Monsignor Redaelli nel giorno di Natale ha presieduto la messa delle 10.30 nella chiesa di S. Ignazio. Al termine del rito ha raggiunto la Casa circondariale di Gorizia per il pranzo con i detenuti ed il personale operante nella struttura. Pubblichiamo di seguito l’omelia pronunciata durante la liturgia in S. Ignazio.
Forse anche voi, quando da ragazzi in estate si andava a un campeggio o in un campo scuola e sopraggiungevano delle giornate di pioggia, o anche nelle uscite in montagna all’ultimo dell’anno quando si stava al calduccio dentro una casa, vi siete messi a giocare ai quiz, sfidandovi l’un l’altro, magari divisi a gruppi. I quiz, stando alla televisione, sono ancora di moda, certamente più tecnologici di una volta e, purtroppo, con molti soldi in palio. Non so però se avete provato un modo un po’ originale di giocare ai quiz: quello cioè di non partire dalle domande, ma dalle risposte. Dove l’abilità consiste nel formulare con esattezza la domanda corrispondente alla risposta data. Qualche volta è facile, anche se può esserci più di una domanda esatta. Per esempio: “il fiume Po” può essere la risposta alla questione su quale sia il fiume più lungo d’Italia, ma possono essere altrettanto valide le domande: “quale fiume passa da Torino?” o “quale fiume nasce al Piano del re sotto il Monviso?”. Per altre risposte, invece, è difficile trovare la domanda corrispondente e questo è il bello del gioco.
Perché – penserete – vi sto proponendo questa strana riflessione? Forse per suggerirvi qualche innocuo e simpatico passatempo per il dopo pranzo di oggi da trascorrere – ve lo auguro – con tanti parenti e amici? No. Semplicemente vorrei proporvi un’intuizione che mi è nata riflettendo sul Natale. Cioè: e se Natale fosse la risposta che Dio ci dà e spettasse a noi trovare la domanda?
Cerco di spiegarmi per non essere troppo misterioso. Talvolta si interpreta il Natale come la risposta al nostro bisogno di salvezza, al nostro bisogno di luce e di vita. Giusto. Ma forse può essere più utile vedere il Natale come la realtà che ci svela profondamente il vero bisogno di salvezza, di luce, di vita e di senso che abbiamo dentro di noi. Intendo dire che dentro di noi ci sono tanti bisogni, tanti desideri, tante attese, ma che spesso sono realtà di portata limitata, di scarso orizzonte, di poco slancio. A noi basterebbe un po’ di salute, un buon lavoro, una famiglia serena, qualche soldo, alcuni amici fidati, qualche soddisfazione e gratificazione. E ci sarebbe sufficiente che Dio, all’occorrenza, ci desse una mano: ci aiutasse a guarire, a star bene, a trovare un lavoro per noi e per i nostri figli o nipoti, a riallacciare qualche rapporto allentato, a superare qualche tensione in famiglia e così via. Tutte realtà belle e vere: ma siamo fatti solo per questo? E Dio è solo un distributore di qualche grazia, di qualche miracolo?
Il Vangelo – un Vangelo non facile e non descrittivo come quello di Luca, ma non per questo meno vero –, l’inizio del Vangelo di Giovanni ci dice che il Bambino che è nato non è semplicemente qualcuno che può darci una mano per tirare avanti, ma è il Verbo di Dio, è il senso di tutto, è la luce del mondo, è la vita stessa di Dio che ci permette di esistere, è la grazia e la verità che ci salva. Il Vangelo afferma poi che noi non siamo semplicemente esseri viventi che tentano di cavarsela alla meno peggio – come salute, lavoro, affetti, risultati, ecc. – nei sempre pochi anni della nostra vita. Noi non siamo niente di meno che figli di Dio, con la stessa dignità di Dio, destinati a vivere per sempre e non solo per qualche anno. E il Vangelo aggiunge che a coloro che accolgono il Verbo di Dio viene «dato potere di diventare figli di Dio:a quelli che credono nel suo nome,i quali, non da sanguené da volere di carnené da volere di uomo,ma da Dio sono stati generati».
Il Natale è allora la risposta al nostro bisogno di salvezza e di senso, ma una risposta che va ben al di là delle nostre attese. Ci costringe allora a rivedere quello che pensiamo di essere e ad allargare le nostre attese e le nostre speranze. Anni fa andava di moda un raccontino – che probabilmente avete già sentito – dell’uovo d’aquila collocato in un pollaio e covato da una chioccia; una volta uscito dall’uovo, il pulcino cresce e stando in un pollaio pensa di essere un pollo e non un’aquila e così per tutta la sua vita. Qualche volta anche noi rischiamo di non sapere chi siamo, di avere una visione ridotta di noi e di non avere dentro di noi la gioia e la fierezza di essere niente meno che figli di Dio. Il Natale ci svela questo. E’ una risposta che ci fa ingrandire la domanda e l’attesa. Ma è anche una risposta che va accolta, accolta con la vita vivendo da figli di Dio, con i nostri limiti, i nostri peccati, le nostre fatiche…, certo, ma con la dignità di figli.
Si vive da figli di Dio se si vive come Dio che è amore: quindi amando a nostra volta. Non c’è altra strada per essere suoi figli. Lo possiamo fare in forza della grazia e della verità che ci viene donata nel Natale.
Si vive da figli di Dio, poi, non tenendo per noi il dono che abbiamo scoperto, ma testimoniandolo agli altri. Scrivevo nella “lettera al cristiano della domenica” – che forse qualcuno di voi ha avuto modo di leggere –, che l’essere cristiano deve diventare qualcosa che «ci è caro e che vorremmo che altri vivessero. Qualcosa da proporre a chi ci sta vicino almeno come viene spontaneo suggerire a un amico, a un’amica il nome di un bravo medico, l’indirizzo di un negozio conveniente, l’esistenza di una buona scuola per i figli… (e il Vangelo è molto di più di tutto ciò)». Sì, il Vangelo è molto di più perché ci svela chi siamo.
Il mio invito allora per questo Natale è quello di lasciarsi sconvolgere dalla “risposta” di Dio e di cambiare di conseguenza le nostre domande e le nostre attese adeguandole alla dignità e alla gioia di essere figli e figlie di Dio. Auguri.
+ Vescovo Carlo