Nel giorno del Natale 2019, l’arcivescovo Carlo ha celebrato la messa in S. Ignazio pronunciando la seguente omelia.
Vorrei incominciare questa mia riflessione facendovi una domanda: cambierebbe qualcosa se invece di parlarvi da qui incaricassi questi bravi ministranti di distribuirvi un foglio con scritta in modo chiaro la mia predica e vi lasciassi 10 minuti di silenzio per leggerla? Oppure – altra ipotesi – se invece di tenervi l’omelia, si sentisse una voce registrata diffusa dagli altoparlanti della chiesa? O se – terza possibilità – al posto dell’omelia venisse proiettato un video? Cambierebbe qualcosa o sarebbe uguale?
Non so che cosa ne pensate, però sono sicuro che siete in grado di capire il Natale solo se mi rispondete: sì, cambierebbe, sarebbe diverso. E’ vero: anche un testo scritto, una voce registrata, un video proiettato ci comunicano qualcosa, ma la persona è più di uno scritto, di una voce, di un video. La persona è un volto, un cuore, un pensiero, un ideale, una relazione, un amore.
La seconda lettura ci ha detto che Dio, «molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio». Dio da sempre ha parlato e lo ha fatto appunto in molti modi, attraverso i profeti in particolare, e la sua Parola è diventata la Sacra Scrittura, la Bibbia. Ma quando ha voluto darci la Parola definitiva ci ha dato suo Figlio, il Verbo fatto carne, di cui ci parla oggi il Vangelo di Giovanni. Non ci ha mandato un libro e neppure un angelo con il megafono, ma il Figlio.
La questione è che se andiamo a Betlemme a incontrare il Figlio di Dio, che è la Parola di Dio, non troviamo un uomo capace di intrattenere e di affascinare con la sua parola le folle, ma un neonato che, come tutti i neonati di questo mondo, fa solo qualche verso incomprensibile con la sua boccuccia e, al più, accenna un sorriso. E se tornate tra qualche mese, troverete un bimbo di poche settimane che balbetta papà e mamma. E se tra qualche anno, un ragazzino che deve imparare a leggere e a scrivere, anche i libri della Bibbia. E se tra più anni vi capitasse di passare da Nazaret trovereste un giovane uomo che vi parla di assi, di travi, di chiodi, … insomma del suo mestiere di falegname. Eppure è la Parola definitiva di Dio.
Certo, mi direte, ma poi nella vita pubblica Gesù ha parlato e le sue parole hanno riempito i Vangeli. E’ vero, vi do ragione: ma i Vangeli contengono solo le sue parole o soprattutto la sua vita? Perché è Gesù, il Figlio di Dio fatto uomo che oggi contempliamo neonato, la Parola definitiva di Dio. Lui è la Parola di Dio, nella verità della sua umanità, da ascoltare, da accogliere, da seguire. A volte si dice che la religione cristiana, insieme a quella ebraica e a quella islamica, è una religione del libro. E’ vero solo in parte: al centro della nostra fede c’è Gesù e non un libro, neppure il Vangelo o la Bibbia. A Betlemme non c’è un libro o una conferenza, ma un bambino nato in mezzo a noi.
Il cristianesimo non è una teologia o una filosofia, non una morale o una liturgia, ma è l’incontro con Gesù, con la sua umanità così simile alla nostra. Per questo continuo a insistere nel dire che quando si legge il Vangelo la domanda giusta non è che idea posso ricavarne o che cosa mi suggerisce di fare, ma chi è Gesù, chi è quel Gesù di cui ascolto o leggo le parole e le azioni?
Certo il Vangelo è importante e vorrei invitarvi in questi giorni, in cui magari c’è qualche momento in più di respiro rispetto allo scorrere turbinoso della vita, a leggere i primi due capitoli del Vangelo di Luca e di quello di Matteo che ci parlano della nascita di Gesù, di ciò che è avvenuto attorno a essa, e dell’infanzia del Signore. Sono quelle pagine che ci parlano di Gesù e ce lo fanno incontrare. Tutto il resto – compreso il presepe, l’albero, le celebrazioni, le feste, i canti, ecc. – è contorno e interpretazione nostra: può aiutarci a incontrare Gesù, ma può anche darci una visione non vera o anche solo parziale di Lui.
Occorre quindi riferirci al Vangelo, ma per incontrare Gesù, per imparare a conoscerlo e a riconoscerlo. Perché Gesù, oltre che nelle Scritture, è presente nei sacramenti, nella comunità cristiana, nel prossimo e soprattutto nei poveri e bisognosi. Da quando la Parola di Dio si è fatta carne, nulla di umano è estraneo a Lui. Quando leggiamo e meditiamo il Vangelo, dobbiamo quindi farci anche una seconda domanda: non solo chi è Gesù, ma chi sono io, chi sono gli altri. Per scoprire che la risposta ci riporta sempre a Gesù. Perché in Lui siamo stati creati, di Lui siamo immagine e somiglianza, Lui è la nostra meta.
L’augurio in questo Natale diventa ancora una volta quello di incontrare Gesù e di imparare a riconoscerlo in noi e negli altri. Un incontro non di un momento, non di un’emozione, non di un festa, ma di una vita. Solo così potremo trovare in Lui – lo dico utilizzando le parole di Giovanni – la luce, la vita, la pienezza, la grazia. E potremo testimoniare tutto ciò agli altri. Perché la Parola di Dio passa anzitutto attraverso di noi, attraverso il rapporto tra le persone.
All’inizio vi ho chiesto se cambiava qualcosa se al mio posto ci fosse stato uno scritto, una voce, un video. Ora concludo chiedendovi se al posto di voi, delle vostre relazioni, del vostro incontrare le persone ci fosse uno scritto, una voce, un video: cambierebbe qualcosa? Sì, cambierebbe. Anche gli scritti, le voci, le immagini e pure tutte le varie forme espressive dei social possono parlare di Gesù, ma ciò che alla fine conta è il rapporto e la testimonianza personale.
Comprendiamo allora quello strano elogio che il profeta fa nella prima lettura: «Come sono belli sui monti i piedi del messaggero che annuncia la pace, del messaggero di buone notizie che annuncia la salvezza, che dice a Sion: “Regna il tuo Dio”». Non sono tanto belli i piedi, ma le persone che avendo incontrato Gesù, Lui la Parola definitiva di Dio, ne diventano annunciatori. Vi auguro di essere queste persone, di esserlo con convinzione e con gioia, e non solo a Natale. Auguri.
+ vescovo Carlo