“Abbiamo una Madre!”. Quanto è bella già solo questa frase, pronunciata dal papa a Fatima! E proprio a Maria, sotto la guida del direttore spirituale don Ilario Virgili e di gran parte dei seminaristi di Gorizia, Udine e Trieste, le numerose Zelatrici della nostra Arcidiocesi hanno affidato, nel pomeriggio di lunedì 15 maggio, in occasione dell’annuale visita al Seminario Interdiocesano di Castellerio, tutte le vocazioni ed in particolare quelle sacerdotali e religiose.
A seguire, l’interessante incontro con il nuovo rettore del Seminario, proveniente dall’Arcidiocesi di Udine, don Loris Della Pietra: “Credo che questo incontro annuale sia per tutti noi un’occasione molto bella, importante, significativa per due ragioni almeno: la prima è per il compito, il ruolo che voi, non da oggi evidentemente, sempre vivete che è quello dell’attenzione, della sensibilità alla realtà del seminario e dei seminaristi, soprattutto con la preghiera. E sappiamo quanto ci sia bisogno di pregare, di porre davanti al Signore quelle che sono le esigenze, le necessità delle nostre Chiese e prima tra tutte c’è proprio quella delle vocazioni, del cammino di coloro che si preparano a diventare i pastori delle nostre Chiese appunto.
Un secondo motivo credo sia quello della comunione tra queste nostre Chiese. Voi provenite dall’ Arcidiocesi di Gorizia e questo ci ricorda anche la vitalità, l’impegno di questa Chiesa particolare, insieme al vostro Arcivescovo che proprio recentemente è venuto qui. Ogni espressione della nostra Chiesa non rappresenta solo se stessa, il proprio carisma, la propria tradizione, le proprie iniziative, ma rappresenta un po’ tutta la Chiesa alla quale appartiene. In questo clima di profonda comunione, fraternità e amicizia vogliamo vivere questo nostro incontro”.
“Vi ringrazio per tutto quello che fate e che siete per questo Seminario e per questi ragazzi – ha concluso don Loris – ma vi lascio anche un impegno ulteriore nella vostra preghiera: quello di pregare perché davvero si rafforzi il seme che il Signore ha seminato nei cuori di questi ragazzi, secondo la sua volontà ovviamente e nello stesso tempo che si preparino a servire il popolo di Dio con un senso di appartenenza che è proprio non di chi sale in cattedra, ma di chi vuole imitare Gesù che nella sera della cena si è chinato a lavare i piedi dei suoi discepoli e ha insegnato a fare altrettanto”
La parola è passata quindi a chi scrive, quale coordinatrice del gruppo diocesano delle Zelatrici, “Poco prima dell’intervento del rettore cercavo nella mia borsa un foglio sul quale prendere qualche appunto e sono rimasta piacevolmente sorpresa quando a caso ho estratto il testo del canto: “Frutto della nostra terra”, perché qui oggi vediamo proprio i frutti della nostra terra, del nostro lavoro, del nostro pregare, frutti che danno un senso al nostro fare, al nostro essere.
Quanto bisogno hanno le nostre comunità del prete! Nella Giornata del Buon Pastore un parroco diocesano ha simpaticamente evidenziato come ancora, dopo diverso tempo dall’istituzione dei Ministri Straordinari, al momento di ricevere la S. Comunione tanti fedeli cercano sempre il sacerdote, compiono giri lunghi in chiesa per ricevere dalle sue mani l’ostia.
Un altro parroco ha lodato il sostegno ai tanti sacerdoti e missionari sparsi per il mondo e nel contempo ha esortato a riflettere anche sui nostri, sui vicini. Come non pensare ai frutti della nostra terra? O meglio: Ci pensiamo abbastanza? Le nostre comunità conoscono la realtà del Seminario, sono aggiornate sui seminaristi che ci sono, su come vivono, studiano, sulle priorità che hanno? Informano i giovani sulla possibilità di intraprendere questo cammino? Sono vicine a quelli che pensano di aver avvertito la chiamata del Signore?…
Certo la preghiera e il gesto di carità non mancano ed è bello pensare di compierlo come l’innamorata verso il suo amato. Chi di noi non si ricorda che quando si trattava di fare un regalo al proprio moroso/a non desiderava altro che spendere tutti i soldini che aveva!
Ci sono uomini e donne ancora e tutt’ora in ricerca e questo lo vediamo. Sosteniamo i ragazzi in ricerca che, sottolineo, ci sono. Cerchiamo di stare vicino ai giovani e aiutiamoci a vicenda a trovare i giusti linguaggi per far conoscere loro Gesù.
Il senso di questo nostro viaggio a Castellerio non è solo dettato dal piacere di stare insieme, ma è un viaggio che ha un valore, che ha una valenza marcatamente cristiana. Siamo qui certo per curiosità e diverse sono le persone giunte quest’anno per la prima volta, siamo qui però soprattutto perché crediamo che ci siano ora e sempre ragazzi e giovani che ascoltano la chiamata del Signore”.
Un ricordo particolare, al termine, è stato rivolto alle zelatrici che non hanno potuto partecipare all’incontro fisicamente ma che si sono unite al gruppo con la preghiera.
Durante la visita sono state raccolte fra le Zelatrici alcune offerte grazie alla lotteria, alle quote viaggio e a contributi personali: di queste 700 euro sono stati consegnati al rettore del seminario e 338 all’Ufficio amministrativo della Curia di Gorizia a copertura delle spese della giornata.
Angela Ceccotti
SUL SEMINARIO
La realtà di quest’anno del nostro seminario contempla la presenza di 31 seminaristi di cui 21 provenienti dalla diocesi di Udine, 8 da quella di Trieste e 2 da quella di Gorizia, Mattia e Manuel, tutti suddivisi nell’arco dei sei anni di studio. Evidentemente i motivi della scarsità delle vocazioni oggi sono tanti e riguardano le nostre realtà locali come quelle nazionali e mondiali. I numeri però ci dicono quella che può essere la nostra attenzione sul fronte della preghiera come della testimonianza e ci coinvolgono in un’opera di sensibilizzazione nei confronti dei più giovani presentando loro la vocazione, il servizio nella Chiesa come una delle possibilità per rispondere alla chiamata del Signore.
L’età media dei seminaristi va dai 19 ai 37 anni, piuttosto ampia, ma sempre giovanile. E sappiamo che proprio nella fascia di età giovanile ci si pongono le domande fondamentali circa il proprio futuro, la propria identità come persona, la propria fede. è l’età del discernimento dice papa Francesco in cui uno discerne se stesso, ma si lascia anche aiutare da alcune figure importanti che possono essere il parroco o un altro sacerdote per intuire quella che può essere la propria strada alla luce della volontà di Dio.
Mi preme ricordare ancora due aspetti della vita del seminario e anche di quello che è il cammino dei nostri ragazzi. Uno, l’ho già ricordato, è quello del discernimento, forse più legato ai primi due anni, ma non solo: interrogarsi, porsi in ascolto della volontà di Dio, essere docili anche con coloro che hanno il compito di guidare per poter dare una risposta più matura possibile.
Il secondo aspetto prevede la preparazione a quello che sarà il ministero dentro la Chiesa, quindi all’ordine sacro. Riguarda propriamente il triennio che inizia dal terzo anno di studio fino ad arrivare al sesto in cui ci sarà una formazione specifica pastorale. Il triennio finale richiede un’attenzione ancora più forte verso la Chiesa. Non si diventa preti a titolo personale, ma nella Chiesa e per la Chiesa. Questo non è facile anzi è particolarmente difficile sentirsi parte del corpo di Cristo che è la Chiesa e che manifesta a volte punti di debolezza, ma rimane il corpo di Cristo. Imparare a servire Cristo nel suo popolo che è la Chiesa è la sfida più grande che attende coloro che si preparano ad essere ordinati.
In seminario c’è un’equipe educativa. Oltre a me c’è il vice rettore don Sergio della diocesi di Trieste, il direttore spirituale, don Ilario ed il prodirettore dello studio teologico, don Romanello entrambi dell’Arcidiocesi di Udine. Il nostro compito consiste nel mettere insieme le varie componenti che costituiscono il cammino di formazione: c’è la vita spirituale, che ha un ruolo fondamentale ed è anche quella che fa da sintesi tra tutte le componenti. Il rapporto con Dio, la vita di preghiera, l’ascolto della Parola di Dio, il cammino interiore che uno è chiamato a fare, poi la dimensione teologica, culturale che riguarda lo studio della teologia attraverso le sue varie branchie e dimensioni. Non si tratta soltanto di sapere delle cose, di crearsi un bagaglio culturale, il tutto poi deve anche entrare in rete, essere messo in circolo con le altre dimensioni. Anche lo studio serve alla spiritualità e servirà poi alla vita pastorale che è la terza dimensione. Chi è qui oggi sarà fuori un domani, si immergerà nelle vicende, nella vita del popolo di Dio per servirlo come pastore.
Il Seminario di Castellerio è Interdiocesano e ciò significa che i seminaristi di Gorizia e Trieste non sono ospiti, ma seminaristi di questo seminario a pieno titolo. I vescovi delle tre diocesi periodicamente frequentano il seminario, incontrano i seminaristi, si interessano del cammino e della realtà del seminario. Il vescovo di Udine funge da moderatore e, per conto degli altri vescovi e strettamente unito a loro, si occupa e preoccupa del seminario.
Il seminario non è una sorta di oasi staccata dalla realtà. A questo proposito vorrei leggervi alcune righe tratte dal discorso che papa Francesco ha tenuto ai vescovi italiani nel maggio del 2016 sulla figura del prete, sulla sua formazione. Questo discorso può essere d’aiuto ai laici per pensare ai loro pastori che lavorano tanto e spesso sentono il peso di questa fatica; può essere d’aiuto anche ai seminaristi per sapersi collocare nel presente e nel futuro dentro il cammino di una Chiesa: “Per chi impegna il servizio il nostro presbitero? La domanda, forse, va precisata. Infatti, prima ancora di interrogarci sui destinatari del suo servizio, dobbiamo riconoscere che il presbitero è tale nella misura in cui si sente partecipe della Chiesa, di una comunità concreta di cui condivide il cammino. Il popolo fedele di Dio rimane il grembo da cui egli è tratto, la famiglia in cui è coinvolto, la casa a cui è inviato…
Colui che vive per il Vangelo, entra così in una condivisione virtuosa: il pastore è convertito e confermato dalla fede semplice del popolo santo di Dio, con il quale opera e nel cui cuore vive. Questa appartenenza è il sale della vita del presbitero; fa sì che il suo tratto distintivo sia la comunione, vissuta con i laici in rapporti che sanno valorizzare la partecipazione di ciascuno. In questo tempo povero di amicizia sociale, il nostro primo compito è quello di costruire comunità; l’attitudine alla relazione è, quindi, un criterio decisivo di discernimento vocazionale.
Allo stesso modo, per un sacerdote è vitale ritrovarsi nel cenacolo del presbiterio. Questa esperienza – quando non è vissuta in maniera occasionale, né in forza di una collaborazione strumentale – libera dai narcisismi e dalle gelosie clericali; fa crescere la stima, il sostegno e la benevolenza reciproca; favorisce una comunione non solo sacramentale o giuridica, ma fraterna e concreta”.
Il popolo di Dio per i nostri ragazzi è grembo, è casa, è famiglia. Faremmo un grave errore se pensassimo al prete o al seminarista come a una figura staccata rispetto alla storia, alle vicende degli uomini e delle donne del nostro tempo.