La liturgia si è svolta a porte chiuse ed è stata trasmessa in diretta sulla pagina Facebook dell’Arcidiocesi e sul canale YouTube Chiesadigorizia.
Pubblichiamo di seguito la sua omelia.
Ascoltando il racconto della Passione di Gesù due sono le nostre reazioni più immediate. Da una parte sentiamo insopprimibile il bisogno di stare in silenzio, in muta e raccolta contemplazione, esattamente come abbiamo fatto poco fa interrompendo la lettura e l’ascolto della passione secondo Giovanni al momento della morte di Gesù. Dall’altra percepiamo anche il forte desiderio di non perdere nulla di quanto abbiamo ascoltato, della ricchezza nascosta in ogni parola, in ogni annotazione che ci viene proposta dall’evangelista. Se tutto il Vangelo deve essere letto, studiato, meditato, pregato parola per parola, questo vale in modo assolutamente speciale per il racconto della passione.
Lasciando a ciascuno di trovare tempo in questa giornata per momenti di silenzio contemplativo della passione, magari fermandosi anche solo per qualche istante a guardare il crocifisso o seguendo per televisione la via crucis di stasera, vorrei ora soffermarmi sulla scena centrale della passione, cioè la morte di Gesù per sottolineare in particolare i doni che ci vengono dati dal Crocifisso.
Stando all’evangelista Giovanni, infatti, Gesù, immediatamente prima e dopo la sua morte, ci offre quattro doni a complemento del dono fondamentale, quello della sua vita data per amore.
Un dono, questo, espresso molto bene dalla parola conclusiva di Gesù: «E’ compiuto!», un’espressione che nel testo originale greco (da tradurre letteralmente “è finito”) si ricollega a quel «li amò sino alla fine» che abbiamo ascoltato ieri a premessa del gesto della lavanda dei piedi.
Sì, sulla croce l’amore di Gesù verso di noi è arrivato alla fine, è giunto al compimento, alla totalità, alla pienezza.
Ma veniamo ai quattro doni. Il primo non sembra essere neppure un dono. Si tratta delle vesti e della tunica. Vengono tolte a Gesù, divise le vesti tra i soldati e affidata a sorte a un soldato la tunica. L’evangelista, però, dà grande rilievo a questo episodio: ovviamente non lo fa a caso, ma per spingerci a coglierne il significato. In realtà, lo abbiamo ascoltato ieri, Gesù si era tolto spontaneamente le vesti per lavare i piedi agli apostoli, per mettersi a nostro servizio. I vestiti, nel contesto culturale antico, diversamente da quanto succede oggi, più che un significato funzionale, ne avevano uno simbolico indicando la dignità della persona. Gesù, lasciando le sue vesti, depone la sua dignità di Figlio di Dio, identificandosi con noi – diventando addirittura “maledizione” per noi, dirà san Paolo in una sua lettera (cf Gal 3,13-14) – per servirci e per salvarci. La tunica così speciale esprime la sua dignità di Figlio. Quella tunica ora è data a ciascuno di noi, perché con il suo sacrificio Gesù ci libera dalla bruttura del peccato e ci riveste della veste bianca redendoci figli di Dio.
Il secondo dono va nella stessa linea. Gesù ci dona sua madre, Maria, e questo conferma il nostro essere figli come Lui. Maria di Nazaret sotto la croce di suo Figlio non è più solo la madre di Lui, ma diventa la Madre di ogni discepolo, della Chiesa, dell’intera umanità. E quanto abbiamo bisogno soprattutto oggi di una madre che ci soccorra, ci aiuti, ci consoli, asciughi le nostre lacrime… L’intercessione di Maria oggi è fondamentale per ottenere salute, forza, speranza. Ma il dono più grande che Lei può chiedere per noi, con la sua intercessione, è il nostro essere e sentirci figli nel Figlio. Figli amati da Dio, perdonati, salvati e non abbandonati.
Anche il terzo dono si riferisce al nostro diventare ed essere figli: ed è il dono dello Spirito. L’evangelista Giovanni non dice semplicemente che Gesù sulla croce “spirò”, ma che «consegnò lo Spirito». La Pentecoste avviene già sul calvario. Lo Spirito è lo Spirito Santo che ci rende figli di Dio e che ci guida nel nostro cammino di figli. Anche in questo momento così faticoso per tutti. Lo Spirito è il Consolatore, Colui che ci rassicura sul nostro essere amati dal Padre; Colui che ci aiuta a vivere in ogni situazione, anche la più difficile, secondo il Vangelo; Colui che intercede dentro di noi e prega, perché noi non sappiamo neppure che cosa domandare; Colui che ci dona sapienza, fortezza, consiglio, ecc. i suoi doni così decisivi per ciascuno di noi.
Il quarto dono del Crocifisso avviene dopo la sua morte: il dono del sangue e dell’acqua che escono dal suo costato trafitto dal colpo di lancia. Anche in questo caso l’evangelista Giovanni dà grande rilievo a ciò che è successo, qualcosa che poteva passare quasi inosservato, un gesto probabilmente previsto dal preciso protocollo romano delle esecuzioni capitali per constatare il decesso del condannato. Invece, sangue e acqua indicano simbolicamente i due sacramenti fondamentali per il cristiano: l’Eucaristia e il Battesimo. Ancora una volta una realtà che riguarda il nostro essere figli. Il Battesimo, infatti, ci rende figli di Dio, facendoci morire al peccato e risorgere alla vita nuova. L’Eucaristia ci nutre del Corpo di Cristo e ci fa partecipare alla sua vita di Figlio di Dio.
Quattro doni del Crocifisso: le vesti e la tunica, la Madre, lo Spirito, il sangue e l’acqua. Quattro doni dati a noi che siamo figli di Dio. Quattro doni da accogliere stando sotto la croce con Maria, le donne e il discepolo amato. Quel discepolo che l’evangelista lascia volutamente anonimo affinché ciascuno di noi si possa identificare con lui. Certo, ci è forse più facile rispecchiarci in altri personaggi che popolano la passione di Gesù. Magari in Giuda o in Pietro, viste le nostre molteplici infedeltà verso il Signore. O forse nei soldati che si limitano a essere strumenti della malvagia volontà di altri. Forse in Pilato, incerto tra il proprio interesse e il bisogno di giustizia e di verità. In fondo ci ritroviamo un po’ in tutti, perché la passione non è che lo specchio della nostra umanità.
Ma il Signore oggi ci può aiutare a essere soprattutto il discepolo amato, a stare sotto la croce, testimoni degli ultimi doni del Crocifisso, quasi un’eredità che ci viene lasciata. Doni da accogliere nella fede, con grande gratitudine e anche con una vera gioia interiore. Perché ciò che conta, anche nelle tenebre di questo venerdì santo, è che siamo figli nel Figlio, amati dal Padre, guidati dallo Spirito.
+ vescovo Carlo