Una persona molto attenta agli aspetti religiosi mi ha fatto notare un particolare che mi era sfuggito. Nei giorni scorsi i mezzi di comunicazione sociale – televisione, giornali, ecc. – parlando di questa settimana hanno più volte detto o scritto frasi del tipo: “questi giorni, per i cristiani, costituiscono la settimana santa e domenica celebreranno la Pasqua”. Notizia vera: dov’è la novità o la stranezza? Semplicemente in quell’inciso “per i cristiani”. Fino a pochi anni fa non ci sarebbe stato, si avrebbe detto o scritto: “questi giorni sono la settimana santa”. Ora non più. Che cosa significa, quel “per i cristiani”? Significa semplicemente che la nostra società non è più costituita da soli cristiani o, più semplicemente, si è preso coscienza che i cristiani sono una minoranza, un’ancora forte minoranza, ma comunque una minoranza. Non funziona più l’equivalenza italiano uguale battezzato e società italiana uguale società cattolica.
E’ un bene o è un male? La risposta meriterebbe una riflessione articolata. Certamente a noi cristiani interessa che tutta la società italiana possa vivere i valori del Vangelo, perché siamo convinti che il Vangelo rivela il senso profondo dell’umanità e che quindi i suoi ideali sono pienamente e profondamente umani: vivere secondo gli insegnamenti e l’esempio di Gesù fa crescere in umanità. Una società dove si cerchi di vivere l’amore reciproco, il perdono, l’attenzione ai deboli, l’apertura al trascendente, ecc. è certamente una società migliore anche da un punto di vista umano. Ci si guadagna umanamente a essere cristiani o comunque a ispirarsi ai valori evangelici. Il venire meno di un’influenza positiva sulla società da parte dei cristiani deve quindi preoccuparci, non per una questione di potere, ma perché sappiamo che la Parola di Gesù è verità e vita per tutti.
Deve però essere un’influenza evangelica, che parte dall’umile testimonianza di una scelta di vita e non da un’appartenenza quasi etnica o sociale alla Chiesa. Il trovarsi battezzati solo perché si è nati in Italia, soprattutto se al Battesimo non ha fatto seguito un’educazione, un accompagnamento alla fede, una crescita reale ha aumentato il numero dei cristiani apparenti, ha illuso la Chiesa o parte di essa di essere la maggioranza assoluta e di poter determinare il cammino della società, ha spesso ridotto la fede a religione civile, identitaria e tradizionale. Oggi ci viene data l’opportunità invece di ritrovare l’autenticità di una scelta di fede. Oggi, e domani lo sarà sempre di più, confermare il proprio Battesimo diventa e diventerà sempre più una scelta, per chi è già stato battezzato, e aumenteranno le persone che, come succederà tra poco per Marjana, chiederanno da adulti il Battesimo.
Siamo quindi chiamati a riscoprire il nostro Battesimo, a ritrovare l’origine della nostra fede. La sua sorgente è qui, la stiamo celebrando: è la Pasqua del Signore. Lo ha detto con estrema chiarezza poco fa san Paolo nell’epistola. Vi rileggo quanto affermato dall’apostolo: «O non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? Per mezzo del battesimo dunque siamo stati sepolti insieme a lui nella morte affinché, come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova». Il cristianesimo è tutto qui: nel Battesimo morire con Cristo al peccato e risorgere già ora con Lui per una vita nuova.
Il Battesimo ha detto quindi la parola definitiva sulla nostra vita: ci ha liberati dal peccato, ci ha uniti a Cristo nella Chiesa suo Corpo, ci fa vivere una vita nuova, una vita secondo il Vangelo. L’essenziale è tutto qui. Il resto della vita cristiana è solo attuazione o, qualche volta, solo contorno.
Dicevo giovedì santo mattina ai sacerdoti e ai diaconi che l’ordinazione non aggiunge niente al fatto di essere cristiani, nel senso che il mio essere vescovo, il loro essere presbiteri o diaconi è solo la modalità cui siamo chiamati a vivere il nostro Battesimo. Lo stesso vale per i religiosi e le religiose – ed è molto significativo che ora non modifichino più con la professione religiosa il loro nome di battesimo –, vale per gli sposi cristiani, vale per le molteplici vocazioni laicali.
Parlavo poco fa di contorno. Intendo dire che a volte rischiamo di ridurre la vita cristiana a qualcosa che ne è solo una manifestazione esteriore e superficiale, molte volte solo genericamente di carattere religioso. Si è attaccati alle tradizioni, ma spesso se ne è perso il contenuto evangelico. A scanso di equivoci preciso che mi vanno bene processioni, feste, sagre, o qualsiasi altra devozione, ma solo se ci aiutano a vivere il Vangelo.
E vivere il Vangelo oggi è una scelta. Una scelta umile, non presuntuosa o elitaria (non dobbiamo volere una Chiesa di santi e perfetti), ma autentica. Una scelta di gioia, di riconoscenza per il dono, ricevuto e non meritato, della fede. Qualcosa che ci sta a cuore più di tutto, ci è prezioso e vogliamo condividere anzitutto nelle nostre famiglie. Parliamo qualche volta nelle nostre case, sui luoghi di lavoro o di socialità del Vangelo, di Gesù? E soprattutto viviamo da battezzati?
Concludo dicendo che stanotte dobbiamo essere vicini con molta accoglienza e affetto a Marjana che diventa cristiana e augurarle di continuare con costanza e con gioia il suo cammino di scoperta del Signore, di ascolto della sua Parola, specialmente del Vangelo – che so l’ha particolarmente entusiasmata –, di ingresso fattivo nella comunità cristiana. Ma dobbiamo anche esserle molto riconoscenti perché ci dà l’opportunità, in questa notte santa, di ricordarci che anche noi stiamo stati battezzati, che qui anche noi siamo nati alla fede, che anche noi siamo stati immersi nella Pasqua di Cristo. Un grande dono che tutti dobbiamo testimoniare con immensa gioia. Alleluia.
† Vescovo Carlo