Domenica 24 maggio l’arcivescovo Carlo ha presieduto in cattedrale la messa nella solennità dell‘Ascensione pronunciando la seguente omelia.
Riflettendo sulla festa di oggi, mi è sorta la curiosità di vedere come l’episodio dell’ascensione sia stato rappresentato nell’arte. Occorre riconoscere che non si tratta di un soggetto che ha avuto la stessa fortuna artistica della crocifissione e della risurrezione, ma non mancano certo pittori famosi come Giotto, Tintoretto, Mantegna, Perugino, Correggio che l’hanno rappresentata in modo davvero significativo. Salvo errore, però, mi pare che nessun artista abbia mai rappresentato la scena ricordata all’inizio degli Atti degli Apostoli – che abbiamo ascoltato come prima lettura – quella cioè del Risorto che a tavola parla con gli apostoli del regno di Dio.
Che Gesù risorto mangi e stia a tavola con i discepoli è una situazione che non ricorre solo qui. Anche con i discepoli di Emmaus il Risorto si ferma a tavola, per poi scomparire dopo essere stato riconosciuto al momento dello spezzare del pane. Nell’episodio successivo dell’apparizione nel cenacolo, sempre raccontato da Luca, Gesù risorto chiede ai discepoli qualcosa da mangiare e di fatto mangia una porzione di pesce arrostito. Anche nella scena della pesca miracolosa sul lago di Galilea, raccontata dall’evangelista Giovanni, si dice che Gesù interroga Pietro per tre volte sull’amore dopo avere mangiato con gli apostoli.
Nel caso dell’apparizione nel cenacolo alla sera di Pasqua, il gesto del mangiare da parte del Risorto ha evidentemente lo scopo di tranquillizzare gli apostoli, che spaventati credevano di vedere un fantasma, e di confermare la verità della sua risurrezione corporea. Negli altri episodi, in particolare in quello raccontato oggi, mi sembra che lo stare a tavola di Gesù voglia invece sottolineare una situazione di grande confidenza e familiarità tra il Risorto e i discepoli, quasi un riprendere l’intimità dell’ultima cena, sia pure rattristata dall’imminenza della passione, e poi bruscamente interrotta dalla cattura di Gesù e dalla fuga dei discepoli.
E’ molto bello vedere Gesù a tavola che parla «delle cose riguardanti il Regno di Dio», viene interrogato con spontaneità dai discepoli circa la ricostruzione del regno di Israele e risponde loro non solo richiamando la libertà dell’agire del Padre («Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere»), ma anche promettendo lo Spirito («riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi») e chiedendo infine a loro di essere «testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra».
Quello che Gesù confida e chiede agli apostoli è molto importante. Loro hanno ancora una visione ristretta del regno, come dimostra la domanda che rivolgono al Risorto: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?». Pensano, infatti, al regno di Israele, che il Messia avrebbe dovuto ricostruire. La morte di Gesù aveva deluso questa loro aspettativa. Ma ora Gesù è risorto e si aspettano che possa finalmente assumere le vesti del Messia vittorioso che faccia rivivere le antiche glorie del re Davide.
Gesù Risorto non risponde direttamente all’attesa degli apostoli, né li rimprovera per la loro visione così bloccata, piuttosto li aiuta ad allargare gli orizzonti sia a livello spaziale, sia temporale. C’è certamente un regno di Dio da realizzare, ma deve abbracciare tutto il mondo e non più limitarsi a Israele. E sicuramente il regno di Dio troverà il suo compimento, ma non ora, bensì alla fine della storia secondo il volere del Padre e con i tempi da Lui decisi. Un regno che adesso deve essere annunciato e testimoniato dai discepoli, assistiti dal dono dello Spirito Santo. Perché a loro spetta attuare la missione che il Padre ha affidato a Gesù, affinché tutti i popoli divengano discepoli e con il battesimo entrino nella vita trinitaria di Dio, come affermato dal Risorto con le parole conclusive del Vangelo di Matteo: «Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo». Occorre quindi lasciare la tavola del Risorto e impegnarsi nella storia, come richiamato dagli angeli che vogliono sbloccare gli apostoli dal loro fermarsi a guardare il cielo. A suo tempo ci sarà il compimento e ci sarà una nuova tavola, quella del banchetto definitivo quando con il Signore si gusterà il vino nuovo come da Lui promesso nell’ultima cena. Ma ora è il tempo della Chiesa, il nostro tempo, tra la Pasqua e il ritorno definitivo di Cristo. Nel frattempo, anche se il Risorto è salito in cielo, non si perde la comunione con Lui, perché ha detto: «Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo». E c’è comunque una tavola da frequentare, come hanno compreso i discepoli di Emmaus: quella della Parola e dell’Eucaristia.
Oggi, pur con tutte le limitazioni previste, questa tavola ci è stata finalmente riconsegnata. E di questo dobbiamo essere grati al Signore, riprendendo con fiducia e prudenza le celebrazioni, come ho scritto nell’editoriale di Voce isontina della scorsa settimana, e anche progressivamente la vita delle nostre comunità. Dobbiamo frequentare la tavola dell’Eucaristia per stare con Gesù, sentirci comunità con Lui, anzi per divenire il suo stesso Corpo come ci ha detto Paolo nella seconda lettura di oggi: «Tutto infatti egli [Dio, il Padre della gloria] ha messo sotto i suoi piedi e lo ha dato alla Chiesa come capo su tutte le cose: essa è il corpo di lui, la pienezza di colui che è il perfetto compimento di tutte le cose». Questo è lo scopo della celebrazione, non dobbiamo dimenticarlo. E se ora siamo contenti di poter ricevere la Comunione, dobbiamo vivere questo non solo come esperienza personale, ma appunto come realtà comunionale. Ascoltiamo la sua Parola, ci nutriamo di Lui per essere tutti insieme il suo Corpo, per essere la Chiesa che continua nel mondo la sua missione.
Guidati dallo Spirito Santo, siamo infatti chiamati a essere testimoni nel mondo di Gesù, morto e risorto. Una testimonianza che prima ancora che di parole è fatta di vita. Una vita secondo il Vangelo, non in astratto ma dentro la concreta situazione cui ci è dato da vivere. Una situazione come questa, con le sue difficoltà, incertezze, paure, ma anche con le sue opportunità, le sue speranze, le sue responsabilità.
Che lo Spirito Santo ci assista e ci aiuti a vivere oggi in pienezza il tempo della Chiesa.
+ vescovo Carlo