La strada della Santità per noi
Omelia nella solennità di Tutti i Santi 2024
01-11-2024

Venerdì 1 novembre 2024 l’arcivescovo Carlo ha presieduto in cattedrale la solenne celebrazione eucaristica nella solennità di Tutti i Santi.
Celebriamo questa sera la solennità di “Tutti i santi”. una celebrazione che ci riempie di gioia e di consolazione perché ci fa contemplare il paradiso, quella 
«moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua» di cui ci ha parlato la visione dell’Apocalisse.

Ma chi sono i santi, i beati? La risposta ci viene data dal Vangelo che per otto volte ripete “beati”. Sono i poveri in spirito, coloro che piangono, i miti, i misericordiosi, i puri di cuore, gli operatori di pace, i perseguitati per la giustizia, i discepoli perseguitati per causa di Gesù. Tranne che per l’ultima beatitudine, dove il legame con Gesù è esplicito, tutte le altre beatitudini descrivono situazioni e atteggiamenti che anche i non cristiani possono vivere. La santità non è riservata ai solo cristiani, il paradiso è per tutti. Del resto – ricordate la parabola del giudizio finale contenuta nel cap. 25 del Vangelo secondo Matteo – verremo tutti giudicati, cristiani e non, credenti e non, su quello che avremmo compiuto o non compiuto a favore degli affamati, degli assetati, degli ignudi, degli stranieri, degli ammalati, dei carcerati. E questo a prescindere dal sapere o non sapere che Gesù si è identificato con essi. Tutti, quindi, uomini e donne di oggi e di ogni epoca, siamo chiamati alla salvezza, alla santità.

I cristiani, però, hanno il grande dono – per tornare al giudizio finale – di sapere che nel bisognoso è presente il Signore. Un grande dono, ma anche una grande responsabilità. Non solo, come cristiani abbiamonon certo per nostro merito, ma per grazia, tanti aiuti per camminare nella via della santità. In questi giorni papa Francesco ne ha indicato uno, con la sua quarta enciclica intitolata Dilexit nos, dedicata all’amore umano e divino del cuore di Gesù Cristo, come recita il sottotitolo. Ed è quello di mettere al centro della nostra vita il cuore di Gesù.

A tale proposito papa Francesco fa un lungo elenco di santi e di sante che hanno trovato nel riferimento al cuore di Gesù la via per la santità: sant’Agostino, san Bernardo, san Bonaventura, santa Angela da Foligno, santa Caterina da Siena, san Francesco di Salessan Charles de Foucauld, santa Teresa di Lisieux, san Vincenzo de’ Paoli, san Pio da Pietrelcina, santa Teresa di Calcutta, santa Faustina Kowalska per citarne solo alcuni di quelli ricordati nell’enciclica; inoltre il papa parla anche di altri uomini e donne, nonché di istituti religiosi che hanno dato grande rilievo al cuore di Gesù. Naturalmente papa Francesco cita in modo particolare Santa Margherita Maria Alacoque San Claudio de La Colombière, cui si deve nella seconda metà del 1600 la diffusione della devozione al Sacro Cuorecon la pratica, tra l’altro, dei primi venerdì del meseche resta ancora oggi in diverse nostre parrocchie.

Papa Francesco precisa molto bene che il riferimento al cuore di Gesù non è una devozione tra le tante, ma è dare risalto alla contemplazione di ciò che è al centro dell’umanità di Gesù, appunto il suo cuore: «La devozione al Cuore di Cristo non è il culto di un organo separato dalla Persona di Gesù. Ciò che contempliamo e adoriamo è Gesù Cristo intero, il Figlio di Dio fatto uomo, rappresentato in una sua immagine dove è evidenziato il suo cuore» (n. 48). Contemplando nei Vangeli i gesti e le parole di Gesù riusciamo a comprendere che essi hanno la sorgente nel suo cuore dove è presente un triplice amore, quello divino di Lui che è Figlio di Dio, quello umano spirituale e quello umano sensibile di Lui che è vero uomo. Papa Francesco insiste molto su questa dimensione umana del cuore di Cristo, che lo rende simile al nostro cuore. A proposito, per esempio, delle parole di Gesù, il testo dell’enciclica afferma: «Le parole che Gesù diceva mostravano che la sua santità non eliminava i sentimenti. In alcune occasioni manifestavano un amore appassionato, che soffre per noi, si commuove, si lamenta, e arriva fino alle lacrime. È evidente che non lo lasciavano indifferente le comuni preoccupazioni e ansie della gente, come la stanchezza o la fame: «Sento compassione per la folla; […] non hanno da mangiare. […] Verranno meno lungo il cammino; e alcuni di loro sono venuti da lontano» (Mc8,2-3)» (n. 44). Gesù piange per Gerusalemme e davanti alla tomba dell’amico Lazzaro, prova paura e angoscia nell’orto degli ulivi, grida il suo sentirsi abbandonato sulla croce, ma guarda con amore il giovane ricco, si meraviglia della fede del centurione, loda il Padre perché si è rivelato ai poveri: tutte espressioni del suo cuore, della sua interiorità d’amore.

Ecco allora la strada della santità per noi: avere, come afferma san Paolo nella lettera ai Filippesi (2,5), gli stessi sentimenti di Gesù, del suo cuore, mettendo in gioco la nostra umanità per amore.

Ma la strada ancora più sicura e più semplice è quella che papa Francesco ci proponenell’enciclica riprendendo l’insegnamento di Santa Teresa di Lisieux. Un insegnamento che – lo confido – mi consola molto, consapevole come sono, soprattutto in certi momenti, delle mie fragilità e di quanto sono velleitari i miei desideri e propositi di santità. Ma forse anche voi provate la stessa cosa… Cedo allora la parola a papa Francesco: «In molti dei suoi testi [di Teresa di Lisieux] si nota la sua lotta contro forme di spiritualità troppo incentrate sullo sforzo umano, sul merito proprio, sull’offerta di sacrifici, su determinati adempimenti per “guadagnarsi il cielo”. Per lei, «il merito non consiste nel fare né nel donare molto, ma piuttosto nel ricevere». Leggiamo ancora una volta alcuni dei testi molto significativi nei quali insiste su questa via, che è un modo semplice e veloce di conquistare il Signore attraverso il cuore. Così scrive alla sorella Leonia: «Ti assicuro che il buon Dio è assai migliore di quanto tu creda: si accontenta di uno sguardo, di un sospiro d’amore. Quanto a me, trovo molto facile praticare la perfezione, perché ho capito che non c’è che da prendere Gesù per il cuore! Guarda un bambino, che ha appena recato dispiacere a sua madre. […] Se le tenderà le braccine sorridendo e dicendo: “Abbracciami, non ricomincerò più”, potrà forse sua madre non stringerselo al cuore con tenerezza e dimenticare le sue mancanze infantili? Tuttavia ella sa bene che il suo caro piccino ricomincerà alla prossima occasione, ma questo non importa: se egli la prende ancora per il cuore, non sarà mai punito». In una lettera al padre Adolphe Roulland dice: «La mia via è una via tutta di fiducia e d’amore; io non capisco le anime che hanno paura di un così tenero Amico. Talvolta, quando leggo certi trattati spirituali, nei quali la perfezione è presentata attraverso mille ostacoli, circondata da una folla di illusioni, il mio povero spirito si stanca molto presto; chiudo il dotto libro, che mi rompe la testa e mi inaridisce il cuore, e prendo la Sacra Scrittura. Allora tutto mi appare luminoso: una sola parola svela alla mia anima orizzonti infiniti; la perfezione mi appare facile; vedo che basta conoscere il proprio niente e abbandonarsi come un bambino nelle braccia del buon Dio» (nn. 139-141).

Vi auguro allora di abbandonarvi tutti nelle braccia di Dio e di prendere Gesù per il cuore: è la nostra via di santità!.

+ vescovo Carlo