«Se non ti laverò, non avrai parte con me»
Omelia pronunciata da mons. Redaelli nel corso della celebrazione "In Coena Domini" al Giovedì Santo in chiesa cattedrale
28-03-2013

Come sapete, provengo da una diocesi, quella di Milano, dove nella maggior parte delle parrocchie si celebra un rito diverso da quello romano, il rito ambrosiano.

La differenza non è eccessiva, ma si nota soprattutto in Quaresima e nella Settimana Santa. Pensate, per esempio, che non solo la Quaresima incomincia più tardi, ma che nei venerdì di questo tempo liturgico non si celebra la Santa Messa né si riceve la Comunione.

Sono quindi curioso di vedere come si celebra la Settimana Santa in rito romano e, ovviamente, un po’ preoccupato di fare troppo errori…

Una cosa che ha attirato la mia attenzione nel prepararmi alla celebrazione di questa sera è stata l’aver notato che, proprio oggi in cui ricordiamo l’istituzione dell’Eucaristia, il brano di Vangelo prescelto non ne parla.

È vero che il racconto di ciò che Gesù ha fatto in quella sera è presentato da san Paolo nella sua prima lettera ai cristiani di Corinto: lo abbiamo ascoltato nella seconda lettura. Però è strano che il brano di Vangelo non ne parli.

Ancora più singolare è il fatto che il Vangelo di Giovanni non ci narri di come Gesù abbia preso il pane e poi il vino per darli ai suoi discepoli dicendo che sono il suo Corpo e il suo Sangue. Come mai il quarto vangelo non ne parla? Aveva fretta di terminare il racconto? Pensate, invece, che è il Vangelo che dedica più capitoli all’ultima cena: ben cinque. E che cosa colloca questo Vangelo al posto dell’Eucaristia? Il racconto della lavanda dei piedi.

Spesso si cerca di giustificare questa scelta così: siccome quello di Giovanni è l’ultimo Vangelo scritto, non c’era bisogno di ripetere il racconto dell’Eucaristia, già presentato dagli altri tre Vangeli, mentre invece era opportuno spiegare il significato di quel sacramento con un gesto significativo compiuto da Gesù.

Ma è significativa la lavanda dei piedi per spiegare l’Eucaristia? A me non sembra molto: se fossi un catechista e dovessi presentare ai ragazzi della prima Comunione che cosa è l’Eucaristia con un esempio semplice, parlerei di Gesù che muore in croce, userei la testimonianza di p. Kolbe che nel campo di concentramento di Auschwitz si è sacrificato volontariamente al posto di un altro prigioniero, mi riferirei a qualcuno che si è buttato in acqua rischiando la vita per un bambino che stava annegando. Ma la lavanda dei piedi davvero no.

E, invece, il Vangelo di Giovanni sceglie proprio questo gesto di Gesù. La cosa interessante è il fatto che lo introduce con parole solennissime: «Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine. Durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di Simone Iscariota, di tradirlo, Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, …».

A questo punto ci aspetteremmo che il Vangelo continuasse: si alzò da tavola e disse: “Figlioli, sto per dare la mia vita per voi. Pensate come vi voglio bene…”. E invece il brano prosegue così: «si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto».

Proprio strano. Si capisce allora che molti studiosi della Bibbia cerchino di risolvere il problema dicendo: avete capito male, tutte quelle solenni parole non sono l’introduzione a quel gesto banale della lavanda dei piedi, ma sono invece il solenne inizio di tutto il racconto della passione.

A me sembra che questa spiegazione sia un po’ un imbroglio: no, la solenne introduzione è per quel gesto banale. Che sia così, lo si comprende anche dalla conclusione: Gesù fa capire chiaramente che non si è sbagliato e, anzi, aggiunge un comando solenne: «Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi».

Quando ascolto queste parole, mi sento sempre un po’ a disagio: solo una volta all’anno obbediamo a questo comando…

A dimostrare che Gesù non ha compiuto un gesto tanto per farlo, si aggiunge anche il suo dialogo con Pietro proprio sulla lavanda dei piedi. Pietro gli obietta: «Signore, tu lavi i piedi a me?». E Gesù risponde: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci; lo capirai dopo». Ma l’apostolo insiste: «Tu non mi laverai i piedi in eterno!». E si lascia convincere solo quando Gesù gli dice: «Se non ti laverò, non avrai parte con me».

Notate che Pietro non obietta sul fatto di dover lavare lui i piedi, ma di lasciarsi lavare i piedi da Gesù: come, il Signore e il Maestro che si mette a lavare i piedi? E i piedi di allora, di chi non aveva né calze, né scarpe e camminava per strade polverose e fangose… Non è un lavoro da schiavo? Effettivamente lo era. Perché Gesù lo fa e ci dice di farlo a nostra volta?

Domandiamoci: e la morte in croce che morte è? È una morte da eroe? È una morte sul campo di battaglia? È una morte da medaglia d’oro, compiendo un gesto di generosità nel salvare la vita di qualcuno? No, è una morte da schiavo, da malfattore, da rifiuto della società. Il peggior cittadino romano, il più criminale di tutti, il più malvagio non sarebbe mai finito sulla croce: gli avrebbero tagliato la testa, ma morire da schiavo, questo mai.

Gesù fa un gesto da schiavo e muore come uno schiavo. Propone a noi di fare lo stesso, ma anzitutto di accettare che Lui ci salvi così. E solo se accettiamo Gesù che si fa nostro schiavo, possiamo a nostra volta cercare di farci schiavi a vicenda partendo dalle cose semplici, banali e un po’ fastidiose per poi arrivare, se ci sarà chiesto, a gesti più impegnativi ma sempre da schiavi.

Concludo con una sottolineatura: se il gesto di Gesù spiega il senso dell’Eucaristia, allora se ci domandano: perché vai a Messa? Dovremmo rispondere non perché sono un buon cristiano, non perché c’è un obbligo, non perché devo imparare ad amare e a fare il bravo fedele, ma perché devo accettare che Gesù si sia fatto schiavo per me e imparare a mia volta a esserlo per gli altri.

† Vescovo Carlo