Come ci guarisce oggi il Signore?
Pellegrinaggio di inizio anno pastorale a Barbana
06-09-2015

Domenica 6 settembre si è svolto il tradizionale pellegrinaggio all’inizio dell’Anno pastorale a Barbana. Pubblichiamo di seguito l’omelia pronunciata durante dal vescovo la concelebrazione eucaristica nel santuario mariano.

La prima lettura di oggi, che parla di smarriti di cuore, di ciechi, di zoppi, di sordi, di muti, mi ha fatto nascere alcune domande. E’ più grave essere sordi o essere muti? O essere ciechi? Oppure zoppi? O la cosa più preoccupante è essere malati di cuore? Vorrei rispondere a questi interrogativi – che forse a qualcuno dei presenti fanno pensare ai propri mali per cui chiedere a Maria, in questo bel santuario, un po’ di conforto – ma non prestando attenzione alle malattie della vita fisica, bensì riferendoli alle malattie della vita spirituale.

La vita spirituale, la vita di fede non è meno concreta della vita fisica e ha anch’essa le sue malattie esattamente parallele a quelle che si curano dal dottore o in ospedale. Così può succedere di essere sordi all’ascolto della Parola di Dio e alle ispirazioni dello Spirito Santo che nascono nel nostro cuore. Oppure spesso si è muti, incapaci di parlare di Dio, timorosi di testimoniare con semplicità e umiltà ciò in cui crediamo. Si è talvolta anche zoppi, bloccati nel camminare verso il Signore e verso gli altri, impigriti e ripiegati su noi stessi. Molto spesso si è poi ciechi: incapaci di vedere i tratti del volto del Signore nel viso del fratello o della sorella, soprattutto se poveri, sofferenti, stranieri o semplicemente … antipatici. O anche ciechi nel riconoscere la presenza di Dio nel creato, nella storia, nella nostra vita quotidiana, in apparenza banale ma non per questo meno importante. La cosa più grave è però la malattia del cuore: un cuore smarrito – come dice oggi il profeta -, un cuore indurito e di pietra, come sottolineano altre forti pagine della Bibbia.

Quante malattie, quanti blocchi interiori, quanti peccati (a proposito, sarebbe interessante che imparassimo a confessarci su queste malattie spirituali…). Ma a tutti noi il profeta dice: «Coraggio, non temete. Egli viene a salvarvi». Che lo faccia davvero, che le parole di Isaia non siano dei semplici auspici, delle speranze illusorie, ci viene testimoniato dall’azione di Gesù presentata nel Vangelo. Il miracolo della guarigione del sordomuto, anche per le modalità quasi rituali con cui avviene, diversamente da altri miracoli – Gesù che prende in disparte il malato, gli pone le dita negli orecchi e con la saliva gli tocca la lingua e guarda verso il cielo, emettendo un sospiro e poi dice “Effatà” -, è evidentemente un simbolo della guarigione interiore che Gesù opera per ciascuno di noi.

Ma come ci guarisce oggi il Signore? Diversi sono i modi con cui interviene nella nostra vita spirituale. Ne ricordo in particolare due: la Parola e i Sacramenti. Gesù ci guarisce anzitutto con la Parola, in particolare il Vangelo. Esso non è una raccolta di detti e di fatti, non è un catechismo, non è neppure un elenco di precetti morali: è la persona stessa di Gesù.

Ascoltare il Vangelo, farlo risuonare a lungo nel cuore con la preghiera guidati dallo Spirito Santo, lasciare che trasformi progressivamente il nostro modo di sentire, di agire, di pensare, di amare, … tutto ciò ci guarisce, ci libera, ci salva.

In quest’anno pastorale vorrei proporre a tutta la diocesi, a ogni cristiano, semplicemente il Vangelo perché sia Parola di ogni giorno. In particolare il Vangelo di Luca, che la liturgia ci farà leggere nel prossimo anno liturgico e che potrà essere guida nell’anno giubilare proposto da papa Francesco, perché è chiamato il Vangelo della misericordia.

L’invito sarà quello di leggerlo, meditarlo e pregarlo domandandoci chi è il cristiano a partire dalla risposta alla domanda su chi è Gesù. Non bisognerà però trovare delle risposte intellettuali, ma chiedere al Signore di diventare veri cristiani assimilando a poco a poco il suo modo di sentire, di pensare, di agire, di amare. Un grande aiuto in questo può esserci dato da Maria, che nel Vangelo di Luca viene presentata come Colei che accoglie in sé la Parola, quella Parola che nel suo grembo diventa carne, e anche come Colei che custodisce nel cuore la Parola e gli avvenimenti che avvengono attorno a Lei per coglierne il senso profondo nella fede. Il Signore poi ci guarisce attraverso i sacramenti. Essi non sono un obbligo da attuare o un premio che ci viene dato perché siamo bravi, ma sono un dono. Il Battesimo – nel cui rito viene significativamente ripreso il gesto di Gesù dell’effatà – che ci rende figli; la Confermazione che ci dona lo Spirito che ci conforma a Cristo; l’Eucaristia, pane del cammino; la Riconciliazione che ci fa incontrare la misericordia del Padre; l’Unzione che dona sollievo nella malattia; l’Ordine e il Matrimonio che consacrano la vocazione d’amore di ciascuno.

Vorremmo quest’anno (ma anche nei prossimi anni) dare rilievo in particolare ai sacramenti dell’iniziazione cristiana – Battesimo, Confermazione, Eucaristia – all’interno di un cammino catecumenale che porti il ragazzo o anche l’adulto non battezzato a diventare cristiano secondo il Vangelo.

Siamo tutti consapevoli che le modalità con cui questo cammino è stato fin qui proposto ai bambini, poi ragazzi e adolescenti, e ai loro genitori, pur con alcuni pregi e con l’apprezzabile impegno di molti, non è più sufficiente nel contesto di oggi dove è venuta meno una certa caratterizzazione cristiana della società e delle famiglie. Siamo altrettanto consapevoli che non c’è la ricetta pronta per cambiare in meglio, ma che occorre con molta umiltà provare vie nuove e far tesoro dell’esperienza di altri. Ci sarà modo di approfondire il tema durante l’anno e lo si è già cominciato a fare con la riuscita iniziativa per i catechisti a Romans. Vorrei però oggi sottolineare che non si tratta di una questione che riguarda solo il vescovo, i preti, i diaconi, le religiose e i religiosi, le catechiste e i catechisti. Perché a tutti i fedeli deve stare a cuore che nascano nella fede nuovi cristiani.

Tutti dobbiamo sentire questa responsabilità. Dovrebbe essere qualcosa di ovvio e di spontaneo, se, pur con i nostri limiti e le nostre debolezze, sentiamo il nostro essere cristiani come un dono grandissimo che non possiamo tenere per noi.

Questo deve trasparire nella vita quotidiana, nelle occasioni di incontro con familiari, amici, conoscenti, vicini di casa. Finché la proposta di un cammino di iniziazione cristiana è lasciata al parroco e ai catechisti e gli altri cristiani non la sostengono, non l’appoggiano, non ne parlano in termini convincenti ai genitori interessati – perché no?, mentre si va al lavoro, o quando si beve un caffè al bar con il collega o si chiacchiera dal parrucchiere… – la cosa non può funzionare.

Nel Vangelo di Luca – lo noterete – si parla molte volte di gioia. Ma noi siamo contenti di essere cristiani? Ci viene voglia di dirlo a tutti, di cantare, di saltare di contentezza, di ballare perché il Signore ci ama? Abbiamo dentro il cuore il desiderio che altri partecipino della stessa gioia? Se è così, allora tutto cambia.

† vescovo Carlo