Il profeta
L’omelia dell’Arcivescovo Redaelli tenuta nel corso della celebrazione della Giornata della Vita Consacrata in cattedrale a Gorizia.
01-02-2015

Abbiamo sentito nel Vangelo gli interrogativi che la gente si faceva ascoltando Gesù e vedendo quello che compiva. Interrogativi che si possono riassumere nella domanda: chi è Gesù?

Sembra che la risposta ci sia già. Lo dice lo spirito impuro, il diavolo: «Io so chi tu sei: il santo di Dio!». So che sei l’inviato di Dio, il Figlio di Dio. Ma Gesù fa zittire il diavolo, perché non ha nessuna intenzione di ascoltare e di seguire Gesù, ma anzi ha paura del Signore e vuole difendersi da Lui: «Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci?».

La gente di Cafarnao, invece, comincia a capire qualcosa di Gesù o, per lo meno, si sta interrogando su di Lui. Coglie in particolare due aspetti. Anzitutto l’insegnamento: «erano stupiti del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi». Gesù ha autorità non perché impone con la forza le sue idee e neppure perché fa come gli scribi che spesso si limitavano a ripetere una lezione, ma perché dice le parole vere che scendono nel cuore e che incontrano le domande fondamentali che ogni uomo e ogni donna si pone dentro di sé.

Un secondo aspetto è l’azione di Gesù. In questo caso quella liberatoria nei confronti degli spiriti malvagi che tengono legate le persone. Più spesso, ciò che stupisce la gente sono i miracoli con cui Gesù libera dalle malattie e persino dalla morte.

I due aspetti della persona di Gesù portano a pensare a una figura fondamentale nella storia del popolo di Dio, di cui ci parla la prima lettura: il profeta.

Gesù, proprio per la sua parola e il suo agire, viene spesso visto nei Vangeli come profeta, anzi “il profeta” atteso da sempre. Per esempio, i discepoli di Emmaus al loro interlocutore misterioso, presentano Gesù il Nazareno come colui che «fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo» (Lc 24,19).

E’ chiaro che il profeta, e in particolare Gesù, non è tanto colui che predice il futuro, quanto piuttosto colui che dice le parole che interpretano il senso della vita e della storia e compie dei gesti che svelano il fatto che il regno di Dio – al di là delle apparenze – è in opera nel nostro mondo.

Chi continua oggi questa funzione profetica di Gesù? Certamente ogni cristiano che con il battesimo viene costituito a immagine del Cristo, re, sacerdote e profeta. Ma sicuramente, per una vocazione specifica a servizio della vocazione di ogni credente, i consacrati.

Lo ricorda significativamente papa Francesco nella sua lettera per l’anno della vita consacrata elencando la profezia tra le attese dell’anno della vita consacrata. Ascoltiamo le sue parole.

2. Mi attendo che “svegliate il mondo”, perché la nota che caratterizza la vita consacrata è la profezia. Come ho detto ai Superiori Generali «la radicalità evangelica non è solamente dei religiosi: è richiesta a tutti. Ma i religiosi seguono il Signore in maniera speciale, in modo profetico». È questa la priorità che adesso è richiesta: «essere profeti che testimoniano come Gesù ha vissuto su questa terra … Mai un religioso deve rinunciare alla profezia» (29 novembre 2013).

Il profeta riceve da Dio la capacità di scrutare la storia nella quale vive e di interpretare gli avvenimenti: è come una sentinella che veglia durante la notte e sa quando arriva l’aurora (cfr Is 21,11-12). Conosce Dio e conosce gli uomini e le donne suoi fratelli e sorelle. È capace di discernimento e anche di denunciare il male del peccato e le ingiustizie, perché è libero, non deve rispondere ad altri padroni se non a Dio, non ha altri interessi che quelli di Dio. Il profeta sta abitualmente dalla parte dei poveri e degli indifesi, perché sa che Dio stesso è dalla loro parte.

Mi attendo dunque non che teniate vive delle “utopie”, ma che sappiate creare “altri luoghi”, dove si viva la logica evangelica del dono, della fraternità, dell’accoglienza della diversità, dell’amore reciproco. Monasteri, comunità, centri di spiritualità, cittadelle, scuole, ospedali, case-famiglia e tutti quei luoghi che la carità e la creatività carismatica hanno fatto nascere, e che ancora faranno nascere con ulteriore creatività, devono diventare sempre più il lievito per una società ispirata al Vangelo, la “città sul monte” che dice la verità e la potenza delle parole di Gesù.

A volte, come accadde a Elia e a Giona, può venire la tentazione di fuggire, di sottrarsi al compito di profeta, perché troppo esigente, perché si è stanchi, delusi dai risultati. Ma il profeta sa di non essere mai solo. Anche a noi, come a Geremia, Dio assicura: «Non aver paura … perché io sono con te per proteggerti» (Ger 1,8).

Non ci sarebbe nulla da aggiungere alle parole del papa, ma vorrei tentare di avviare una loro applicazione alla nostra Chiesa di Gorizia lasciando a voi di approfondirla.

Anzitutto devo dire che per quel poco che conosco della storia della nostra diocesi, la presenza significativa, ampia e variegata nei carismi della vita religiosa ha permesso nei secoli una vivacità in campo religioso, educativo, catechetico, culturale e caritativo di grande rilevanza che ha caratterizzato e arricchito la nostra Chiesa come poche altre. Di questo immenso patrimonio di santità e vita cristiana, oltre che di cultura e di socialità, dobbiamo essere molto grati al Signore e dobbiamo impegnarci a non disperderlo.

In particolare vi chiedo oggi di aiutare la nostra Diocesi e, soprattutto, la città di Gorizia, dove la vostra presenza è ancora notevole, a non fermarsi a guardare indietro, a celebrare o rimpiangere nostalgicamente le glorie passate, a piangere sulle ferite, a cercare giustificazioni in anni lontani per l’inazione di oggi, ma a prendersi cura con coraggio del qui e ora e a guardare con fiducia il futuro.

Già lo fate andando spesso contro corrente: tenendo aperti o aprendo (a volte con critiche e incomprensioni) centri di assistenza (anche di eccellenza) per disabili, malati, anziani, poveri, rifugiati; cercando di mantenere, nonostante gravi difficoltà, le iniziative di carattere educativo e scolastico; restando sempre disponibili all’ascolto e al servizio della gente; offrendo luoghi e comunità aperti alla preghiera; e così via. Grazie.

Non scoraggiatevi e non indulgete alla logica efficientista del mondo, che spingerebbe a programmare chiusure, a studiare rendimenti remunerativi per il significativo patrimonio immobiliare, a trovare il modo per un’elegante uscita di scena. Non si tratta di resistere fino all’ultimo soldato (… o soldatessa), ma di lavorare con impegno fin quando ci sono le condizioni e guardando avanti. Non vi chiedo di domandarvi come sarà la Chiesa di Gorizia tra 50 anni, ma come sarà tra 5, 10 anni, questo sì. E di immaginare cosa vorrà dire allora – ma è tra poco… – essere una presenza di consacrati qui, in questo territorio e in questa Chiesa.

Nel frattempo vi suggerirei di lavorare, come del resto dovrà fare l’intera diocesi, su due ambiti. Anzitutto un ancora più marcato coinvolgimento dei fedeli laici (in particolare giovani), spesso giustamente affascinati dal vostro carisma e disponibili a impegnarsi con generosità.

E poi un maggior collegamento tra di voi, non per confondere o annacquare i carismi, ma per sentire insieme il compito bello e impegnativo di essere profezia per tutta la nostra Chiesa oggi e per il tempo che il Signore vorrà.

† Vescovo Carlo