«Che cosa ha il tuo amato più di ogni altro?», ripetono più volte le figlie di Gerusalemme alla amata del Cantico: parlaci del tuo amato! Parlaci del tuo Signore, parlaci del tuo re, viene oggi da dire a don Aldo: quel Signore che ti chiama a essere presbitero, quel re cui vuoi dedicare la tua vita, quell’amato che riempie il tuo cuore. Voglio tentare di rispondere a tuo nome, non con le mie parole, ma con quelle della Scrittura che in questa celebrazione ci vengono offerte.
Il profeta Ezechiele presenta il Signore come pastore, un pastore che interviene di persona a salvare il suo gregge perché i pastori del popolo hanno tradito il compito che Dio aveva loro affidato.
Il cap. 34, da cui è tratto il brano odierno, comincia infatti così: «Mi fu rivolta questa parola del Signore: “Figlio dell’uomo, profetizza contro i pastori d’Israele, profetizza e riferisci ai pastori: Così dice il Signore Dio: Guai ai pastori d’Israele, che pascono se stessi!…”». Pascere se stessi, fare tutto per se stessi, usando e sfruttando gli altri per la propria riuscita, il proprio prestigio, il proprio potere…
Ben diverso è l’atteggiamento del Signore come pastore: si prende cura delle pecore, le raduna, le conduce al pascolo, cerca quella smarrita, fascia quella ferita, cura quella malata, si prende a cuore anche di quella grassa e forte. E fa ancora di più. Quello che il profeta non era riuscito a immaginare, viene annunciato da Gesù nella parabola del buon pastore: il pastore dà la vita per le pecore. E sarà così sulla croce. Ecco chi è il tuo Signore! Un pastore che non si risparmia fino al punto di dare la vita, per noi, per te. Sì, perché tu diventando presbitero sei e resti parte del gregge, anche tu sei oggetto della cura premurosa del Signore, che ti ama, ti ha chiamato, ti guida e ti guiderà, ti guarirà quando sarai malato, ti verrà a cercare nei momenti di smarrimento. Realmente è e sarà “il tuo pastore”, come afferma il salmo 121. Ma diventando presbitero hai la grazia – immeritata ma vera e forte – di essere con il vescovo e il presbiterio intero anche dalla parte del pastore. Per questo il Concilio Vaticano II ha indicato con il termine “carità pastorale” il senso profondo della vita del presbitero, ciò che quindi sosterrà il tuo ministero, il tuo impegno missionario, la tua obbedienza, la tua povertà, la tua scelta di amore celibatario, la tua preghiera, la tua misericordia, la tua fedeltà. Carità pastorale, ossia “amore del pastore”: amore che tu per primo sperimenti e a cui ti è data la grazia di essere partecipe. Amore: parola grande di cui si ha un po’ paura, ma parola vera anche per il presbitero. Quante volte – lo confesso – mi sono interiormente commosso, riconoscendo nello sguardo di un prete verso i bambini, i poveri, gli ammalati, gli sposi, lo stesso sguardo d’amore di un papà e di una mamma, di un innamorato; aggiungo con un po’ di trepidazione: lo stesso sguardo del Signore. Non dobbiamo mai essere “funzionari”, anche quando ci viene chiesto di prenderci cura delle necessità materiali e organizzative di una comunità, ma sempre “pastori” e “padri”.
«Che cosa ha il tuo amato più di ogni altro?». La seconda lettura risponde dicendo che Lui è la vita. Lo è paradossalmente con la sua morte, una morte atroce e infamante, la morte di croce. Una morte che si apre alla risurrezione che non cancella però i segni del calvario: il Risorto per sempre ha le mani, i piedi e il costato piagati. Il Crocifisso risorto è il tuo e nostro Signore. A chi è piagato, ferito, umiliato nella sua umanità, nella sua dignità regale di figlio di Dio, tu sei chiamato come presbitero e come missionario ad annunciare il Cristo morto e risorto. Un annuncio rivoluzionario, che, a volte, potrà solo conservare viva per i poveri la speranza che la morte, l’ingiustizia, la violenza, la sopraffazione non sono l’ultima parola: forse la penultima, ma non l’ultima perché anche l’ultimo nemico, la morte, sarà alla fine annientato. Altre volte, l’annuncio del Cristo morto e risorto diventerà già ora forza che trasforma i cuori delle persone e la stessa società portando a segni concreti di giustizia, di dignità, di pace. Penso che i mesi che hai trascorso in Messico, dove tornerai a breve come sacerdote, te ne hanno fatto fare esperienza.
«Che cosa ha il tuo amato più di ogni altro?». Il Vangelo ci presenta il Signore come re e giudice. Un giudice severo verso chi non lo ha servito nei poveri. Un re che sembra dividere l’umanità in due categorie. In realtà i gruppi sono tre: ci sono i “benedetti”, alla destra, e alla sinistra i “maledetti”, ma nel mezzo ci sono i “piccoli”; gli affamati, gli assetati, gli stranieri, gli ignudi, i malati, i carcerati cui il Signore si identifica.
Tra questi piccoli ci sei anche tu: in quante circostanze della tua vita hai già ricevuto dalle persone gesti di attenzione, di aiuto, di amore… e moltissime altre volte li riceverai. In molti casi saranno gesti in nome di Cristo e ti verranno offerti soprattutto dai poveri, da persone semplici e umili che vedranno in te, proprio in quanto sacerdote, la presenza di Cristo. Non insuperbirti e vantarti per questo: tu sei solo un umile servo del Signore; onorando te, i poveri onorano il Cristo. Altre volte hai ricevuto e riceverai parole e gesti di amore da persone che si dicono non credenti, ma che sentono la responsabilità e la dignità di essere uomini. Per loro sarà una bella sorpresa, quel giorno, scoprire che aiutando te, avranno servito il Signore.
A tua volta sei chiamato a fare la stessa cosa. Proprio perché amato sei chiamato ad amare, nella concretezza, privilegiando i poveri e, quindi, il Signore Gesù che con loro si identifica. Papa Francesco ce lo sta richiamando con forza e talvolta persino con ruvidezza, con esempi che mettono in crisi. I poveri sono coloro che vanno privilegiati nella missione. Afferma la Evangelii gaudium: «Se la Chiesa intera assume questo dinami¬smo missionario deve arrivare a tutti, senza eccezioni. Però chi dovrebbe privilegiare? Quando uno legge il Vangelo incontra un orientamento molto chiaro: non tanto gli amici e vicini ricchi bensì soprattutto i poveri e gli infermi, coloro che spesso sono disprezzati e dimenticati, “co¬loro che non hanno da ricambiarti” (Lc 14,14). Non devono restare dubbi né sussistono spiega¬zioni che indeboliscano questo messaggio tanto chiaro. Oggi e sempre, “i poveri sono i destinata¬ri privilegiati del Vangelo” e l’evangelizzazione rivolta gratuitamente ad essi è segno del Regno che Gesù è venuto a portare» (n. 48).
«Che cosa ha il tuo amato più di ogni altro?». Caro don Aldo, dillo con la tua vita, con il tuo ministero presbiterale che il tuo Amato è il pastore che si prende cura del gregge, è la vita che vince la morte, è il re che si è fatto povero per i poveri. E proprio per questo è anzitutto il tuo pastore, la tua vita, il tuo re. Per sempre.
†Vescovo Carlo