Un dono ed un'opportunità di maturazione della nostra fede
Omelia nella Liturgia penitenziale nella Settimana Santa 2020
08-04-2020

Mercoledì 8 aprile 2020 l’arcivescovo Carlo ha presieduto in cattedrale una liturgia penitenziale in preparazione alla Pasqua.

Pubblichiamo di seguito l’intervento di mons. Redaelli.

Stiamo vivendo questa sera una celebrazione penitenziale molto particolare. In realtà ormai ci stiamo abituando a questo sentirci vicini solo attraverso i social con il vescovo o il prete, magari con una paio di concelebranti, che celebrano da soli nel duomo o nelle chiese deserte. Stasera, però, non celebriamo l’Eucaristia, ma un momento penitenziale del tutto eccezionale, che tutti speriamo resti tale.

Vorrei che non lo vivessimo come una specie di surrogato alla confessione pasquale, ma come un’occasione per riflettere sul tema della richiesta di perdono e della conversione. E così riscoprire il senso della confessione sacramentale, che a volte rischia di essere per molti di noi un fatto di abitudine. Per questo, lascerei stasera eccezionalmente a voi di riflettere sui brani della Parola di Dio che abbiamo ascoltato, per confrontarci invece molto in concreto su una duplice domanda: che cosa ci manca stasera rispetto alla normale confessione e che cosa invece possiamo accogliere come un dono e un’opportunità di maturazione nella nostra vita di fede?

Vorrei partire da alcuni elementi molto semplici, ovviamente senza alcuna pretesa di completezza, ma con aderenza alla mia e, penso, alla vostra esperienza.

Una prima realtà che stasera viene meno è quella che si pone a livello potremmo dire emotivo-psicologico su un duplice versante. La confessione solita può anzitutto incontrare difficoltà nella nostra sfera emotiva-psicologica in particolare nell’affrontare il dovere di raccontare di noi – e non del meglio di noi… – a un estraneo, a un sacerdote, sia pure ministro della Chiesa. Ma può darci anche una grande soddisfazione allo stesso livello emotivo: avere la sensazione di esserci tolti un peso; provare, almeno per qualche tempo, la percezione di poter voltare pagina; sentirci “leggeri” dopo esserci sfogati e liberati da qualcosa che ci bloccava.

Se manca la confessione, la prima difficoltà sembra essere superata: con Dio, diversamente che con il prete, possiamo confessarci senza paura, senza nascondere niente. Ma è proprio così? Lo può essere solo se Dio viene visto non come un giudice, ma come un padre misericordioso, dove la sua misericordia non consiste nel chiudere un occhio sui nostri peccato, ma nel prenderli molto sul serio, ma proprio per questo nel volerci ancora più bene.

Se manca la confessione, pare poi venire meno inevitabilmente la possibilità di sentirci psicologicamente rassicurati e risollevati. Ma, chiediamoci, lo scopo del sacramento è la soddisfazione emotiva o non piuttosto la scoperta gioiosa – una gioia profonda, molto intima, personale e sincera – di essere amati e perdonati? Una scoperta che può anche portare gioia a livello emozionale, ma che si gioca comunque a livello della fede. Del resto anche nella confessione per così dire normale, è la fede e non la psicologia che ci assicura del perdono.

Un’altra realtà che viene meno stasera è la possibilità dell’incontro con il sacerdote, un incontro che, soprattutto se è il nostro confessore abituale, spesso va al di là del ricevere l’accusa dei nostri peccati e del darci l’assoluzione e diventa invece un confronto sul nostro cammino spirituale con delle indicazione sui passi da fare e sulla verifica di ciò che abbiamo fatto. Si tratta di una semplice direzione spirituale, che per sé non è necessariamente collegata alla confessione, ma che aiuta a vederla come una tappa importante del nostro cammino di vita cristiana. Questo confronto stasera ci manca: è un fatto. Forse per qualcuno è possibile viverlo per telefono (ovviamente senza entrare nelle questioni più intime e personali). Ma per altri?

Suggerirei un duplice aiuto. Il primo è quello che ci viene dagli spunti di riflessione che da più parti ci vengono – e direi con abbondanza… – in questi giorni: le parole del papa, dei vescovi, dei sacerdoti, i video, i testi sui più svariati temi, i sussidi… Dobbiamo fare un po’ da soli, ma con l’aiuto dello Spirito Santo quanto vediamo, ascoltiamo, leggiamo e soprattutto riflettiamo può aiutarci molto per il nostro cammino spirituale.

Un secondo aiuto, più difficile da accogliere, ma non meno prezioso, sono gli apprezzamenti, le indicazioni, le osservazioni e persino le critiche di chi abita con noi e, al di là di qualche inevitabile tensione (che in questi momenti è del tutto scusabile…), ci vuole però bene. Quanto ci dicono gli altri che ci amano, depurato, se volete, da qualche carica emotiva, ci può essere di grande aiuto nel comprendere aspetti di noi (non solo negativi ma anche positivi o comunque con una potenzialità positiva) che spesso ci sfuggono: tutti siamo giudici poco oggettivi di noi stessi.

Una terza realtà che manca evidentemente stasera è l’assoluzione. Non è possibile concederla via streaming, radio, tv telefono o in qualche altra maniera. E allora non siamo perdonati? Ma che cos’è l’assoluzione sacramentale? Non è certo un colpo di bacchetta magica che “sbianca” la nostra anima e la rende foglio immacolato. Niente magia e niente candeggi.

L’assoluzione invece è il momento in cui il sacerdote su mandato della Chiesa e a nome di Dio ci offre il perdono. Ma questo perdono è efficace se accolto, se c’è un reale pentimento, se c’è almeno il desiderio sincero di cambiare vita. E questo perdono ci può essere davvero anche senza assoluzione sacramentale se siamo impossibilitati, come in questo caso, a confessarci, ma c’è la consapevolezza del peccato, il pentimento, il desiderio di cambiare vita (pur consapevoli delle nostre fragilità) e soprattutto se ci lasciamo amare da Dio che ci perdona.

Si dice che perché si realizzi tutto questo occorre un atto di contrizione perfetta. Non vorrei che fraintendessimo questa espressione come se per la confessione normale bastasse un atto di contrizione “così così”, non completo, e invece quando non ci si può confessare dovrebbe esserci la perfezione del pentimento, rendendo ancora più difficile la nostra situazione straordinaria. Non può essere così: sempre, con la confessione o senza, il nostro pentimento deve essere sincero, deve essere totalmente quello che possiamo e riusciamo a esprimere in quel preciso momento, senza perfezionismo, ma anche senza compromessi. Possiamo dire allora:

“Signore, stasera mi dispiace di vero cuore di non essermi comportato da tuo figlio, di essermi spesso dimenticato del Vangelo, di non essermi accorto che mi vuoi bene, di aver rovinato la bellezza della tua Chiesa, di non aver vissuto la comunione dei santi.

Sono contento che mi ami, anzi che mi ami ancora di più proprio perché sono debole e peccatore, e per questo conto sul tuo perdono e ti chiedo il dono del tuo Spirito perché la mia vita, pur con le sue fragilità, possa proseguire verso la meta del tuo Regno.

E quando mi sarà possibile, avrò la gioia anche di venire in chiesa a ringraziarti, anche attraverso il sacramento della riconciliazione, per il perdono che – ne sono certo – stasera mi doni. Grazie”.

+ vescovo Carlo