L'accoglienza, sfida per le nostre comunità
L'omelia pronunciata dal Vescovo Carlo nella chiesa di San Lorenzo a Ronchi dei Legionari, in occasione della festa patronale
10-08-2015

Tutti sappiamo che i primi secoli della Chiesa sono stati caratterizzati dalle persecuzioni. Persecuzioni che hanno avuto diverse modalità e non sono sempre state per così dire attive per tutto il tempo. A metà del III secolo, all’epoca dell’imperatore Valeriano ci fu una persecuzione particolarmente dura per la Chiesa, ma anche molto “intelligente”. Non veniva tanto incarcerato e poi ucciso qualunque cristiano (e, per altro, i cristiani erano già moltissimi, in tutte le classi sociali e in ogni luogo dell’impero romano), ma potremmo dire che si perseguitava solo la dirigenza, l’intellighenzia della Chiesa e si cercava di ostacolare le sue attività più importanti. Colpire i vertici per disorientare tutti, mettere in difficoltà le attività caratteristiche della comunità cristiana privandole dei mezzi per creare forte disagio. In questo contesto si iscrive la persecuzione che ebbe per oggetto anche la Chiesa di Roma. Così il 6 agosto 258 viene ucciso papa Sisto II nel cimitero di Callisto sulla via Appia, mentre stava celebrando, e con lui i 4 diaconi. Perché il papa? Perché era il vertice della Chiesa, e non solo di quella romana, tra l’altro appena eletto da un anno. Perché i diaconi piuttosto che i preti? Perché i diaconi erano i responsabili dei soldi e dell’attività caritativa della Chiesa verso i poveri. Imprigionarli, ucciderli, sequestrare i beni loro affidati voleva dire bloccare la Chiesa in una delle sue iniziative più caratterizzanti: l’azione di aiuto verso i poveri.

Mancava però il diacono più importante: Lorenzo. Ma qualche giorno dopo viene catturato e ucciso il 10 di agosto. Si dice che gli venne chiesto di consegnare il tesoro della Chiesa e che Lorenzo abbia mostrato come tesoro i poveri. Tutto questo possiamo ricordarlo per curiosità storica o, anche, purtroppo per fare memoria dei martiri di oggi e delle tecniche di persecuzione odierne, simili ma anche più raffinate (persino nelle modalità “minori”: es. l’abbattimento delle croci per supposti motivi urbanistici in alcune zone della Cina). Dobbiamo, però, soprattutto ricordarlo per la nostra vita cristiana. Il martirio, infatti, evidenzia, potremmo dire al massimo, ciò che è proprio della vita cristiana anche ordinaria, anche la nostra. Ciò ci viene presentato con chiarezza dalla Parola di Dio. Lo specifico del cristiano è impostare la vita come dono, un dono ricevuto e proprio per questo da restituire. Concepire la vita come dono nelle piccole cose, per poterlo vivere – se ci viene chiesto – nelle grandi scelte. Alla base di tutto si trova l’amore: di Dio, verso di noi, e nostro, che partecipiamo del suo amore, verso di Lui e verso gli altri. C’è un intreccio di questi amori, come ci evidenzia la seconda lettura: «da questo conosciamo di amare i figli di Dio se amiamo Dio e ne osserviamo i comandamenti», mentre in altri passi della sua lettera Giovanni ci ricorda che non possiamo dire di amare Dio, che non vediamo, se non amiamo i fratelli che vediamo. Che cosa ci ostacola in questo modo di concepire la vita? Certo il peccato, la cattiveria, l’egoismo, la pigrizia, l’avarizia, l’invidia, ecc. Ma alla radice c’è una cosa per sé buona: l’istinto di sopravvivenza, il desiderio di vivere, di essere, di affermare la nostra esistenza. Il problema è che pensiamo che noi possiamo affermarci solo se in qualche modo ci imponiamo agli altri (sentiti come minaccia), se affermiamo il nostro possesso di cose e di relazioni e affetti, se abbiamo tante opportunità. Guardiamo i bambini: una delle prime espressioni che usano consiste nell’affermare: “è mio”, “è mia”, sia che si tratti di giocattoli (che non si vogliono condividere), sia dell’affetto della mamma (con la crisi tipica alla nascita del fratellino o sorellina).

Questo perché pensiamo di dovercela cavare noi, se vogliamo sopravvivere. Invece se ci sentissimo figli di Dio, amati da Lui, allora tutto cambierebbe. Allora ci sarebbe la consapevolezza della propria dignità (“sono figlio di Dio”, “sono figlia di Dio”) e della conseguente forza interiore anche in situazioni estreme: in carcere, senza niente, picchiato, affamato, assetato, … Ci sono testimonianze di questo. Anzi in queste situazioni estreme, invece di chiuderci in noi stessi e di procurarci da vivere a scapito di altri, si può persino diventare capaci di amore, di perdono, di altruismo (anche di convertire i carcerieri e i persecutori).

Tutto ciò non è facile. Neppure nelle situazioni non estreme, in quelle normali, le nostre. Tutti spontaneamente ci teniamo alle nostre cose e non solo ai soldi, ma al nostro tempo, ai nostri affetti, al nostro prestigio… Che cosa ci può aiutare a cambiare? La grazia, lo Spirito Santo che ci attesta che siamo figli di Dio, che la nostra vita è in mano al Signore qualunque cosa ci succeda, che non dobbiamo spasmodicamente pensare a noi stessi perché c’è Lui che pensa a noi, e che quanto abbiamo ricevuto da Lui possiamo condividerlo come gli altri condividono con noi quello che sono e che hanno (chi può dire che solo dà e non riceve invece tantissimo di più? E’ una testimonianza comune di chi fa attività di volontariato o caritativa per gli altri: si riceve più di quello che si dà …). Occorre chiedere l’intercessione di san Lorenzo questo. Non tanto per diventare martiri, ma per entrare in questa logica di chi si sente amato e per questo può amare.

La cosa vale anche a livello comunitario. Una comunità che cerca in sé le risorse per la sua sopravvivenza può sottolineare più del necessario la sua identità, può chiudersi, può sentirsi in competizione con gli altri, persino minacciata dagli altri, … Se invece sa di essere dono del Signore, se come comunità cristiana sa di essere frutto della Parola e dell’Eucaristia, allora tutto cambia. Diventa comunità aperta, accogliente, attenta, collaborativa, ecc. e ci guadagna (perché anche a livello comunitario ci si guadagna ad aprirsi e a essere generosi).

Una bella sfida per la comunità di Ronchi, ma in genere per le nostre comunità, per l’Italia e per l’Europa che si illude di risolvere i problemi chiudendosi e respingendo (ovviamente i problemi ci sono, sono complessi ed esigono tanta pazienza, saggezza e tempo, ma bisogna scegliere l’impostazione giusta e non incamminarsi su strade suicide).

San Lorenzo ci aiuti allora, a livello personale e comunitario, a sentirci amati e proprio per questo capaci di amare. Del resto – ed è la prima pagina della Bibbia che ce lo dice – se siamo stati creati a immagine e somiglianza di Dio e se Dio è amore, il miglior modo per vivere l’istinto di sopravvivenza, per realizzarci, è amare a costo anche di fatiche e di sofferenze, ma con la forza, la grazia e la gioia che lo Spirito Santo assicura a tutti cristiani e non solo ai martiri.

† Vescovo Carlo