Entrare ancora di più nell’orizzonte della misericordia di Dio
L'apertura della porta della Misericordia al Santuario di Rosa Mistica a Cormons e l'omelia pronunciata da mons. Redaelli
11-01-2016

Lunedì 11 gennaio l’arcivescovo Carlo ha aperto la Porta della Misericordia che rimarrà aperta nel santuario di Rosa Mistica a Cormons sino al prossimo 15 aprile. Pubblichiamo di seguito l’omelia pronunciata dall’arcivescovo nel corso della liturgia eucaristica.

Abbiamo aperto oggi in questo santuario la terza porta della misericordia nella nostra diocesi. Non si tratta di un rito ripetuto per il gusto di compiere un gesto straordinario (un giubileo, e per di più da vivere anche nell’ambito della Chiesa locale, non è cosa di tutti i giorni …) e neppure per il desiderio di dare rilievo a un santuario. Si tratta invece di entrare ancora di più nell’orizzonte della misericordia di Dio.

Vorrei suggerirvi come percorso per lasciarci avvolgere dalla misericordia di Dio quello di riflettere sulla porta. Si tratta di una meditazione che abbiamo già fatto insieme (ho scritto su questo la mia prima lettera alla diocesi) in occasione dell’anno della fede, proposto da papa Benedetto XVI con una lettera apostolica intitolata appunto Porta fidei, ma vale la pena riprenderla. In particolare, tenendo come riferimento le letture di oggi, ma anche più in generale la Parola di Dio, vorrei invitarvi a riflettere su tre porte: la nostra porta personale, quella di Dio e la porta della Chiesa.

C’è una porta personale, interiore, profonda: quella del nostro cuore. Il cuore – inteso ovviamente in senso spirituale – è la sede della nostra identità, della nostra volontà, dei nostri affetti, dei nostri desideri, del nostro amore. Esiste una porta per entrarvi e fuori di essa, stando alla Bibbia, ci sono due soggetti che vogliono prendere possesso del nostro cuore, della nostra intimità più profonda. Il primo viene presentato proprio all’inizio della Bibbia. Ne parla Dio con Caino prima del suo grave delitto: «se non agisci bene, il peccato è accovacciato alla tua porta; verso di te è il suo istinto, e tu lo dominerai» (Gn 4,7). C’è un istinto reciproco, un’attrazione vicendevole tra il peccato e noi. Il peccato cerca di insinuarsi dentro di noi proponendoci una via alternativa alla volontà di Dio per realizzarci, per raggiungere la gioia. Noi, a nostra volta, siamo attirati da qualcosa che ci appare desiderabile, siamo illusi di poter realizzare la nostra libertà solo dicendo no a Dio, non ci basta la sua casa ma vogliamo uscire per cercare fortuna. Non siamo però obbligati a seguire il male, a far entrare il peccato in noi: possiamo tenere chiusa la porta. Il problema è che il peccato, il male, il diavolo tenta di entrare anche dalla finestra… Ma c’è un secondo soggetto alla nostra porta: non è accovacciato, non tenta sotterfugi, non cerca di ingannarci con promesse illusorie, … perché è il Signore Gesù. Dal primo libro della Bibbia, la Genesi, dobbiamo andare all’ultimo, all’Apocalisse. In esso Gesù dice: «Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (Ap 3,20). Gesù sta in piedi alla porta del nostro cuore, bussa e non la sfonda perché rispetta la nostra libertà. Bussa con la sua parola, che va accolta nel cuore e non solo ascoltata con le orecchie. Non ci propone una relazione ambigua, istintuale come quella con il peccato, ma un rapporto libero come di due commensali che condividono lo stesso cibo, di due amici (ce ne ha parlato il Vangelo) che entrano in comunione profonda. La sua proposta è chiara e l’abbiamo ascoltata proclamata nel Vangelo di oggi: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena». Se lasciamo entrare Gesù nel nostro cuore, siamo in comunione con Lui e con il Padre vivendo l’amore tra il Padre e il Figlio che è lo Spirito. Entriamo in comunione con la Trinità da veri figli di Dio. E questo conduce alla gioia vera, una gioia piena e non un piacere effimero e illusorio come quello che ci propone il peccato. Del resto avere il cuore colmo del Signore è il modo migliore per vincere il peccato: se il cuore è abitato, il peccato resta alla porta – perché finché siamo in questa vita ci sarà sempre spazio per la tentazione e la prova -, ma difficilmente può entrare. Se il cuore è vuoto o pieno di cose effimere, allora siamo in grave pericolo.

C’è anche una seconda porta: quella di Dio. Una porta dalla cui soglia scruta la strada attendendo il ritorno del figlio e allora, appena lo vede, ne ha compassione, gli corre incontro, gli si getta al collo e lo bacia per poi rivestirlo del vestito più bello, mettergli i sandali ai piedi e infilargli al dito l’anello del suo amore (cf Lc 15,20-22). Una porta che si apre quando il pastore esce – lo abbiamo ascoltato nella prima lettura – per andare a cercare la pecora smarrita, Lui che cura le pecora ferita e malata, che si prende a cuore anche la pecora grassa e forte e avvolge tutto il gregge con il suo amore. Gesù, nella parabola della pecora smarrita che riprende la profezia di Isaia, aggiunge che la gioia sua e dei suoi amici per aver ritrovato la centesima pecora è incontenibile: «Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione» (Lc 15,7).

Infine la porta della Chiesa. Una porta in cui si entra come in quella che oggi abbiamo aperto, perché tutti possano trovare misericordia. Come vorrei che qui, ma anche nei luoghi chiamati “oasi della misericordia” presenti nei nostri decanati, le persone potessero sperimentare accoglienza, ascolto, misericordia, perdono e ritrovare il coraggio per riprendere il cammino, a volte molto duro e faticoso, della vita. Ma la porta della Chiesa e anche una porta da cui si esce, non per fuggire dalla comunità cristiana, perché è questa che deve uscire per incontrare le persone lì dove si trovano, soprattutto quelle più in difficoltà. Una Chiesa in uscita, appunto, come spesso dice papa Francesco.

Tre porte – quella del nostro cuore, quella di Dio, quella della Chiesa -: vorrei che pensassimo a esse tutte le volte che in queste settimane avremo l’occasione di entrare dalla porta di questo santuario. E che ogni volta sia un’esperienza sempre più profonda della misericordia di Dio e della gioia vera.

† Vescovo Carlo