Gioia, speranza, amore e dono dello Spirito Santo
Omelia nella VI^ Domenica di Pasqua 2020
17-05-2020

GIOIA, SPERANZA, AMORE E DONO DELLO SPIRITO SANTO

Domenica 17 maggio 2020, VI^ domenica di Pasqua, l’arcivescovo Carlo ha presieduto la messa a porte chiuse in cattedrale. La liturgia è stata trasmessa in diretta streaming sui canali social della diocesi. Pubblichiamo di seguito la sua omelia.

Penso non sia difficile quest’oggi indicare con tre parole il contenuto delle letture di questa sesta domenica di Pasqua. Le parole sono: gioia, speranza, amore. In realtà c’è una quarta parola che le collega tra di loro, come vedremo. Più precisamente non si tratta di una parola ma di una Persona divina, cioè lo Spirito Santo.

Anzitutto la “gioia”. Nella prima lettura che racconta l’evangelizzazione di una città della Samaria (una città quindi straniera per i giudei di Gerusalemme), c’è un inciso che parla di gioia: «E vi fu grande gioia in quella città». Sembra un particolare secondario rispetto all’iniziativa evangelizzatrice di Filippo e poi all’arrivo in città degli apostoli per impetrare il dono dello Spirito Santo per i nuovi cristiani. Ma per l’evangelista Luca, autore anche del libro degli Atti degli Apostoli oltre che del Vangelo che porta il suo nome, la gioia non è un elemento di poco conto. Nel suo Vangelo viene citata ben 13 volte, un Vangelo che inizia con la gioia del Natale e si conclude con una frase che sottolinea la gioia degli apostoli immediatamente dopo l’ascensione: «poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio». La gioia, quella autentica, profonda, che è presente nel cuore anche dentro le vicende più dolorose e difficili, è segno della presenza e dell’opera di Dio. Sant’Ignazio di Loyola la utilizza come criterio fondamentale nelle sue regole sul discernimento spirituale. Ricordo il suggerimento di un padre gesuita di utilizzare ogni sera per l’esame di coscienza la verifica della presenza o no nei vari momenti della giornata della gioia.

La seconda parola è “speranza”. Ne parla Pietro nella seconda lettura in un contesto dove ci aspetteremmo il termine fede al posto di speranza. Dice infatti l’apostolo rivolgendosi ai cristiani: «Carissimi, adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi». Viene spontaneo pensare che dovremmo essere in grado di illustrare la nostra fede, il nostro credo. E spesso mi è capitato di sentire molti cristiani che si lamentano di non essere in grado di spiegare le diverse verità della nostra fede, magari quando provocati o interpellati da non credenti o da adepti di varie religioni. Ma Pietro non parla di fede, bensì di speranza non perché la fede non sia importante, ma ciò di cui le persone hanno assolutamente bisogno – e lo sappiamo bene in questo tempo – è proprio di speranza. Speranza di un senso, di una realizzazione, di una felicità, di una salvezza. Una speranza affidabile e non aleatoria e per questo inevitabilmente fondata su una fede credibile. Una speranza per il cristiano basata sulla Pasqua, sulla morte e risurrezione di Gesù che attesta l’amore del Padre, che ci assicura – come afferma Gesù nel Vangelo – che non siamo orfani, non siamo abbandonati, che vivremo per sempre. Le persone che incontriamo chiedono a noi cristiani più che verità di fede, una speranza vera. E dobbiamo essere in grado di testimoniarla come un dono che ci è dato, «con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza», come afferma l’apostolo.

La terza parola è “amore” ed è ben sottolineata – come già ricordato – nel brano di Vangelo, tratto anche questa domenica dai discorsi di addio dell’ultima cena. Un amore che viene da Dio e che è chiesto anche a noi. Un amore, il nostro, che deve essere molto concreto e comporta l’accoglienza dei comandamenti. Comandamenti che non consistono in chissà quali ordini da eseguire: i comandamenti che ci dà Gesù non sono che il duplice comandamento dell’amore verso Dio e verso il prossimo. Sono quindi amore. Un amore che ci inserisce nella stessa vita trinitaria: «In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi». Perché, dice Gesù: «Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui».

Gioia, speranza, amore sono doni dello Spirito Santo. Nella prima lettura, tratta dagli Atti degli Apostoli, questo non è specificato direttamente circa la gioia. L’apostolo Paolo, però, in una delle sue lettere, quella ai Galati, con molta chiarezza afferma che la gioia è frutto dello Spirito. E lo stesso Luca, l’autore degli Atti, ricorda nel cap. 10 del suo Vangelo l’esultanza proprio nello Spirito Santo dello stesso Gesù quando vede tornare pieni di gioia i 72 discepoli dalla missione a cui li aveva inviati.

Nello stesso passo della lettera ai Galati Paolo elenca come primo frutto dello Spirito Santo l’amore. Lo Spirito infatti è l’amore che unisce il Padre e il Figlio: attraverso di Lui anche noi entriamo nella stessa dinamica d’amore della Trinità.

E la speranza? Che rapporto ha con lo Spirito Santo? Papa Francesco, alcuni anni fa (il 31 maggio 2017), ha tenuto una profonda e illuminante catechesi proprio sul rapporto tra speranza e Spirito Santo. In essa ricorda diversi passi del Nuovo Testamento che parlano di questa relazione. Ne cito solo due. Anzitutto ciò che Paolo afferma nella lettera ai Romani: «Il Dio della speranza vi riempia, nel credere, di ogni gioia e pace, perché abbondiate nella speranza per la virtù dello Spirito Santo» (Rm 15,13). Notate il collegamento tra credere, gioia, pace e speranza. Ed è appunto lo Spirito Santo che ci fa abbondare di speranza. Un secondo passo, citato da papa Francesco sempre dalla lettera ai Romani, afferma: «La speranza non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5,5). E’ l’amore di Dio che è stato riversato nei nostri cuori, attraverso lo Spirito, ciò che rende presente in noi una speranza che non delude.

Ma da quella catechesi del papa vorrei trarre soprattutto un’immagine: quella della speranza come vela che ci fa andare avanti, gonfia del soffio dello Spirito. Afferma papa Francesco: «La speranza è davvero come una vela; essa raccoglie il vento dello Spirito Santo e lo trasforma in forza motrice che spinge la barca, a seconda dei casi, al largo o a riva». Abbiamo cominciato questo periodo di grave crisi epidemica riferendoci all’episodio evangelico, ricordato da papa Francesco in una memorabile sera di pioggia in una piazza San Pietro deserta, della barca sbattuta violentemente dalla tempesta. Ora che qualche possibilità positiva sembra aprirsi, anche per la vita delle comunità cristiane, forse un’immagine che ci può aiutare è proprio quella di una barca non più sbattuta dalla tempesta, ma che riprende a navigare con la vela della speranza gonfiata dal soffio dello Spirito.

Una speranza che mi auguro sia nel cuore di tutti e di ciascuno, insieme alla gioia e all’amore, mentre ci prepariamo tra due settimane alla grande festa dello Spirito Santo, la festa di Pentecoste.

+ vescovo Carlo