Può sembrare strano che il messale sbagli. Eppure la prima orazione con la quale abbiamo aperto questa celebrazione sembra poco convincente. In essa abbiamo chiesto: “donaci il vero spirito del Vangelo, perché ardenti nella fede e instancabili nella carità diventiamo luce e sale della terra”. Ma nel Vangelo di oggi il Signore non ci dice: “Dovete essere sale, dovete essere luce” e nemmeno “Vi esorto a essere sale, a essere luce”. Afferma invece: “Voi siete sale, voi siete luce”. Semplicemente lo siete in quanto discepoli, in quanto credenti, in quanto battezzati. Si tratta di proposizioni che Gesù pronuncia in termini affermativi, non imperativi o esortativi.
Il problema vero – e su questo il Signore ci mette in guardia – è che possiamo smarrire questa nostra qualifica: il sale può perdere il sapore ed essere quindi gettato via, la luce può essere nascosta e persino spenta. L’impegno chiesto al credente non è allora quello di diventare qualcosa, ma di prendere coscienza di quello che è ed evitare di compromettere la sua natura, il suo essere sale e luce.
Come fare? Potremmo dirlo in termini negativi e in termini positivi evidenziando che cosa fa perdere la qualifica di sale e di luce e che cosa invece la mantiene.
Ciò che fa perdere è anzitutto la non consapevolezza di quello che si è, cioè cristiani. Una non consapevolezza che può derivare da distrazione (non ci penso, sono preso da tante cose, non ho tempo); da trascuratezza (lo so, ma non è qualcosa di importante); da difficoltà (sono ammalato, sono in crisi, ho problemi e ho altro a cui pensare); da presunzione (è ovvio che lo sono e quindi lo do per scontato).
Un esempio di poca consapevolezza di essere cristiani viene spesso sottolineato da papa Francesco: il non ricordare o persino il non sapere la data del proprio Battesimo. Eppure allora è cambiato tutto nella nostra vita: siamo diventati figli di Dio.
Un altro modo per rischiare di perdere la qualifica di sale e di luce è dato dal pensare di esserlo per propria iniziativa e propria capacità. Quando cioè si è consapevoli di esserlo – e questo è una buona cosa –, ma si ritiene di essere noi i protagonisti della questione.
Questa è una tentazione facile e ricorrente, sia a livello personale sia a livello ecclesiale. I problemi nella nostra vita personale e comunitaria nascerebbero – sul presupposto che tutto dipende da noi – dal fatto che non siamo abbastanza impegnati, non siamo abbastanza efficienti, non siamo abbastanza organizzati. Attenzione: ci vogliono impegno, efficienza, organizzazione sia a livello personale, sia comunitario: la vita cristiana non è disimpegno, disordine, pigrizia. Ma l’essere sale e luce come singoli e come Chiesa è un dono, e non dipende anzitutto dall’impegno, dall’efficienza, dall’ordine, dall’organizzazione. Tutte cose che ci vogliono, ma come mezzi dentro una risposta di accoglienza di un dono, che va accolto e prima ancora implorato.
Molto significativo a questo proposito è ciò che afferma Paolo nella seconda lettura: «Io, fratelli, quando venni tra voi, non mi presentai ad annunciarvi il mistero di Dio con l’eccellenza della parola o della sapienza». Quindi – afferma l’apostolo – non mi sono fidato di ciò che era ritenuto fondamentale per la cultura greca in cui gli ascoltatori di Paolo e lo stesso apostolo erano immersi: eccellenza di parola e sapienza. Non per niente le persone ritenute maggiormente apprezzate a livello sociale non erano, come da noi cantanti, attori, calciatori, ecc., ma i filosofi, uomini della parola e depositari della sapienza.
E Paolo continua: «Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso». Esiste allora una sapienza cristiana, ma è quella della croce: della sconfitta, della umiliazione, della condivisione della sorte dei peccatori, dell’amore che dà la vita. Una sapienza che anche chi vive situazioni difficili come la malattia, può chiedere al Signore e ottenere da Lui. Al riferimento al Crocifisso san Paolo aggiunge quello allo Spirito Santo: «Mi presentai a voi nella debolezza e con molto timore e trepidazione. La mia parola e la mia predicazione non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza, perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio».
Lo Spirito è la potenza di Dio. Ed è lo Spirito che nel Battesimo ci rende figli ed è sempre lo Spirito che ci mantiene nel nostro essere figli del Padre e discepoli di Cristo in tutte le circostanze della vita, belle e brutte, luminose e oscure. E’ Lui che guida e deve guidare la nostra vita e non semplicemente perché ci dà le buone ispirazioni (che poi pensiamo noi a mettere in pratica…), ma perché ci trasforma un po’ alla volta in veri discepoli di Cristo.
Il problema dell’essere sale e luce consiste allora nell’aprirsi al dono dello Spirito, nel lasciarsi guidare da Lui e, prima ancora, nel lasciarsi plasmare da Lui come figli a immagine del Figlio, con gli stessi sentimenti, pensieri, atteggiamenti di Gesù. Non si può essere cristiani se non così, qualunque sia la nostra vocazione, il nostro impegno nella Chiesa e nella società. Qualunque sia la nostra situazione personale.
C’è quindi una priorità da dare allo Spirito. Pertanto una priorità da dare alla preghiera e non solo come invocazione. E’ giusto chiedere nella preghiera al Signore, per esempio, il dono della salute o la soluzione di intricate questioni familiari, ed è giusto domandarlo confidando nell’intercessione dei santi e, in particolare, di Maria, che oggi invochiamo come la Madonna di Lourdes. Ma la preghiera è anzitutto ciò che ci rende sempre più figli, ciò che ci trasforma per opera dello Spirito Santo in persone “rivestite di Cristo” (come afferma san Paolo in una sua lettera), ci rende sale e luce e ce lo fa essere nel concreto, anche con scelte precise, coraggiose, come quelle di giustizia che il profeta indica nella prima lettura: «Non consiste forse [il digiuno che voglio] nel dividere il pane con l’affamato,nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto,nel vestire uno che vedi nudo, senza trascurare i tuoi parenti? Allora la tua luce sorgerà come l’aurora,la tua ferita si rimarginerà presto.Davanti a te camminerà la tua giustizia, la gloria del Signore ti seguirà».
Occorre allora dare molto spazio alla preghiera, alla meditazione della Parola di Dio guidati dallo Spirito, alla invocazione. Non per fuggire dalla realtà, ma per essere dentro il mondo come sale e come luce anche in modo nuovo, con scelte coerenti, con decisione e, perché no, un po’ di energia in senso positivo. Sia negli ambienti facili sia in quelli difficili.
Auguro allora a tutti voi di essere persone così. Uomini e donne di preghiera, uomini e donne aperti alla trasformazione che lo Spirito opera nei credenti, uomini e donne che proprio per questo, con umiltà e semplicità ma con convinzione, sanno essere sale e luce per la Chiesa e il mondo di oggi anche dentro un ospedale.
† Vescovo Carlo
