Giovedì 9 aprile il vescovo Carlo ha presieduto in cattedrale la messa In Coena Domini.
La liturgia si è svolta a porte chiuse ed è stata trasmessa in diretta sulla pagina Facebook dell’Arcidiocesi e sul canale YouTube Chiesadigorizia.
«Nella notte in cui veniva tradito»: così comincia il racconto della istituzione dell’Eucaristia che l’apostolo Paolo presenta ai Corinzi come abbiamo ascoltato nella seconda lettura. Si tratta di un’espressione ripresa alla lettera o con parole simili nel momento centrale delle preghiere eucaristiche che utilizziamo nelle nostre Messe. E’ una mera indicazione temporale o è qualcosa di più? E se è di più, perché c’è questo legame tra l’Eucaristia e la notte del tradimento? Possiamo rispondere a tale questione facendoci un’altra domanda: perché Gesù ha istituito l’Eucaristia? Ci sono delle risposte vere, ma parziali.
Una prima: per assicurare una sua presenza reale, anche se sacramentale, lungo i secoli della storia della Chiesa in attesa del compimento del Regno. Se questo fosse stato il suo unico intento lo avrebbe potuto realizzare benissimo anche in un altro momento e non prima della passione. Per esempio, collegando l’istituzione dell’Eucaristia alla sua presenza nella preghiera dei discepoli: «dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt 18,20).
Un’altra risposta: Gesù ha istituito l’Eucaristia per essere nostro cibo e così farci entrare in comunione con Lui e con la sua vita. Ma se è così, il contesto migliore per farlo e spiegarlo, più che l’ultima cena, poteva essere il miracolo della moltiplicazione dei pani con il discorso sul pane di vita che ne aveva svelato il senso (cf Gv 6).
Un terzo motivo che chiarisce in parte l’istituzione dell’Eucaristia è il darci la possibilità di adorare in modo giusto Dio, con un nostro atto di culto, un nostro sacrificio. Anche in questo caso, il momento più adatto poteva essere un altro. Per esempio il colloquio con la samaritana quando la donna aveva chiesto esplicitamente a Gesù dove bisognasse adorare Dio se a Gerusalemme o sul monte della Samaria e Gesù aveva risposto parlando dell’adorazione in spirito e verità. (cf Gv 4,19-24).
Una quarta spiegazione del perché Gesù ha istituito l’Eucaristia potrebbe riferirsi alla opportunità di offrirci un gesto che ci costituisse come comunità, che ci identificasse come cristiani, ci rendesse Chiesa. Poteva in questo caso istituirla da Risorto collegandola all’invio dei discepoli nel mondo e al Battesimo. Oppure poteva scegliere un momento di convivialità con i suoi discepoli, ma certamente più sereno dell’ultima cena.
Come dicevo, queste varie risposte al perché Gesù ha istituito l’Eucaristia sono tutte legittime, ma incomplete. E’ vero: l’Eucaristia è il sacramento della presenza reale di Gesù;l’Eucaristia è Gesù che, vero pane di vita, diventa nostro cibo e ci permette di entrare in comunione con Lui; l’Eucaristia è il nostro modo di adorare il Padre; infine l’Eucaristia ci rende Chiesa e ci identifica come comunità cristiana (e lo comprendiamo bene, ora che ci manca).
Ma l’Eucaristia non è solo questo, c’è altro e questo altro ci viene rivelato proprio dal collegamento con la notte del tradimento, cioè con la passione. L’Eucaristia, infatti, è il sacramento del sacrificio di Cristo, del dono di sé che Lui ha compiuto sulla croce. Il corpo, dice Gesù, «è per voi»; il sangue, ricorda la versione di Matteo, «è versato per molti per il perdono dei peccati» (Mt 26,28). L’Eucaristia allora è presenza, cibo, comunione, adorazione, sorgente della Chiesa, ma solo perché è il sacramento della croce. Cristo è il vero agnello pasquale: quello dell’Esodo era solo una prefigurazione; la sua è la Pasqua definitiva.
Tramite la celebrazione eucaristica partecipiamo al dono di sé da parte di Gesù, siamo in comunione con Lui ed entriamo nella sua stessa dinamica di amore. Questo come singoli e come comunità credente. Se non fosse così, significa che restiamo solo alla periferia del sacramento, ne cogliamo solo alcuni aspetti, ma non il cuore. Il cuore è l’amore, un amore sino alla fine: «Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine».
Anche se ascoltiamo ogni anno il giovedì santo il passo del Vangelo di Giovanni che comincia così, tutte le volte ci sorprendiamo che non segua il racconto dell’istituzione dell’Eucaristia, ma quello della lavanda dei piedi. Un gesto preceduto da un’introduzione che ci sembra esagerata quanto è solenne: «Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava…» e sproporzionata rispetto a quanto segue: «si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto». Forse perché per noi la lavanda dei piedi è poco più di un gesto evocativo, che dà una certa dinamicità alla celebrazione (e ce ne accorgiamo oggi che non possiamo viverlo…) e basta.
Invece c’è una profonda continuità tra quel gesto, l’Eucaristia e la croce. Perché la logica è la stessa: è l’amore. Si ama servendo nelle piccole cose e anche in semplici occasioni, si ama impegnandosi in maniera più impegnativa e magari sui tempi lunghi, si ama mettendo a rischio la nostra vita per gli altri e persino donandola effettivamente per loro. Un amore non generico, non qualsiasi, non il nostro amore così spesso superficiale che la tragica condizione di oggi svela in tutta la sua inconsistenza, ma l’amore di Cristo che dà la vita per noi e ci rende capaci di amare così, che ne siamo coscienti, grazie al dono della fede, o che non ne siamo consapevoli. Questo è il vero miracolo dell’Eucaristia: renderci capaci, noi con le nostre fragilità, i nostri peccati, i nostri tradimenti (appunto «la notte in cui veniva tradito»…) di amare e di amare come Gesù, partendo dall’umile e semplice servizio fino a gesti di cui nessuno penserebbe di essere capace.
Che il Signore ci aiuti questa sera a scoprire così l’Eucaristia, ora che solo pochi la possono celebrare a nome di tutti e molti devono viverla solo nel desiderio e nell’attesa. Ci aiuti a vederne la forza di amore nelle molte testimonianze, piccole e grandi, che questa crisi ci sta offrendo.
Ci aiuti a ricordarci di questo quando Lui ci concederà di riprendere il ritmo normale delle celebrazioni nelle nostre comunità. Il ritmo normale, non certo la stanca e ripetitiva abitudine che a volte caratterizza il nostro celebrare (e di questo chiedo anch’io perdono a Dio con voi). E allora sarà una ripresa piena di gioia, che ci renderà ancora di più e realmente Chiesa, nutrita dal Corpo e dal Sangue di Colui che è il Tradito, il Crocifisso, il Risorto.
+ vescovo Carlo