Vorrei fermarmi a riflettere con voi su una caratteristica che distingue la passione secondo Giovanni dai racconti presenti negli altri tre Vangeli. Si tratta dell’enfasi data alla figura di Pilato. Negli altri Vangeli si parla del governatore romano, del suo desiderio di interrogare Gesù, della sua convinzione che egli sia innocente e del tentativo di salvarlo anche proponendo il baratto con Barabba, e, infine, del suo arrendersi alle pressioni dei sommi sacerdoti e dei capi del popolo consegnando loro il Signore Gesù. E’ solo però nel Vangelo di Giovanni che si dà grande rilievo a Pilato e al suo confronto con Gesù, che secondo questo Vangelo non tace ma accetta il dialogo con il governatore romano. Un dialogo che ha l’andamento di un dramma che si svolge su una scena e dietro le quinte. Più volte il Vangelo sottolinea che Pilato esca ed entra: «Pilato dunque uscì verso di loro…; Pilato allora rientrò nel pretorio…; uscì di nuovo verso i Giudei…; Pilato uscì fuori di nuovo…; Entrò di nuovo nel pretorio…; Pilato fece condurre fuori Gesù e sedette in tribunale». C’è un continuo movimento, una continua incertezza, un andirivieni tra Gesù (che è nel pretorio tranne quando ne viene portato fuori) e i Giudei che se ne stanno all’esterno per non contaminarsi con il contatto con un pagano. L’oscillare tra dentro e fuori manifesta un’incertezza interiore che Pilato ha nel cuore: chi è questo Gesù? che posizione devo prendere nei suoi confronti? posso cavarmela senza danni? come fuggire dalla trappola che mi stanno tendendo questi Giudei, che sanno che quest’uomo è innocente, ma vogliono condannarlo presentandolo come nemico di Cesare? loro sono i veri nemici di Cesare, ma ora cercano di ricattarmi: «Se liberi costui, non sei amico di Cesare! Chiunque si fa re si mette contro Cesare». Gesù non ricatta Pilato, non gioca con lui come stanno facendo i Giudei – un gioco pericoloso pieno di sottintesi, di contrapposizioni e di offerta di complicità – ma cerca di portarlo alla verità di se stesso, una verità che può trovare solo se scopre la verità su Gesù. «Che cosa è la verità?», chiede a un certo punto Pilato, ma non aspetta la risposta. Intuisce che Gesù è re, che è l’uomo per eccellenza, ma lascia cadere queste intuizioni, preso dalla preoccupazione di cavarsela e non farsi immischiare. C’è un paradosso in tutto questo, perché Pilato sarà per sempre per così dire immischiato con Gesù: il suo nome entrerà nel Credo ed è stato, è e sarà ripetuto infinite volte nella storia. Che fine ha fatto Pilato? Ci auguriamo che l’infinita misericordia di Dio gli abbia permesso di rivedere Gesù nel suo Regno e di riconoscerlo finalmente come il suo Salvatore, senza avere più paura di Lui, ma gioendo per sempre con Lui insieme agli angeli, ai santi e alle sante del Cielo. Ora però siamo noi che siamo di fronte a Gesù, a Lui che oggi contempliamo condannato, confitto su una croce, ucciso. Che posizione prendiamo nei suoi confronti? Il Crocifisso è il nostro re? E’ Lui il vero uomo? Lui che – come sottolineava il profeta Isaia – «non ha apparenza, né bellezza… né splendore»? Siamo chiamati a prendere posizione non davanti a una teoria, a una dottrina, a una morale, ma a un uomo, un uomo crocifisso, un uomo «messo alla prova in ogni cosa» come ha affermato la seconda lettura. Chi sei tu, Signore? Chi sei per me? Il condannato, l’uomo, il re, il salvatore? Teniamo vive dentro di noi queste domande, mentre contempliamo e adoriamo la sua croce.
† Vescovo Carlo