Ecco la luce che il popolo, che camminava nelle tenebre, ha visto
L'omelia dell'Arcivescovo nella Notte di Natale nel duomo di Gorizia
24-12-2012

“Gherardo delle notti”: forse a nessuno di voi questo nome dice qualcosa. Sembra quello di un personaggio di qualche romanzo noir. Invece è una persona realmente esistita, il suo vero nome era Gerard Van Honthorst. Divenne Gherardo delle notti a Roma dove si era recato provenendo dalla natia Utrecht all’età circa di diciotto anni, verso il 1610.

Il soprannome gli derivava, oltre che dal nome un po’ impronunciabile per gli italiani, dall’essere un affermato pittore che dipingeva come si diceva allora “a lume di notte”, una tecnica derivata dal Caravaggio e fatta propria anche da altri famosi pittori d’oltralpe.

Gherardo delle notti è autore, tra l’altro, di una splendida adorazione dei pastori, che si trova oggi in un museo a Colonia, e anche di un’ancora più nota tela, l’adorazione del Bambino, conservata agli Uffizi a Firenze dove è stata gravemente danneggiata dall’attentato mafioso del 1993. Sono opere che sicuramente avrete visto in qualche riproduzione.

Entrambe hanno un particolarità fondamentale: la luce proviene dal centro della tela, dal Bambino Gesù. Non è lui a essere illuminato da una fonte esterna di luce, ma lui è la luce e illumina tutti coloro che gli stanno attorno: Maria, Giuseppe e i pastori, nella prima tela, Maria e due angeli nella seconda. In realtà anche chi contempla quei dipinti si sente illuminato da quella luce che sprigiona dal Bambino.

Non so se il nostro pittore fosse credente o no, non so neppure se per lui quelle adorazioni fossero più un’esibizione della sua eccezionale bravura che un omaggio di devozione a Gesù Bambino, ma come spesso succede l’artista ha intuito e rappresentato qualcosa di assolutamente vero e profondo: Gesù è la luce. Non è Colui che è illuminato, ma la luce stessa. “Dio da Dio, Luce da luce” diciamo nel credo.

Ecco la luce che il popolo, che camminava nelle tenebre, ha visto. Quel popolo siamo noi, questa notte, con le tenebre che ci sono fuori di noi in questi anni di difficile crisi e non solo economica, ma che sono soprattutto dentro di noi come un “giogo pesante” che ci schiaccia. E hanno il nome di malattie, di scoraggiamenti, di depressioni, di preoccupazioni, di amarezze, di chiusure e persino di peccati. Tutte realtà che spengono il sorriso, tolgono la gioia, amareggiano la vita.

Noi abbiamo bisogno di essere illuminati, di essere liberati dall’”aguzzino” interiore, dalla “sbarra che pesa sulle nostre spalle”, per usare le plastiche espressioni del profeta.

Noi siamo poi chiamati a essere come i pastori che vanno da Gesù Bambino. Colpisce nel racconto del Vangelo di Luca un particolare: gli angeli dicono ai pastori che «è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore» e parlano di un segno.

Ci aspetteremmo un segno concreto, che indichi Gesù. Un segno come nel racconto di Matteo è stata per i Magi la stella che li conduce prima a Gerusalemme e poi a Betlemme. Ma gli angeli dicono: «Questo per voi il segno, troverete un bambino avvolto in fasce adagiato in una mangiatoia». Non c’è altro segno se non Gesù stesso, non c’è altra luce se non Colui che è la luce.

Ed è un segno semplice, umile: un bambino normale, non una specie di bambola illuminata dall’interno come nell’interpretazione dei pittori caravaggeschi e neppure un re splendente nella sua gloria. Invece un semplice, fragile bambino neonato.

Questo segno ci è dato anche questa notte. Ci viene detto dal profeta che è nostro figlio: «un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio». E’ tutto? Sì è tutto.

Non poteva fare di più “il Signore degli eserciti” visto che Isaia afferma che «Questo farà lo zelo del Signore degli eserciti»? Doveva solo metterci tra le braccia un bambino?

Eppure quel Bambino che si affida alle nostre mani e che da grande si consegnerà definitivamente alla nostra malvagità allargando le braccia sulla croce, è il nostro Salvatore. Sì, a Lui spettano quei titoli così significativi che Isaia declama: «Consigliere mirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace», quei titoli che il coro, anche questo molto conosciuto, “For unto us a Child is born” nel Messiah di Händel proclama con un’energia e una forza che solo l’arte – ancora una volta l’arte – riesce a raggiungere.

«E’ apparsa la grazia di Dio che porta la salvezza a tutti gli uomini», ci ha detto Paolo nella seconda lettura e questa grazia è il Signore Gesù, che – sono sempre parole di Paolo – «ha dato se stesso per noi».

Certo Paolo trae le conseguenze per la nostra vita: se è così, occorre «rinnegare l’empietà» e diventare «pieni di zelo per le opere buone». Queste conseguenze, però, non vengono da un nostro sforzo moralistico, ma dal lasciarci illuminare dal Bambino.

Non sottraiamoci allora dalla sua luce, non ignoriamo il segno che ci è stato dato. Restiamo qui a contemplare perché la luce del Natale entri nel nostro cuore. Allora anche noi – sì, noi poveri peccatori – diventeremo luce per gli altri. Non ci è stato forse detto dal Maestro che era stato il bambino di Betlemme: «Voi siete la luce del mondo?». Auguri.

† Vescovo Carlo