Nella giornata del Buon Pastore, nella quarta domenica di Pasqua, come di consuetudine le Zelatrici ed amici del Seminario della nostra Arcidiocesi si sono incontrati con l’Arcivescovo Carlo, il loro assistente don Nicola Ban e i seminaristi Mattia e Manuel nei locali della comunità sacerdotale a Gorizia.
La giornata particolarmente mite e primaverile, dedicata alla preghiera per le vocazioni di speciale consacrazione, ha fatto ben sperare che ci sia sempre primavera nella Chiesa, ci sia sempre una rinascita, sempre una Pasqua, anche da un punto di vista vocazionale.
In questo periodo, particolarmente ricco di sacramenti, tra cui le cresime, il Vescovo Carlo ha colto lo spunto, per il suo intervento, dalle lettere ricevute proprio da alcuni cresimandi adolescenti.
Così una ragazza: “Sento di voler conoscere, scoprire, credere. Ogni tanto voglio essere diversa, non seguire la massa, le abitudini, ma fermarmi, riflettere e capire il vero senso della vita. Ogni tanto, ultimamente sempre più spesso, decido di fermarmi in silenzio nella mia stanza o ai piedi di un albero in giardino ad ascoltare tutto ciò che mi gira attorno: auto, traffico, canti di uccellini, il vento, la televisione accesa nelle case vicine, voci. In tutto ciò riesco a capire me stessa, a quanto sia fortunata ad avere una vita del genere e penso a tutte quelle volte che ho il coraggio di lamentarmi, pur sapendo quanto sia egoista. Per fortuna in tutto ciò c’è Lui, mi è sempre accanto, lo so, lo sento, lo ringrazio perché quando mi dimentico di Lui, oppure lo deludo, non mi abbandona”.
E un ragazzo: “In questi due anni ho riscoperto il vivere l’Eucaristia, ormai la messa per me è diventata un appuntamento fisso nella mia agenda, mi piace vivere questo appuntamento di settimana in settimana e seguire lo svolgersi dei fatti narrati nel Vangelo, però purtroppo non incontro mai nessuno di quelli che fanno il corso di catechismo con me e mi dispiace per loro, probabilmente non stanno vivendo appieno questa esperienza”.
Altri ragazzi: “Non mi piace essere trasportato dalla corrente, preferisco pensare con il mio cervello, cercare il mio personale perché. Perché fare la cresima? Tante le domande a cui vorrei un giorno trovare una risposta: perché credere in Dio? Dio esiste, il paradiso, la salvezza”.
“Purtroppo spesso mi tiro un po’ indietro, mi tolgo anche la voglia di impegnarmi e vivere la mia interiorità. Come faccio a evitare che ciò accada? Come posso rendere la mia fede, magari anche quella dei miei amici, a portata di giovane? Spesso infatti mi sembra che la fede sia un po’ una cosa per adulti, che tocchi solo argomenti che ora non mi riguardano”.
Per un altro ragazzo ancora è motivo di grande turbamento l’andare a scuola ed essere guardato male perché va in Chiesa.
In quell’ambiente è rimasto sconvolto dallo scoprire che diverse persone sostengono che Dio non esiste e non credono neanche nell’amore.
Bello è vedere che questi ragazzi stanno cercando e forse dobbiamo dare loro delle prospettive grandi, perché dopo la cresima non va donato solo qualche momento, anche se bello e importante, nel volontariato, come animatore, o in aiuto alla Caritas. La vita va donata, non qualche momento soltanto. Ecco, forse alle domande di questi giovani dovremo proporre qualcosa di più, perché sono domande alle quali non si risponde con un momento, ma con una vita.
La vita poi può essere dedicarsi al Signore al servizio della Chiesa come prete o suora, missionario o diacono…
La vita può essere sposarsi in Chiesa, vivere l’impegno. Il papa recentemente – incontrando a Roma i rapppresentanti dell’Azione Cattolica – ha ricordato l’impegno politico. Quanti impegni! Di una vita, non di un momento.
Perché adesso non riusciamo o facciamo fatica a comunicare la fede con un linguaggio che i ragazzi percepiscono, che incroci la loro vita senza infantilizzare la fede?
Dopo un breve, ma interessante dibattito l’Arcivescovo Carlo ha ringraziato le Zelatrici per l’impegno, la generosità e la preghiera, ribadendo la necessità di un aiuto vicendevole per andare incontro alle domande dei ragazzi e, invocando lo Spirito Santo, dare una testimonianza di bellezza del Vangelo.
Al commiato dell’Arcivescovo è seguita la densa testimonianza del seminarista Manuel, la consegna delle offerte nelle mani del vicario generale dell’arcidiocesi, mons. Armando Zorzin, la preghiera del Santo Rosario in cappella dove siamo stati raggiunti dal direttore della comunità, don Nino Comar e da alcuni sacerdoti ospiti della comunità: mons. Oscar Simcic, don Diego Bertogna, don Angelo Persig. Ha partecipato fin dall’inizio dell’incontro anche mons. Ennio Tuni.
a cura di Angela Ceccotti
Quel grande ceffone ricevuto dal papà
Buongiorno a tutti, sono Manuel Millo ho 34 anni. Vi scrivo dal seminario di Castellerio a Udine per raccontarvi una storia. La mia storia. Meglio la storia della mia vocazione. In realtà la storia di una vita fatta di ricerca. Esatto, come fosse stato un lungo viaggio alla ricerca dei perché della vita. Sapete come quando un bambino vi chiede sempre come funzionano le cose. Esatto. Io mi domandavo sempre fin da ragazzo perché le cose erano quelle che erano. Direte filosofia. Corretto ma a quel tempo la traduzione del mio animo la vedeva nel modo del suo significato originale. Desiderio di sapere.
Per molti anni ho lavorato nell’ambito della cooperazione sociale rivestendo molti incarichi di rilievo sia umano che dirigenziale. Devo dire che a un certo punto della vita avevo tutto. Tutto quello che una persona possa desiderare. Eppure ci fu un momento in cui provai un grande vuoto interiore davanti alla vita. Che cosa stava succedendo? Vi confesso un segreto: tutto quello che avevo non era arrivato per caso, il punto è che non avevo ancora acquisito gli strumenti per comprendere il disegno più grande che c’era alle mie spalle. Non che oggi lo sappia, ma il fatto di poterlo solo percepire è davvero una grazia ricevuta. Ma andiamo per ordine: come sono arrivato a essere seminarista vi chiederete? Spesso me lo chiedo anch’io (sorrido). Vedete tutto comincia molto tempo fa, a cavallo di un destriero che il tempo moderno chiama motocicletta. Una sera di undici anni fa la mia vita correva molto veloce e non era solo per le due ruote che avevo tra le mie mani, era soprattutto per il senso che stavo dando o meglio non dando alle mie giornate. Avevo lasciato gli studi letterari per lavoricchiare e ‘’godermi’’ la vita all’avventura. Tutto bene, una routine giovanile. Forse troppo. E a volte se non ci fermiamo noi, qualcuno sa come intervenire. Nella mia mente riecheggia ancora oggi il frastuono di quell’esplosione. Un grande incidente. Eppure ne esco incolume. Intoccato, fisicamente, ma dentro cosa succede? La sensazione è come di aver ricevuto un grande ceffone dal papà dopo qualche ‘’marachella’’ eccessiva che la gioventù, in funzione della sua energica dinamicità, ti porta a compiere. I mesi cominciano a passare; arriva l’autunno eppure sento che qualcosa non è più come prima. Un giorno, dal lavoro, mi chiedono di accompagnare un gruppo di persone anziane al santuario di Barbana; fin qui nulla di strano. Capitava spesso di accompagnare gruppi di persone in gita; il punto è che non sapevo che in realtà in quella giornata sarebbe stato qualcun altro a farmi capire che da sempre mi stava accompagnando. Sapete, arrivato al santuario ci fu qualcosa di incredibile che colpì il mio stato di ‘’anestetizzazione’’ (è così che ancora oggi percepisco la condizione prima di quel risveglio): lungo tutto la chiesa c’erano dei quadretti che riportavano immagini di incidenti diversi ma tutti una scritta comune: P.G.R.. Nella mia poca dimestichezza con il settore (sorrido) l’unica cosa che seppi fare e che mi fu di grande insegnamento nella vita in seguito fu quella di chiedere aiuto. Così gentilmente un frate che mi guardava incuriosito mi disse: ‘’Figliolo significa Per Grazia Ricevuta’’. Ora non saprei come illustrarvi con parole quello che colpì il mio cuore e il mio intelletto ma ci provo: avete presente quando entrate in una stanza buia: ecco, pensate di passarci poi molto tempo. Alla fine il vostro occhio si abitua e voi pensate di aver colto che quella è la realtà. Poi ad un tratto qualcuno apre le finestre e arriva una grande luce che inizialmente vi abbaglia ma poi vi permette di cogliere ogni sfumatura dell’insieme e paradossalmente anche di voi stessi. Quando rientrai di lì non avevo capito come funziona la vita; quello che mi era stato permesso di cogliere era il fatto di aver avuto una seconda possibilità, cosa che non a tutti capita. E così promisi l’unica cosa che potevo fare: mi sarei impegnato in tutto ciò che la vita mi poneva davanti, anche se non lo avessi compreso subito. E ripartì dai disegni insospesi che avevo nel cuore. Lo studio, la ricerca e l’impegno verso il prossimo. Di certo allora non avrei mai pensato di diventare sacerdote! Davvero curiosa la vita. Per anni quando ero bambino giocavo all’ombra del campanile pensando che chi dovesse essere sacerdote era di certo una persona brava e precisa, non di certo un ragazzotto come me che a messa ci andava e non ci andava in base agli impegni con gli amici! Eppure vedete quello che compresi nel tempo della ricerca, che resta ancora oggi quotidiana, è che il Signore ci ama per quello che siamo e in modo particolare che guarda al cuore e non alle torri di Babele che spesso nella vita costruiamo solo per farci lodare dall’altro. Si perché a un certo punto divenne così. Mi impegnai così tanto che ottenni non tutto ma molto di più. Mi laureai e il mio ruolo nell’ambito lavorativo raggiunse gli apici desiderati da molte persone. Ma sapete cosa accadde: quando arrivai in vetta mi resi conto di essere rimasto solo! Avevo dimenticato un ‘’dettaglio’’ importante: il senso e il perché facciamo quello che facciamo. Così ricevetti la risposta alla mia domanda: mio padre si ammalò. E nella sua malattia e nel mio grande dolore ritrovai il senso e il sentiero di quel cammino intrapreso. Avevo paura ma ricordai una cosa che feci molti anni prima: chiesi aiuto. E l’aiuto arrivò puntuale. Ma non come volevo io. Questa resta sempre la parte affascinante e a volte complessa di questo mistero e della nostra fede. Si, la fede, la fiducia. Questa è la chiave. Ebbi fiducia. Ebbi fede. E paradossalmente senza rendermene conto. Perché vedete nel dolore manifestiamo la nostra parte più vera, che spesso celiamo all’ombra della nostra ragione: si chiama Cuore. Un giorno aprendo il cassetto della mia scrivania ritrovai il Vangelo della prima comunione. Non l’avevo mai dimenticato perché ricordavo di non aver capito, al tempo, il suo significato e così lo misi da parte con la promessa, un giorno, di riprenderlo con me. E quel giorno era arrivato. E fu impetuoso, forte ed evidente come il sole a mezzogiorno: ‘’ Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia e tutto il resto vi verrà dato in sovrappiù’’ (Mt 6,33). Ora non ero diventato un esegeta biblico ma gli studi che avevo fatto in filosofia mi permisero di intuire una cosa: se devo cercare il Regno devo ritornare sui miei passi, sui passi di quando giocavo all’ombra del mio campanile. E fu così che ritornai là, dove tutto ero cominciato. Era come se avessi dovuto partire per un lungo viaggio per capire e vedere cosa era il mondo. E quando ritornai in Chiesa nulla era come prima ma in realtà tutto era come doveva essere: ero ritornato a casa. Le parole che ascoltai, quelle del Vangelo, quelle della Bibbia erano VIVE. Erano parte di me. La sensazione era quella di avere ripreso la memoria. Avete presente la luce che vi dicevo. Ora non era più abbagliante, era calda e dolce e avvolgeva ogni cosa. Ma adesso che fare? Qui viene la parte a cui tutti noi siamo chiamati: la scelta. E non si tratta della scelta sacerdotale. Significa sapere scegliere. Vedete, quello che il Signore ci insegna e che lui ci offre tutto. Tutto è a disposizione. Ma in questo tutto è necessario compiere la scelta che ci richiama alla nostra universalità. Che parolone!?! Esatto. Infatti anche per me fu un grande momento dì difficoltà. Ma memore della esperienza donata, feci due cose che avevo compreso: chiesi aiuto e ascoltai attentamente togliendo la corona che da solo avevo posto sulla mia testa e accogliendo quella che era la realtà: ero solo custode della mia vita. Non ero il titolare assoluto. Un grande insegnamento. E nel momento in cui mi misi in ascolto, un ascolto profondo che passa dal cuore all’intelletto come se essi rappresentassero il timone e la vela della vita, tutto fu chiaro, che non significa semplice e scontato, attenzione! Dovevo fare delle scelte: dunque prima di tutto dovevo imparare come si fanno! Così Ri-Chiesi aiuto e ascoltando bene bene, compresi. E mi ritrovai a Bologna, dove con i padri gesuiti svolsi gli esercizi spirituali ignaziani, che nella mia richiesta di sostegno arrivarono come la manna dal cielo. Provvidenziali. Nell’ascolto e nel silenzio interiore. Proprio così. Dal tumulto del quotidiano il Signore trovò spazio nel silenzio che gli offrì nel mio cuore. E lì mi parlò. Ma non con il linguaggio che siamo soliti pensare o con un messaggio moderno via ‘’whatsapp’’! Lo ha fatto come in realtà lo fa quotidianamente con ognuno di noi nella nostra vita. Non è una cosa esclusiva. Il punto è se vogliamo veramente ascoltarlo. Io ho scelto di farlo e ne sono umilmente onorato. Non so cosa mi aspetta per il futuro. Sono grato per quello che ho trovato qui, ora. Vedete, spesso si pensa al seminario come un luogo isolato dove strani soggetti alieni vengono preparati a chi sa quali strani compiti. Quello che posso dirvi, da uomo e da persona come voi che ha vissuto e vive quotidianamente la vita, con alti e bassi, con gioie e dolori, è che qui con me ci sono persone come tutti noi che si interrogano sul senso profondo della vita e che hanno scelto di donare la loro per essere ambasciatori di una parola che non è la nostra. È la parola per tutti noi e di tutti noi. Ecco la differenza. Ecco il rispetto del custode di cui vi parlavo prima. Se un buon amico vi lascia le chiavi della sua casa e vi chiede di custodirla, cosa farete? Penso che ne avrete cura e attenzione. Il Signore ha fatto questo con le nostre vite. Le ha date a noi come buoni custodi. Ha avuto fiducia in noi. Senza chiederci le garanzie preliminari. Non so quando verrà a riprendere le sue chiavi, quelle della mia o della vostra vita, ma quello che so è che se anche venisse domani, per il solo fatto di sapere che mi sono impegnato ogni giorno, al massimo, per custodire e rendere proficuo quel prezioso gioiello che mi è stato affidato, questo aspetto e questo fatto mi dà un’immensa gioia profonda che nessun altra storia potrà mai sostituire.
Con infinita gratitudine,
Manuel