Sono rientrato ieri da un pellegrinaggio con un gruppo di sacerdoti ai luoghi di papa Giovanni XXIII e papa Paolo VI. Due grandi pontefici decisivi per la storia della Chiesa non solo del secolo scorso, ma anche dell’attuale e dei futuri. Decisivi soprattutto per quel dono che lo Spirito Santo ha fatto alle nostre generazioni, quell’evento di grazia che è stato il Concilio Vaticano II.
Uno dei frutti più evidenti del Concilio è costituito dalla riscoperta della Parola di Dio, a cominciare dalla sua abbondante presenza nella liturgia. Decenni ormai di ascolto di questa Parola non sono ancora bastati affinché essa divenga sempre più, come afferma il salmo 118, “lampada per i nostri passi” e “luce per il nostro cammino”. E’ un processo lungo che esige costanza, apertura di mente, rottura dei nostri schemi mentali anche “religiosi”, conversione dei cuori e della vita. Certamente siamo diventati più esigenti nei confronti della stessa Parola presente nella liturgia.
Per esempio, è cresciuta la convinzione della necessità di un accostamento integrale alla Parola di Dio, così come ci viene presentata dalla Sacra Scrittura, senza che essa venga per così dire adattata alle nostre esigenze o, peggio, senza che il suo filo di spada tagliente (cf Ebrei 4,12) venga in qualche modo smussato dalle nostre paure e precomprensioni.
Il brano di Vangelo di oggi è appunto uno dei casi – per fortuna pochi… – dove la scelta liturgica non presenta il testo nella sua integralità, ma ne taglia alcuni versetti in due punti. Mi fermo solo sul primo “taglio”. Il nostro brano passa dal v. 2: «Si avvicinava intanto la festa dei Giudei, quella delle Capanne» al v. 10: «Quando i suoi fratelli salirono per la festa, vi salì anche lui: non apertamente, ma quasi di nascosto». Appaiono improvvisamente questi “fratelli” e si dice che anche Gesù va alla festa: sembra in loro compagnia, anche se di nascosto. In realtà non è così. Vi leggo i versetti dal 3 al 9: «I suoi fratelli gli dissero: “Parti di qui e va’ nella Giudea, perché anche i tuoi discepoli vedano le opere che tu compi. Nessuno infatti, se vuole essere riconosciuto pubblicamente, agisce di nascosto. Se fai queste cose, manifesta te stesso al mondo!”. Neppure i suoi fratelli infatti credevano in lui. Gesù allora disse loro: “Il mio tempo non è ancora venuto; il vostro tempo invece è sempre pronto. Il mondo non può odiare voi, ma odia me, perché di esso io attesto che le sue opere sono cattive. Salite voi alla festa; io non salgo a questa festa, perché il mio tempo non è ancora compiuto”. Dopo aver detto queste cose, restò nella Galilea». A questo punto continua il v. 10: «Quando i suoi fratelli salirono per la festa, vi salì anche lui: non apertamente, ma quasi di nascosto». Potremmo dire – un po’ scherzando…- che i versetti tagliati sono imbarazzanti perché presentano una “bugia” di Gesù: dice che non andrà alla festa, ma poi ci va…
Al di là però di questa curiosa annotazione, risulta importante il contrasto tra i fratelli e lo stesso Gesù. Sembra semplicemente una difformità di strategia comunicativa. I fratelli sostanzialmente dicono a Gesù: approfitta della festa, del grande concorso di folla a Gerusalemme per la ricorrenza delle Capanne, per farti conoscere. Se hai un messaggio valido, se hai qualcosa da dire, se vuoi farti conoscere come Messia, che cosa c’è di meglio di una grande festa? Se poi, invece, di fare discorsi complicati o esigenti, compi qualche bel miracolo, ecco che il gioco è fatto e anche i tuoi discepoli ne usciranno confortati e sostenuti nella loro decisione di seguirti. Ottimo suggerimento, da ufficio di comunicazione sociale, se non persino da società leader di consulenza nel campo dei mass media.
L’evangelista però annota al v. 5: «Neppure i suoi fratelli infatti credevano in lui». Giudizio chiaro: quanto suggeriscono non c’entra niente con la fede, anzi dimostra proprio la loro non fede (notate l’infatti che collega direttamente il suggerimento con l’incredulità: “neppure i suoi fratelli infatti credevano in lui”). Gesù ovviamente non si sottrae al confronto con la folla, con i Giudei e persino con i propri nemici, non opera di nascosto. Durante la passione affermerà con verità, nell’interrogatorio cui lo sottoporrà il sommo sacerdote che indagava «riguardo ai suoi discepoli e al suo insegnamento»: «Io ho parlato al mondo apertamente; ho sempre insegnato nella sinagoga e nel tempio, dove tutti i Giudei si riuniscono, e non ho mai detto nulla di nascosto. Perché interroghi me? Interroga quelli che hanno udito ciò che ho detto loro; ecco, essi sanno che cosa ho detto» (Gv 18,19-21). Il problema non è che la Parola sia tenuta nascosta: deve essere comunicata. La persona stessa di Gesù, che è il Verbo, la Parola fatta carne, deve essere conosciuta. La questione è invece di fondo, di logica.
La logica di Gesù è quella dell’essere, del servizio, dell’autenticità. Quella dei suoi fratelli è invece la logica dell’avere, del potere, dell’apparire. Tre realtà che si rafforzano a vicenda: se hai, puoi apparire di più – pagando chi ti fa questo servizio… – e così aumenti il tuo potere, che, a sua volta, aumenta il tuo avere e la tua possibilità di apparire. Avere, potere, apparire: è la logica dei fratelli di Gesù, ma è anche la logica del mondo. Noi non siamo immuni dal mondo: ci siamo dentro e le sue logiche ci sembrano, appunto, logiche. Non sono però la logica della croce. Quanto tutto ciò sia determinante per il vostro importante e delicato compito, lo lascio alla vostra riflessione. Buon lavoro.
† Vescovo Carlo
