Le persone consacrate sono uomini e donne che credono nella salvezza del Signore
Omelia di mons. Redaelli nel corso della concelebrazione eucaristica per la Festa della Presentazione del Signore al Tempio e per la Giornata Mondiale della Vita Consacrata, presso la chiesa metropolitana di Gorizia
02-02-2013

Il brano della lettera agli Ebrei utilizza un’espressione un po’ particolare su cui vale la pena di riflettere. Si parla di «quelli che, per timore della morte, erano soggetti a schiavitù per tutta la vita». Che cosa significa?

Per “timore della morte” non si intende qui la normale paura della morte che tutti, anche chi è credente, abbiamo, chi più chi meno a seconda anche dei momenti della vita. Paura della sofferenza, paura dell’ignoto, paura di finire, paura di lasciare persone, affetti e cose.

No, qui è molto di più. È il timore angosciante di chi non ha speranza e che comunque vuole vivere e si attacca a tutto pur di sopravvivere, diventando schiavo della sua stessa paura e delle forme illusorie per vincerla.

Quali sono queste forme? Sono sostanzialmente tre. Anzitutto l’affermazione di sé. Se si crede che la morte sia la fine di se stessi, allora si cerca di esorcizzarla mettendo al centro di tutto il proprio io, pensando solo a sé, cercando di affermarsi, di valere e farsi valere, di avere successo, di essere riconosciuti, di essere speciali.

Cosa che può diventare esaltazione di sé e della propria volontà o giungere alle forme più ridicole del “lei non sa chi sono io”…

Una seconda modalità per esorcizzare la morte è il possesso. L’avere tanti soldi, tanti beni, tanta disponibilità di risorse, accumulando quanto più possibile. Ma anche il possedere affettivamente le persone, il legarle a sé.

Una terza maniera per contrastare la paura della morte è cercare ciò che sembra l’affermazione della vita, in particolare la sensualità, come ricerca spasmodica di soddisfazione nel campo della sessualità, ma anche del cibo, del bere, delle varie sostanze, dei giochi, ecc.

Tre modalità che non portano a vincere la morte, ma rendono schiavi come risulta evidente dall’ultima citata. E «chi della morte ha il potere», il diavolo, lo sa molto bene.

Ma ci sono modi più raffinati per tentare di vincere il timore della morte, sempre però basandosi su se stessi. Sono quelli riconducibili alla “legge”, al cercare di essere perfetti e irreprensibili: a volte accentuando un rigido senso del dovere, altre volte sottolineando un’ineccepibile osservanza formale.

La lettera agli Ebrei ci dice però che c’è una reale possibilità di sconfiggere il timore della morte e di diventare così liberi. Questa possibilità è la salvezza che ci viene data da Gesù. Una salvezza non conquistata, ma accolta perché donata da Lui. Una salvezza che non cade dall’alto ma dalla condivisione della nostra umanità da parte del Figlio di Dio, che «ha in comune con noi il sangue e la carne». Una comunanza con noi che arriva a prendere su di sé la nostra morte e così «ridurre all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo». Solo accogliendo la salvezza che ci viene dal Signore Gesù possiamo allora trovare la libertà rispetto al timore della morte e a tutti i palliativi a cui ci aggrappiamo per sconfiggere questa paura: l’egoismo, il possesso, la sensualità, il legalismo, il formalismo. Possiamo diventare persone guidate dallo Spirito, pieni della sua consolazione.

Il Vangelo ci offre concretamente l’esempio di due persone così: Simeone e Anna. Si tratta di due persone che non hanno paura della morte, perché tutta la loro vita è stata un’attesa del Signore. Simeone, anzi, chiede al Signore di essere lasciato andare in pace. Ha infatti incontrato la salvezza: quel bimbo che ha in braccio.

Una salvezza lungamente attesa come “consolazione di Israele”, una salvezza da non tenere per sé perché contemplata come luce destinata a tutte le genti. Simeone poi è un uomo guidato dallo Spirito e non dalla Legge. A questo proposito è interessante notare l’inizio del brano del Vangelo di Luca dove per tre volte si parla della Legge a cui i genitori di Gesù si attengono e subito dopo si nomina per tre volte lo Spirito come colui che anima e guida Simeone: «lo Spirito Santo era su di lui», «lo Spirito Santo gli aveva preannunciato», «mosso dallo Spirito si recò al tempio». Simeone, quindi, come uomo guidato dallo Spirito e non da se stesso.

Anche Anna vive lo stesso atteggiamento di Simeone: si mette a lodare Dio e a parlare del Bambino «a quanti – come lei – aspettavano la redenzione di Gerusalemme». Tutta la sua lunga vita è stata attesa del Signore, è stata «servire Dio notte e giorno con digiuni e preghiere».

A proposito di lei non si nomina lo Spirito Santo, ma il termine che la definisce “profetessa”, un vocabolo molto significativo per la Bibbia, la presenta come guidata dallo Spirito di profezia.

Stiamo celebrando la giornata della vita consacrata. Le persone consacrate sono uomini e donne che credono nella salvezza del Signore. Per questo non hanno timore della morte, né sono schiavi di tale timore e di chi lo incute.

La loro scelta di vita è anzi esattamente contraria a quella di chi cerca palliativi per vincere il timore della morte.

Non scelgono l’affermazione di sé ma l’obbedienza, il mettersi totalmente nelle mani di Dio attraverso la Chiesa.

Non cercano il possesso e la ricchezza, ma assumono come stile di vita la povertà.

Non inseguono compensazioni nella sensualità, ma vivono la castità come custodia del dono di Dio che è il loro corpo e la loro affettività.

Sono persone che non si rifugiano nel rispetto del dovere, non pretendono la perfezione legalistica, né indulgono alla forma, ma si lasciano guidare dallo Spirito che soffia dove vuole.

Sono persone che vivono tutta la vita attendendo lo Sposo e servendolo notte e giorno, sapendo che finalmente arriverà.

Sono proprio così le consacrate e i consacrati? Sono davvero immuni dalla paura della morte e dalla schiavitù del peccato, dell’autoaffermazione, del possesso, della sensualità, del legalismo e del formalismo?

Certo desiderano essere così, ma sono consapevoli di essere uomini e donne peccatori come tutti, bisognosi continuamente di salvezza e di perdono. E sanno che tutti i credenti – anche chi non ha loro vocazione come le persone sposate e impegnate nel mondo – sono comunque chiamati a vivere gli stessi valori evangelici, anche grazie alla loro testimonianza.

A loro volta, i consacrati e le consacrate trovano nelle altre vocazioni un sostegno e una testimonianza, perché nella Chiesa nessuno è più bravo o più perfetto degli altri, ma tutti insieme, grazie alo Spirito Santo, si è parte dell’unico Corpo di Cristo, dell’unica Sposa di Cristo che è la Chiesa.

Che l’intercessione di Simeone e di Anna, di Maria e di Giuseppe ci aiuti tutti, consacrati e non, a essere uomini e donne guidati dallo Spirito e perciò pieni di gioia e di speranza.

† Vescovo Carlo