La sera del Giovedì Santo, 17 aprile 2025, l’arcivescovo Carlo ha presieduto in cattedrale la messa in Cena Domini.
“Durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di Simone Iscariota, di tradirlo, Gesù…” e il brano prosegue, come abbiamo appena ascoltato, con l’episodio della lavanda dei piedi.
Perché l’evangelista ricorda il tradimento di Giuda come contesto in cui avviene il gesto di Gesù? Ovviamente non lo fa per caso o semplicemente per collocare temporalmente l’evento dell’ultima cena. No, c’è un collegamento voluto tra il tradimento di Giuda e l’agire di Gesù quella sera.
Per comprenderlo è utile partire da una domanda che spesso ha interessato gli studiosi dei Vangeli, ma anche, e forse di più, poeti, letterati, saggisti: perché Giuda ha tradito Gesù? Giuda, lo sappiamo bene, era uno dei Dodici, uno degli apostoli, i discepoli più vicini a Gesù, quelli che negli ultimi anni della sua vita ne avevano condiviso quotidianamente la missione itinerante. Giuda, come pure gli altri undici, non si era autoproposto come apostolo, ma era stato scelto direttamente da Gesù. Gesù sapeva bene quello che faceva, tra l’altro, stando all’evangelista Luca, sceglie i dodici non all’improvviso, ma dopo una notte di preghiera. Giuda quindi non è uno che, potremmo dire, si era infilato per caso, quasi clandestinamente, nel gruppetto degli apostoli. Invece erastato scelto da Gesù e ha vissuto per alcuni anni con lui, ascoltando la sua parola, assistendo ai suoi miracoli, venendo inviato come gli altri in missione.
Perché allora Giuda tradisce il suo Maestro? I Vangeli ricordano unanimemente i famosi 30 denari: per soldi quindi? Per altro un po’ pochi: visto che un denaro era la paga di un giorno e quindi 30 denari corrispondevano all’incirca a uno stipendio mensile. Valeva così poco Gesù?
Ecco allora che qualcuno suppone che Giuda abbia consegnato Gesù ai suoi avversari per motivi più alti. Per esempio, perché deluso da lui, visto che non si comportava in quanto messia secondo le attese: ci si aspettava un messia capace di ripristinare il regno di Davide e di cacciare i romani dalla Palestina e invece Gesù era entrato a Gerusalemme su un asinello con i suoi discepoli e non in groppa a un destriero e a capo di una schiera di rivoluzionari.
Altri, sulla stessa linea, ipotizzano che Giuda volesse in qualche modo forzare Gesù a manifestare la sua potenza di messia, immaginando una sua reazione decisa al proprio arresto in modo da rivelarsi per quello che era.
C’è ancora chi congettura una crisi di fede di Giuda, nata tempo prima nel momento in cui tanta gente aveva abbandonato Gesù, come ricorda il Vangelo di Giovanni, dopo il discorso sul pane di vita.
Qualcuno poi pensa che l’apostolo si fosse sentito offeso da Gesù quando egli aveva contraddetto la protesta di Giuda contro Maria, sorella di Lazzaro, colpevole, a suo parere, di aver buttato via un profumo prezioso spargendolo sui piedi di Gesù, invece di venderlo e darne il ricavato ai poveri.
Sempre riferendosi allo stesso episodio raccontato dall’evangelista Giovanni, che nota in quell’occasione che a Giuda non interessavano i poveri, ma i soldi, dal momento che teneva la cassa del gruppo e ne approfittava per prendere il denaro per sé, c’è chi suppone un’ingordigia di Giuda nei confronti dei soldi: piuttosto di niente anche 30 denari fanno comodo…
Si possono fare tante ipotesi, ma il fatto stesso che siano molte manifesta che non sono convincenti. In realtà il gravissimo gesto di Giuda, che Gesù stesso nei Vangeli stigmatizza con parole molto dure, ha la stessa motivazione del male. Cioè nessuna. In che senso? Nel senso che il male resta un mistero. Certo può avere anche delle motivazioni secondarie, ma alla fine è qualcosa che non si spiega, che è gratuito. Lo si capisce molto bene quando la cronaca e anche la storia ci mettono davanti fatti violenti di pura crudeltà. Ammesso che si decida di uccidere qualcuno, perché farlo soffrire a lungo e prolungare la sua agonia? Perché prendersela violentemente con i bambini o con la popolazione inerme, quando non se ne ricava alcuna utilità pratica anche dal punto di vista della strategia di una guerra? E i perché sulla incomprensibilità del male potrebbero moltiplicarsi… Incomprensibilità del male, ma potremmo dire anche la gratuità del male, dove per gratuità si deve intendere che non ha alcun ritorno: si fa il male per il male, senza alcun vantaggio.
Se è questa la realtà profonda del male, si può intuire che assomiglia alla realtà profonda del bene, dell’amore. Perché l’amore autentico è per essenza gratuito, disinteressato: se amo qualcuno perché ci guadagno, non lo amo davvero, ma lo uso per me. Esiste quindi una somiglianza tra il male e il bene, tra l’odio e l’amore: appunto la gratuità. Potremmo dire persino che l’odio è caratterizzato dallo stesso disinteresse dell’amore, ma per una finalità contraria. In un certo senso l’odio è l’amore capovolto.
Giuda tradisce Gesù e non si capisce il perché se non per il fatto di aver aperto il cuore al male e a chi lo impersona, cioè il diavolo. Gesù sta per donare la sua vita sulla croce e non si capisce il perché se non per il fatto che ha invece il cuore pieno di amore, Lui che è il Figlio di Dio e Dio è amore. Il male in Giuda diventerà il gesto concreto del bacio a Gesù nell’orto degli ulivi: un segno di amore, pervertito in un segno di tradimento. L’amore in Gesù diventa, prima ancora del dono di sé sulla croce, l’umile gesto della lavanda dei piedi durante l’ultima cena, che stasera ricordiamo in modo particolare.
Un gesto che nel Vangelo di Giovanni prende persino il posto dell’Eucaristia. Il quarto Vangelo non racconta, infatti, nell’ultima cena il dono del pane e del vino che Gesù offre come suo corpo e suo sangue. Ma presenta la lavanda dei piedi. Quel gesto esprime, però, con autentica semplicità il senso dell’Eucaristia che è l’amore. Un amore concreto, che si fa servizio.
Davanti a quello che stiamo contemplando stasera, sta a noi ancora una volta decidere come di fronte a un bivio. Dobbiamo scegliere comunque la gratuità: ma quella del male, dell’odio, della vendetta, dell’egoismo? Oppure quella del bene, dell’amore, del servizio? Stiamo celebrando l’Eucaristia, il sacramento dell’amore gratuito e disinteressato di Gesù che si sacrifica per noi: dovrebbe allora essere chiara qual è la nostra scelta, quella dell’amore e del servizio. Che il Signore la sostenga sempre, soprattutto nei momenti in cui siamo tentati – e capita a tutti… – di cedere alla logica del male. Questa è la tentazione da cui chiediamo ogni giorno nel Padre nostro di essere liberati: “non abbandonarci alla tentazione dell’odio, liberaci dal male, donaci la gioia e la forza dell’amore”. In questa notte del tradimento e insieme dell’amore che serve, vogliamo chiederlo con particolare forza e fiducia.
+ vescovo Carlo