, ma di un Dio che è Padre della misericordia, Figlio che dà la vita, Spirito che con il suo fuoco non brucia nessuno ma consola e riscalda i cuori.

Papa Francesco ha inventato questo Giubileo per questo: non perché diventassimo bravi, ma finalmente cristiani. E se posso fare una confidenza, questo è lo stesso motivo per cui quest’anno ho chiesto all’intera diocesi di leggere, contemplare e pregare il Vangelo di Luca. Lasciamoci convertire dalla misericordia. Lasciamo perdere le nostre idee religiose o presunte tali su Dio e convertiamoci al Vangelo, entriamo nella festa che Dio ha preparato per noi e per tutti, peccatori, ma proprio per questo amati e salvati. Buona festa.

† Vescovo Carlo