È Lui che consacra
L'omelia di mons. Redaelli in occasione della Dedicazione del duomo di Monfalcone
07-12-2013

I segni liturgici sono sempre molto importanti anche se talvolta ci si dimentica del loro significato, soprattutto se si ripetono a ogni celebrazione.

Lo stesso vale per gli elementi liturgici come l’altare che oggi è al centro della nostra attenzione, ma che già domani diventerà uno dei tanti componenti di questo duomo cui non faremo più molto caso.

Prima di parlare dell’altare, vorrei richiamare la vostra attenzione su un segno utilizzato nella liturgia e solitamente poco evidenziato: il bacio.

Sembra strano, eppure ci sono molti baci nella liturgia. Un primo bacio viene dato all’inizio e al termine di ogni celebrazione dal sacerdote e riguarda proprio l’altare: non è un semplice inchino, è proprio un bacio. Baciare una lastra di marmo o di pietra ricoperta da una tovaglia: a che pro?…

Un secondo bacio viene dato dal celebrante, o talvolta dal diacono o dal vescovo che presiede, ed è rivolto all’evangeliario o al lezionario al termine della lettura del Vangelo: in questo caso si bacia un foglio di carta: perché?…

Altri baci erano presenti nella liturgia antica e avvenivano al momento dello scambio di pace. Ora, forse perché siamo più pudibondi o più igienisti, non lo so…, ci diamo una stretta di mano. Ma per secoli il segno era il bacio di pace. «Salutatevi gli uni gli altri con il bacio santo» (Rm 16,16), dice Paolo a conclusione della lettera ai Romani e lo ripete terminando anche la prima e la seconda lettera ai Corinti (1Cor 16,20; 2Cor 13,12 ) e la prima ai Tessalonicesi (1Ts 5,16). E Pietro, a conclusine della sua prima lettera, dice: «Salutatevi l’un l’altro con un bacio d’amore fraterno» (1Pt 5,14).

Un bacio che è segno di affetto? Ma se spesso è rivolto a una persona sconosciuta, che per caso si è seduta nel banco accanto a te…

Possiamo poi ricordare altri baci legati alla liturgia: quelli rivolti alle reliquie dei martiri (baciare un pezzo di osso o di stoffa?…) e alle immagini e alle icone di Maria e dei santi (baciare una tela o un foglio?…).

Non voglio qui farvi una teologia del bacio anche se – e la cosa può meravigliarci – c’è una significativa riflessione nella tradizione ecclesiale a proposito di esso: penso ad esempio ai Sermoni di Bernardo di Chiaravalle a commento del Cantico dei Cantici.

Desidero semplicemente rispondere a una domanda: che cosa giustifica questi baci liturgici? La risposta è una sola: la presenza di Cristo.

È Lui, il Signore Gesù, che è simboleggiato dall’altare; è sua la parola del Vangelo che viene proclamata; è Lui che si riconosce in ogni fratello e sorella e, soprattutto, è presente nel suo Corpo che è la Chiesa; è con Lui crocifisso che si sono identificati i martiri nel dono di se stessi a testimonianza della fede; è il suo volto, come brillante dalle mille sfaccettature, che si riflette sul volto di Maria e dei santi e delle sante.

C’è infine una presenza di Cristo che non riceve un bacio, perché diventa addirittura nostro cibo: l’Eucaristia, il pane e il vino consacrati che sono il suo Corpo e il suo Sangue.

Stiamo dedicando un altare, ma è Lui che vi è simboleggiato; abbiamo ascoltato una Parola ed è la sua; tra poco pronunceremo le parole della consacrazione, ma è Lui che consacra; ci ciberemo poi del pane consacrato, ma è il suo Corpo; celebriamo la festa di Maria Immacolata, ma è sua madre; ci affidiamo alla protezione del nostro patrono Ambrogio, ma è Lui che lo ha costituito pastore a suo nome; siamo qui riuniti, ma solo perché suo popolo, suo corpo.

Se poi ascoltiamo la Parola che ci è stata proclamata, ci rendiamo conto che ci parla di Lui. Nelle poche righe della seconda lettura san Paolo lo nomina ben quattro volte, invitandoci ad avere i suoi stessi sentimenti e ad accoglierci a vicenda come Lui ci ha accolto.

Anche la prima lettura ci dice di Lui: perché è Lui la stirpe della donna che schiaccerà la testa del serpente. Questo avverrà quando al compimento del tempo, Maria non fuggirà da Dio come Adamo ed Eva, ma dirà il suo sì all’angelo e in Lei il Verbo prenderà carne per opera dello Spirito Santo.

Non stiamo tanto celebrando allora un altare, ma Cristo. Gli altari alla fine non ci saranno più, non ci sarà più nemmeno la Scrittura e neppure persino l’Eucaristia, ma ci sarà Lui che ricapitolerà in sé ogni cosa e in Lui noi suo Corpo.

Già ora, però, Lui deve essere tutto per noi. L’altare, la Parola, l’Eucaristia, la comunità cristiana, i martiri, i santi, la fede, la speranza, la carità … tutto deve portarci a Lui.

Che Lui sia il tutto e deve essere il tutto per noi già su questa terra, lo aveva ben compreso Ambrogio, che così diceva alle ragazze che su suo invito volevano consacrare la loro verginità a Cristo Sposo, ricordando loro che in ogni situazione umana, anche quella in apparenza più di distante dalla salvezza, Cristo è tutto:

In Cristo abbiamo tutto.
Ognuno si avvicini a Lui:
chi languisce nell’infermità a causa dei peccati,
chi è come inchiodato per la sua concupiscenza,
chi è imperfetto, ma desideroso di progredire con intensa contemplazione,
chi è già ricco di molte virtù.
Siamo tutti del Signore e Cristo è tutto per noi:
se desideri risanare le tue ferite, egli è medico;
se sei angustiato dall’arsura della febbre, egli è fonte;
se ti trovi oppresso dalla colpa, egli è giustizia;
se hai bisogno di aiuto, egli è potenza;
se hai paura della morte, egli è vita;
se desideri il paradiso, egli è via;
se rifuggi le tenebre, egli è luce;
se sei in cerca di cibo, egli è nutrimento.
Gustate, dunque, e vedete
quanto è buono il Signore;
felice l’uomo che spera in lui.

† Vescovo Carlo