Che cosa dovrei fare per diventare santo?
L'omelia dell'arcivescovo Redaelli in occasione della solennità di Tutti i Santi in cattedrale a Gorizia
01-11-2014

Vorrei rendervi partecipi di un ragionamento che ho fatto a proposito della festa di oggi di “Tutti i Santi”. Probabilmente è un ragionamento che anche voi potete condividere con me. Mi sono detto: la festa di tutti i santi ci dice che tutti – io compreso – siamo chiamati alla santità: sono perciò chiamato a essere santo. Che cosa devo o dovrei fare per diventare santo?

Per non sbagliarmi, ho preso un foglietto e una penna e ho cominciato a scrivere: dovrei pregare di più, dovrei impegnarmi di più, dovrei ascoltare di più le persone, dovrei dare meno giudizi, dovrei avere più pazienza, dovrei essere meno goloso,… Un elenco che adesso non vi leggo, altrimenti sarebbe come fare una confessione in pubblico… Terminato l’elenco mi sono chiesto: riesco o potrò riuscire a fare tutto questo? La risposta è stata: no, non ci sono riuscito fino ad ora, se non qualche volta e per qualche piccolo aspetto, perché dovrei improvvisamente riuscirci in futuro? Conclusione: la santità non fa per me; tanto di cappello per i pochi – uomini e donne speciali – che ci riescono, ma per me come per la maggior parte dei cristiani il discorso è chiuso. Non pensiamo allora oggi alla mia, alla nostra santità; limitiamoci ad applaudire i santi e le sante che ci sono riusciti e chiediamo loro di guardare giù e di darci una mano non a diventare santi, ma a stare bene di salute, a non avere troppi problemi, a cercare di andare avanti come si può. E per dirla tutta, un po’ mi dispiace di non riuscire a diventare santo, un po’ no perché vivere come i santi sarebbe anche un po’ scomodo. Quindi mi accontento di quello che sono e speriamo che un posticino in paradiso il Signore, che è tanto buono, me lo dia e non abbia troppo pretese nei miei confronti.

Volevo quindi farvi l’omelia sui santi e sulle sante, senza parlare di noi. Mi è venuto però uno scrupolo e mi sono detto: tu sei vescovo e non puoi dire solo quello che ti passa per la testa o proporre solo quello che tu riesci a vivere, ma devi offrire l’insegnamento della Chiesa. Sono andato perciò a rileggermi che cosa dice il Concilio Vaticano II, sapete quella grande assemblea dei vescovi con il papa – molto più importante del sinodo – che cinquanta anni fa ha dato le indicazioni fondamentali per la vita della Chiesa. Ho visto che proprio nel documento dedicato alla Chiesa c’è un capitolo intero, il quinto, intitolato: Universale vocazione alla santità nella Chiesa. Ovviamente avevo presente che nel documento ci fosse questo capitolo, ma devo riconoscere che di solito non lo rileggo e non lo cito mai in qualche predica o intervento. Eppure è molto chiaro. Fin dalle prime righe afferma: «tutti nella Chiesa, … sono chiamati alla santità» (n. 39) e, poco dopo aggiunge: «Il Signore Gesù, maestro e modello divino di ogni perfezione, a tutti e a ciascuno dei suoi discepoli di qualsiasi condizione ha predicato quella santità di vita, di cui egli stesso è autore e perfezionatore: “Siate dunque perfetti come è perfetto il vostro Padre celeste” (Mt 5,48)» (n. 41). Molto esplicito, no? Ma allora resta il problema concreto che ci fa dire: belle parole, ma dicono qualcosa di impossibile se non per qualche persona eccezionale. E quindi è meglio non ascoltarle… Andando avanti nella lettura di quello che afferma il Concilio, ho però trovato questa affermazione: «I seguaci di Cristo, chiamati da Dio, non a titolo delle loro opere, ma a titolo del suo disegno e della grazia, giustificati in Gesù nostro Signore, nel battesimo della fede sono stati fatti veramente figli di Dio e compartecipi della natura divina, e perciò realmente santi». Detto con altre parole: non dobbiamo diventare santi, ma siamo già santi perché con il battesimo siamo diventati figli di Dio.

Guarda caso, sono esattamente le stesse affermazioni della seconda lettura di oggi: «vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente». Siamo quindi figli e figlie di Dio, siamo quindi santi e sante e lo siamo non per le nostre opere, per il nostro impegno, ma per grazia, per l’amore che Dio ha verso ciascuno di noi. Parole belle e consolanti anzitutto per me: sono già santo, anche se sono goloso e tutto il resto… E allora posso continuare a esserlo senza impegnarmi troppo, tanto sono già santo? Il Concilio però continua e dice: «I cristiani, quindi devono, con l’aiuto di Dio, mantenere e perfezionare con la loro vita la santità che hanno ricevuto. Li ammonisce l’Apostolo che vivano “come si conviene a santi” (Ef 5,3), si rivestano “come si conviene a eletti di Dio, santi e prediletti, di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di dolcezza e di pazienza” (Col 3,12) e portino i frutti dello Spirito per la loro santificazione (cfr. Gal 5,22; Rm 6,22)».

Nessun disimpegno allora: non dobbiamo diventare santi, non dobbiamo conquistare la santità, piuttosto dobbiamo viverla come un dono bellissimo ricevuto e non dobbiamo perderla. Per dirla con le parole del Vangelo: siamo già beati nelle varie situazioni anche difficili della vita (povertà, pianto, persecuzione, ecc.), non dobbiamo diventarlo, dobbiamo però evitare di perdere questa beatitudine. Come vedete cambia la prospettiva, anche se resta impegnativa e quindi ci può spaventare ugualmente: va bene che non ci deve essere l’impegno a diventare santi, ma comunque ci deve essere quello a non perdere la santità e quindi alla fine siamo punto e a capo con tutte le fatiche a essere bravi?

In un certo senso è così, ma per fortuna sempre il Concilio Vaticano II afferma: «poiché tutti commettiamo molti sbagli (cfr. Gc 3,2), abbiamo continuamente bisogno della misericordia di Dio e dobbiamo ogni giorno pregare: “Rimetti a noi i nostri debiti” (Mt 6,12)». Questo sì che è consolante: c’è sempre la misericordia di Dio. A questo proposito, mi viene in mente una bellissima pagina della regola di san Benedetto, dove questo santo fa un lunghissimo elenco di tutti gli strumenti che i suoi discepoli devono usare per essere bravi monaci: l’ultimo è: «della misericordia di Dio non disperare mai». Possiamo allora concludere dicendo: siamo già santi per amore di Dio, perché siamo suoi figli; non dobbiamo perdere questo dono, ma viverlo con gioia e riconoscenza; Dio ci aiuta a viverlo ed è sempre pronto a ridarci fiducia anche quando sbagliamo, anche quando non viviamo fino in fondo quello che siamo. L’essere santi non è allora essere impeccabili e perfetti, ma credere nell’amore di Dio che diventa consolazione e perdono.

Devo riconoscere che aveva proprio ragione un mio padre spirituale che una volta mi aveva un po’ spiazzato con questa domanda: “secondo te, chi c’è in paradiso?”. Avevo risposto: “i santi”. E lui mi aveva corretto: “no, il paradiso non è pieno di santi come li pensiamo noi, è pieno di peccatori perdonati”

† Vescovo Carlo