Il fuoco dell'amore di Dio
Omelia nella celebrazione dei fedeli defunti 2 novembre 2024
02-11-2024

Sabato 2 novembre 2024 l’arcivescovo Carlo ha presieduto nella chiesa di Sant’Ignazio l’eucarestia nel giorno in cui la liturgia della Chiesa commemora tutti i fedeli defunti.

Celebriamo questa sera la commemorazione di tutti i fedeli defunti e in particolare dei nostri cari che non sono più visibilmente tra noi. Le letture che abbiamo ascoltato sono quelle della XXXI domenica del tempo ordinario: brani della Parola di Dio che però ci aiutano a vivere bene anche questo momento di intensa preghiera, piena di ricordi, di affetto, di rimpianto ma soprattutto di speranza per i nostri cari.

La speranza: sapete che ho voluto intitolare la lettera pastorale di quest’anno capovolgendo il noto proverbio “finché c’è vita, c’è speranza” in “finché c’è speranza, c’è vita”, perché è la speranza, una speranza affidabile fondata sulla nostra fede, ciò che ci tiene vivi. E non è vero che – per citare un altro proverbio – “la speranza è l’ultima a morire”: la speranza infatti non muore, ma si trasforma nella realtà di ciò che è sperato. Noi speriamo per noi stessi, per i nostri cari e per tutti gli esseri umani il compimento del Regno di Dio. Questa speranza finirà solo quando saremodefinitivamente, come appunto speriamo, nel Regno di amore di Dio.

L’amore: è esattamente il tema del Vangelo di oggi. In realtà la domanda dello scriba che si avvicina a Gesù per interrogarlo – a quanto sembra con un atteggiamento di disponibilità e non di contrapposizione (il passo evangelico è inserito in una serie di tentativi degli avversari di Gesù di metterlo in difficoltà) – non riguarda l’amorema il primo dei comandamenti. È invece la risposta di Gesù che mette al centro l’amore come un unico comandamento nel duplice versante dell’amore totale verso Dio (tutta l’anima, tutto il cuore, tutta la mente, tutta la forza) e verso il prossimo da amare come se stessi. L’amore è l’essenza di tutti i comandamenti, i dieci e anche di ogni norma, disposizione, esortazione che vuole indicarci la via per realizzare la nostra vita. Alla fine ciò che resterà sarà solo l’amore, la carità, perché nel Regno di Dio non ci sarà più posto per la fede, dal momento che finalmente vedremo il volto di Dio, e, come si diceva, anche la speranza avrà terminato il suo compito avendo raggiunto ciò che era sperato.

 Finché siamo in questa vita, però, insieme alla carità, sono fondamentali anche la fede e la speranza, due virtù che sono appunto orientate al compimento dell’amore da vivere già ora nella concretezza della nostra quotidianità. È ciò che cerchiamo di fare, con l’aiuto della grazia di Dio. Ed è anche quello che hanno cercato di realizzare coloro che ci hanno preceduto su questa terra.L’esperienza quotidiana ci dice però che la nostra vita non vede solo la luminosità delle tre virtù, fede, speranza e carità e di tutto ciò di bello, di buono e di vero che si riferisce a esse. Purtroppo, infatti, nella nostra vita c’è spazio, talvolta anche abbondante, anche per l’oscurità del dubbioinvece della fede, dello scoraggiamento invece della speranza, dell’egoismo invece dell’amore, del brutto invece del bello, del cattivo invece del bene, del falso invece del vero. E così è stato anche per la vita dei nostri cari e di tutti gli uomini e donne che hanno vissuto in questo mondo, mane siamo certi, anche per coloro che verranno dopo di noi.

Che cosa succede di questa nostra oscurità in questa vita e dopo questa vita? La seconda lettura ci offre una risposta chiara presentandoci Gesù come colui che «può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si avvicinano a Dio: egli infatti è sempre vivo per intercedere a loro favore». Lui che è «santo, innocente, senza macchia, separato dai peccatori ed elevato sopra i cieli», ma che insieme – come ricorda la stessa lettera agli Ebrei in altri passi che non abbiamo letto – è della nostra stessa carne, in tutto simile a noi, sottomesso alla prova come noi (cf Ebrei 2,14-18).

Gesù è quindi il nostro Salvatore: Lui ci salva da ogni oscurità, da ogni tenebra, da ogni peccato. Può realizzare questo perché Lui compie pienamente il duplice comandamento dell’amore, ma mettendo noi come destinatari al posto di Dio: Gesù ci ama con tutta l’anima, tutto il cuore, tutta la mente, tutta la forza; Lui ci ama come se stesso. Per questo non solo ci dona la grazia per vivere tutto ciò che di bene possiamo realizzare, ma perdona anche continuamente i nostri peccati purificandoci con il suo amore. Lo fa anche alla fine della nostra vita quando sicuramente saremo ancora imperfetti e dovremo constatare che il nostro cammino terreno non è stato tutto amore. Ma come questo avviene?

A questo proposito la fede della Chiesa, basandosi sulla Sacra Scrittura, ha elaborato lungo i secoli la dottrina del purgatorio. Così afferma il Catechismo della Chiesa cattolica: «Coloro che muoiono nella grazia e nell’amicizia di Dio, ma sono imperfettamente purificati, sebbene siano certi della loro salvezza eterna, vengono però sottoposti, dopo la loro morte, ad una purificazione, al fine di ottenere la santità necessaria per entrare nella gioia del cielo» (n. 1030). E aggiunge: «La Chiesa chiama purgatorio questa purificazione finale degli eletti, che è tutt’altra cosa dal castigo dei dannati. […] La Tradizione della Chiesa, rifacendosi a certi passi della Scrittura, parla di un fuoco purificatore» (n. 1031).

Come interpretare questo “fuoco purificatore”? Dobbiamo anzitutto abbandonare certe immagini di anime che bruciano tormentate da un fuoco: sarebbero per lo meno offensive nei confronti di un Dio che è Padre di misericordia e che invece verrebbe presentato come un giudice inflessibile che fa pagare fino all’ultimo con il fuoco ogni imperfezione. No, ciò che purifica anche nella morte è un fuoco, ma è il fuoco dell’amore di Dio. Chi muore non finisce in una fornace di tortura, ma nel cuore di Gesù infiammato di amore. E se ci sarà una sofferenza, sarà quella dell’amore, di non aver accolto abbastanza l’amore di colui che ci ama di un amore infinito. Questo è il purgatorio, nome per altro molto brutto: dovremmo trovarne uno diverso per esprimere una purificazione che è un entrare definitivamente nell’amore di Dio, che la Pasqua di Cristo ci ha rivelato.

Possiamo però chiederci: questa purificazione eliminerà tutto quanto della nostra vita non è stato amore, come in un crogiuolo in cui le scorie vengono bruciate perché resti solo l’oro? Se così fosse – parlo anzitutto per me – resterebbe poco della nostra vita. Sono convinto, invece, che il Signore, il nostro Salvatore, ci ama tutti interi, non butta via niente di noi, nemmeno i momenti più oscuri della nostra vita, ma li riveste del suo perdono, del suo amore. Sono certo che ciò che nella nostra vita è scoria, non verrà bruciatoma rivestito dell’oro dell’amore di Dio.

Comprendiamo allora che cosa è la nostra preghiera di stasera per i nostri cari e per tutti i defunti, una preghiera piena di amore che si unisce al dono di amore di Gesù che celebriamo in questa Messa. Sì, è proprio simile a un po’ d’oro che offriamo al Signore, perché tutti siano rivestiti del suo amore.        

+ vescovo Carlo