Qualche decennio fa di fronte alle letture di oggi – il brano della lettera agli Ebrei, che parla del superamento dell’antica alleanza a favore della nuova, e il Vangelo che presenta la chiamata degli apostoli – sarebbe stato facile impostare l’omelia sulla Chiesa come il “nuovo Israele”. La Chiesa sarebbe stata quindi presentata come la realtà che vive la nuova alleanza a differenza e in sostituzione di Israele, che si sarebbe fermato alla prima. Gli apostoli, posti a fondamento della Chiesa, sarebbero poi indicati come coloro che hanno sostituito i dodici patriarchi e le dodici tribù di Israele. Un’omelia di questo tipo sarebbe stata probabilmente oggetto di contestazioni da parte ebraica, nella convinzione che Gesù fosse un ebreo “traditore” (o, se non lui, almeno san Paolo o i primi cristiani), e che la Chiesa sia una setta ereticale uscita dalla fedeltà al Dio dell’alleanza.
Per fortuna, il Concilio Vaticano II, l’approfondimento delle Scritture, la conoscenza reciproca e il dialogo tra ebrei e cristiani, i gesti significativi intervenuti in questi anni (ricordo l’amicizia di papa Wojtyla con un suo compagno d’infanzia ebreo; le visite dei papi alla sinagoga a Roma, al Muro occidentale e al Memoriale dell’Olocausto a Gerusalemme; il gesto del rabbino Laras di Milano di far portare la terra di Gerusalemme a Milano per la sepoltura del card. Martini), … insomma tutto questo ha permesso di cambiare la prospettiva.
Non entro qui nel dettaglio della questione, ma è innegabile che si sono riscoperti dei dati fondamentali come la consapevolezza che Gesù, Maria, gli apostoli erano a tutti gli effetti ebrei credenti e quindi, tra l’altro, meritevoli del rispetto degli ebrei attuali; la convinzione che gli ebrei sono “fratelli maggiori” o, meglio, “fratelli gemelli” dei cristiani; l’idea che le promesse di Dio non sono revocate; l’intuizione che c’è un “mistero” di Israele (ne parlo qui in senso religioso e non politico) a favore della salvezza dell’umanità; la persuasione che la Chiesa senza le radici ebraiche sarebbe destinata a perire e così via.
Si tratta di un cammino che è solo agli inizi, i cui risultati non hanno ancora raggiunto una diffusione capillare nella Chiesa e, immagino, anche tra gli ebrei credenti. Ma non siamo più ai “perfidi giudei”, definizione che risuonava in tutte le chiese fino a qualche decennio fa il venerdì santo, o alle caricature leggendarie e offensive su Gesù di certe vecchie pubblicazioni ebraiche.
Visitando qualche settimana fa il Museo dell’Olocausto ho notato anche, rispetto a quanto visto anni fa, il cambiamento del contenuto del pannello che presenta il giudizio sull’atteggiamento della Chiesa e in particolare di Pio XII verso gli ebrei durante la seconda guerra mondiale. Ora i dati sono presentanti con più oggettività e, soprattutto, vengono evidenziati i pro e i contro relativi alle diverse interpretazioni date dagli storici con la prospettiva di attendere ulteriori ricerche prima di dare un giudizio definitivo.
Mi sono dilungato su questo tema, prendendo spunto dalla Parola di Dio di oggi (anche se lascio al vostro impegno personale una sua ripresa meditativa), perché ci può aiutare a capire il ruolo degli operatori dei mezzi di comunicazione sociale nei confronti della pubblica opinione. Un ruolo che – semplifico, perché la vita è sempre più complicata di quello che si crede… – può essere giocato in termini negativi o in termini positivi.
Una facile tentazione – guardando al versante negativo – può essere quella di cavalcare i luoghi comuni su un certo tema; di amplificare le emozioni della gente, soprattutto quelle più oscure: paura, insicurezza, ansia, ecc.; di strumentalizzare le convinzioni religiose (o presunte tali); di suscitare passioni negative come l’odio, la rabbia, l’invidia, la recriminazione, la lamentela, ecc.; di individuare un “capro espiatorio”, se non persino un “nemico”, da additare come causa di difficoltà e disagi, ecc. Tutta la vicenda della shoah (ma analoghe considerazioni si possono fare per altri genocidi, persecuzioni, guerre, ecc.) dimostra ampiamente questo utilizzo distorto e nefasto dei mezzi di comunicazione sociale.
Si può fare questo uso per convinzione; più spesso per conformismo o per calcoli economici; non raramente per “ordini dall’alto” che, il più delle volte, non hanno nemmeno bisogno di esplicitarsi o, infine, per un atteggiamento compiacente verso chi ha interessi forti.
In positivo, invece – e ne esistono, per fortuna, degli esempi – con i mezzi di comunicazione sociale si possono anzitutto evidenziare e portare alla conoscenza di tutti gesti altamente evocativi con tutto il loro contenuto emotivo e la loro capacità di coinvolgere e di trasmettere delle convinzioni. Pensiamo per esempio – oltre alle azioni simboliche sopra ricordate che hanno aiutato moltissimo il ripensamento nell’opinione pubblica dell’immagine degli ebrei, dei cristiani e dei loro rapporti – ai gesti compiuti da papa Francesco, amplificati con maestria e intelligenza dai mezzi di comunicazione sociale: la corona di fiori gettata nel mare di Lampedusa, la sosta silenziosa davanti al muro di Betlemme, l’impermeabile giallo sotto la pioggia torrenziale nelle Filippine e, per stare vicino a noi, l’omaggio floreale nel cimitero austro-ungarico di Fogliano-Redipuglia.
Sempre gli strumenti della comunicazione possono in positivo cercare di offrire in modo chiaro e comprensibile a tutti i dati delle questioni dibattute; possono far prendere coscienza della complessità dei problemi e delle diverse piste, se non risolutive, almeno interpretative che li riguardano; possono aiutare a rendersi conto del “che cosa c’è dietro” a tante questioni: problemi, interessi, conseguenze di situazioni precedenti, ecc.
È facile comprendere come questo secondo tipo di azione sia di gran lunga più impegnativo: esige conoscenza dei dati (da cercare “sul campo” senza accontentarsi dei soli lanci di agenzia), studio, approfondimento, riflessione, capacità di convinzione. Sull’immediato l’atteggiamento positivo può essere anche qualcosa che non assicura un grande risultato di audience (in senso lato e non solo televisivo) e in chiave economica; ma sulla lunga può essere appagante anche sotto questi profili, perché la gente non è stupida e cerca e apprezza chi le offre l’opportunità per coinvolgersi, per conoscere, per riflettere, per agire in positivo.
Si potrebbe continuare l’esemplificazione circa i due modi di approccio da parte dei mass-media con riferimento a molti avvenimenti di questi giorni: gli atti di terrorismo in Francia, i limiti della satira, il rapporto con l’islam, l’accoglienza dei rifugiati, l’interpretazione delle interviste di papa Francesco. Ma mi fermo qui, concludendo con l’invito a pregare, anche per l’intercessione di san Francesco di Sales, perché il vostro compito sia sempre svolto in ogni circostanza a servizio di una crescita in umanità.
† Vescovo Carlo