a sera del Venerdì Santo 18 aprile 2025 l’arcivescovo Carlo ha presieduto in Cattedrale l’azione liturgica dell’adorazione della croce.
Vorrei richiamare la vostra attenzione su un’espressione che usiamo continuamente nella preghiera liturgica. Si tratta della conclusione delle orazioni. Il sacerdote termina la preghiera dicendo: “Per Cristo, nostro Signore”. E viene automatico rispondere: “Amen”. Qualche volta la formula è più elaborata: “Per il nostro Signore Gesù Cristo” oppure, se c’è prima un accenno a Gesù: “Egli è Dio, e vive e regna con te nell’unità dello Spirito per tutti i secoli dei secoli”. In ogni caso la conclusione della preghiera, che è sempre rivolta a Dio Padre, è riferita a Gesù.
Che cosa significa quel “per Cristo nostro Signore”, che per altro verrà ripetuto 10 volte al termine della solenne preghiera universale per le più diverse intenzioni che tra poco faremo?Penso che il momento migliore per rispondere a questa domanda sia proprio il venerdì santo. “Per Cristo nostro Signore” significa, infatti, che Gesù, il Figlio di Dio divenuto uomo, è il nostro intercessore davanti al Padre. Lo è non in astratto, ma perché con la sua croce, che oggi contempliamo, ha come abbracciato tutte le sofferenze, i dolori, le grida, ma anche le attese, le speranze, i desideri degli uomini e delle donne di ogni tempo.
La croce può essere vista come il grande abbraccio dell’umanità da parte di Dio. Un’umanità perduta e smarrita, ma amata da Dio. Un amore, il suo, che giunge fino a dare la sua vita per noi. L’abbraccio di Dio, che si è manifestato nella croce, non si è richiuso dopo la morte di Gesù sul calvario, ma è per sempre. La croce non è stato un episodio momentaneo, doloroso finché si vuole ma passeggero, dell’esistenza di Gesù, ma è ciò che lo caratterizza. Lo affermano con impressionante chiarezza i Vangeli della risurrezione: il Risorto appare con le ferite evidenti delle mani, dei piedi, del costato. Non è un altro rispetto all’uomo inchiodato sulla croce e non è neppure un Gesù tornato ad avere un corpo integro come prima della passione, ma è il Crocifisso risorto.
L’abbraccio della croce non si è più chiuso, le braccia di Gesù restano per sempre aperte. Questo, tra l’altro, è il motivo per cui proprio nella celebrazione del venerdì santo è inserita la più solenne e ampia preghiera universale della Chiesa, che va ben al di là delle invocazioni delle preghiere dei fedeli che usiamo durante la celebrazione delle Messe. Pregheremo tra poco per la Chiesa, il papa, i fedeli, eccetera fino a pregare per coloro che non credono in Dio e per finire con un’accorata invocazione per coloro che sono nella prova. Tutte preghiere e invocazioni che si concludono “per Cristo nostro Signore”, intenzioni di preghiera cioè che noi poniamo tra le braccia del Crocifisso.
Quello che facciamo oggi, lo ripetiamo in realtà, come già ricordavo, in ogni preghiera liturgica. Il semplice suggerimento che allora vorrei dare in questo venerdì santo è di prestare attenzione a questo affidare ogni nostra preghiera, sia quella liturgica – e così già prevede la Chiesa – sia anche la nostra preghiera personale, all’intercessione di Cristo, il Figlio di Dio che si è fatto uomo e che ha attraversato tutte le nostre prove.
È esattamente quanto ci ha ricordato la seconda lettura, tratta dalla lettera agli Ebrei, che ci presenta Gesù come il sommo sacerdote, che intercede per noi. Riascoltiamo alcuni passaggi:«non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia prendere parte alle nostre debolezze: egli stesso è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato». E più avanti: «Cristo, infatti, nei giorni della sua vita terrena, offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito. Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono». Forti grida e lacrime: ciò che è successo nel Getsemani nel momento dell’agonia. Proprio perché Gesù è così solidale con noi, allora – afferma sempre la lettera agli Ebrei – dobbiamo accostarci «con piena fiducia al trono della grazia per ricevere misericordia e trovare grazia, così da essere aiutati al momento opportuno».
Diamo allora valore con consapevolezza al nostro “amen” con il quale ci affidiamo all’intercessione di Gesù al termine di ogni preghiera. Si tratta del modo semplice, ma autentico con cui esprimiamo la nostra fede: “sì, Signore, crediamo che tu sei Colui che come Figlio divenuto uomo presenti le nostre preghiere al Padre; ci crediamo perché tu hai vissuto la nostra stessa vita, le nostre stesse prove e hai abbracciato l’intera umanità dalla tua croce, che ora stiamo per adorare, pieni di commozione e di riconoscenza. Amen”.
+ vescovo Carlo