Come viviamo in ogni situazione il rapporto con Dio
L'omelia di mons. Redaelli in occasione della Festa della Madonna della Salute, patrona della città di Monfalcone
21-11-2012

Quando prima di diventare vescovo collaboravo come sacerdote in una parrocchia e mi capitava spesso di confessare, avevo deciso a un certo punto di mettere un cartoncino in confessionale per invitare i penitenti a usare una nuova formula per chiedere perdono e non il solito atto di dolore.

La formula, presa dal rituale, diceva così: «Pietà di me, o Signore, secondo la tua misericordia; non guardare ai miei peccati e cancella tutte le mie colpe; crea in me un cuore puro e rinnova in me uno spirito di fortezza e di santità».

La cosa strana, che mi aveva colpito, che non solo le persone anziane – che magari ci vedono poco – ma anche tutti o quasi i penitenti adulti sbagliavano l’ultima parola trasformandola da “santità” a “sanità”: «rinnova in me uno spirito di fortezza e di sanità».

È un fatto curioso e non so se la cosa capitava solo nella mia parrocchia o se succede così anche altrove dove si usa questa formula. Mi ero chiesto il perché e avevo un po’ amaramente concluso: forse a tutti interessa più la “sanità”, la salute che la “santità”.

Celebriamo oggi la Madonna della Salute, patrona di questa città e riferimento anche per chi – come l’UNITALSI – trova in Maria il conforto e il sostegno nella propria malattia o per stare vicino ai malati. Questa festa darebbe ragione ai miei penitenti di allora? È più importante la salute della santità?

Stiamo attenti a rispondere troppo facilmente a questa domanda nel senso della santità, se si sta bene. Quando ci si sente in forze, senza problemi, è infatti facile dire, magari in un momento di entusiasmo e di fervore religioso, che ciò che conta è la santità. Più difficile è dirlo quando si è in un letto d’ospedale, quando si deve andare incontro a un’operazione complicata, quando si attende l’esito di una biopsia o il referto di una tac.

Dobbiamo concludere allora che si può pensare alla santità quando si sta bene altrimenti è inevitabile che i nostri pensieri, le nostre preoccupazioni, le nostre emozioni siano tutte per la salute?

L’esperienza ci dice che spesse volte è invece proprio la situazione di malattia quella che ci avvicina a Dio, all’inizio per chiedergli la grazia della guarigione, ma poi in un cammino di approfondimento della nostra fede, del nostro rapporto con Lui anche al di là del fatto di guarire o meno.

La realtà umana è comunque articolata e diversificata. C’è chi fa un serio percorso di santità cristiana non avendo mai una malattia in vita e c’è chi ammalandosi perde la fede e rifiuta il rapporto con Dio….

Ciò che conta allora non è la salute o la non salute, ma come viviamo in ogni situazione il rapporto con Dio, come rispondiamo in ogni momento alla domanda: chi è Dio per me e chi sono io per Lui.

Le parola di Dio di oggi ci può aiutare a trovare la risposta a queste domande. La prima lettura ci presenta una visione solennissima di Dio, del suo trono con tutta la corte divina: i ventiquattro anziani, i sette spiriti di Dio, i quattro esseri viventi.

Di questo brano vorrei però sottolineare l’inizio: «Io Giovanni vidi, una porta era aperta nel cielo». C’è quindi una porta che ci apre alla dimensione spirituale, alla dimensione di Dio.

È una porta che come tutte le porte ha un duplice lato: dalla parte di Dio è la porta della rivelazione che ha trovato il suo culmine nell’incarnazione del Figlio di Dio; da parte nostra è la porta della fede, perché è la fede che ci fa accedere alla dimensione di Dio.

È una porta aperta; ma non è stata aperta da noi, bensì da Dio. È Lui che si è rivelato, che ha mandato suo Figlio a incarnarsi a diventare uno di noi. In Gesù Dio, che non cessa di essere l’Onnipotente, il Santo, Colui che era, che è e che viene, ha assunto un volto umano, un corpo umano, un cuore umano, proprio come ciascuno di noi.

La fede, allora, non ci conduce a spingere o a sfondare una porta, quanto piuttosto ad accogliere Colui che è venuto in mezzo a noi, riceverlo nella nostra vita quotidiana, con le sue vicende belle o brutte (compresa la salute o la malattia). La dimensione di fede, infatti, non è un’aggiunta alla vita di ogni giorno, ma è la dimensione profonda della vita normale.

Accogliere il Signore nella nostra vita mediante la fede vuol dire anche ricevere i suoi doni con responsabilità e fedeltà. È quanto ci insegna la parabola delle monete d’oro.

Non si tratta di una prova o di un test a cui il Signore ci sottopone per darci poi eventualmente un premio, ma del suo desiderio di coinvolgerci nell’opera della salvezza. Noi, infatti, siamo stati creati a sua immagine e somiglianza, quindi liberi e capaci di amare, e ci realizziamo se spendiamo la nostra libertà per amare con tutto noi stessi.

Uno dei servi non lo aveva capita: pensava di trovarsi davanti a un padrone esigente da cui difendersi, non davanti a un Padre che si fida dei suoi figli e desidera che collaborino con Lui perché siano santi come Lui è santo.

Come vedete la risposta alle domande su chi è Dio e su chi siamo noi è aperta. Per fede in qualunque situazione, anche difficile come la malattia, si può riconoscere Dio come Padre pieno di amore per noi, che per ciascuno ha un disegno di salvezza e riconoscerci a nostra volta come figli chiamati con la sua grazia ad amare in ogni circostanza, anche la più difficile, e così raggiungere il senso della nostra vita, la vera salute.

Oppure possiamo chiudere la porta che il Signore Gesù ha aperto – anzi, come dice il Vangelo del buon pastore, Lui stesso è la porta – e perdere così, anche se viviamo in perfetta forma fisica, la vera salute che conta.

Che Maria Madonna della Salute, che veneriamo oggi qui e per le strade della nostra città, ci aiuti a tenere sempre aperta, in ogni momento della nostra vita, la porta della fede che ci conduce alla salvezza, alla felicità, alla santità, alla gioia senza fine.

† Vescovo Carlo