Nella mattinata di mercoledì 25 dicembre 2024, mons. Redaelli ha presieduto la Messa del giorno di Natale in S. Ignazio.
Chi ha a che fare con i bambini – che siano figli, nipoti o pronipoti non importa… – sa che passano tutti dall’età dei “perché”, verso i 3-4 anni a seconda del bambino. Un momento simpatico per i genitori e i nonni, ma anche qualche volta faticoso, soprattutto con le bambine e i bambini di oggi molto più svegli, mi sembra, di quelli di una volta. In ogni caso i bambini non smettono un secondo di chiedere “perché”, non si accontentano della prima risposta, anzi spesso ripartono dalla risposta per formulare una nuova domanda, come per risalire all’indietro alla risposta fondamentale.
Poi l’età dei “perché” passa: pare che i ragazzi siano ormai soddisfatti o più probabilmente – penso agli adolescenti – si tengono dentro i loro “perché”, anche per il motivo semplice e doloroso di trovare difficilmente un adulto che li ascolti. Comunque quando si diventa adulti sembra che non sia più possibile farsi domande che comincino con un “perché” e abbiano una risposta precisa. Si ha infatti la percezione che il mondo è molto complicato – e in effetti lo è – e che sia difficile anche formulare le domande giuste. Si ha l’impressione che ci sia solo la possibilità di fare analisi: siamo nel tempo degli “analisti”, esperti capaci appunto di analisi sempre più complesse circa l’economia, la politica, la scienza, l’ambiente, la cultura, la medicina, ecc. Difficilmente però si giunge a delineare le cause delle situazioni esaminate e ancora più difficilmente si riesce a offrire delle soluzioni efficaci.
Dobbiamo riconoscere che anche circa la fede o, almeno, la religiosità, non mancano ricerche e analisi sul perché per esempio la gente dopo il Covid frequenta meno le chiese o su quale sia oggi la posizione dei giovani verso la fede. Ma raramente si scava più a fondo e ancor più eccezionalmente si arriva a proporre qualche possibile via di soluzione. Davanti a questa situazione forse non sarebbe male tornare ai “perché” dei bambini e non fermarsi nella concatenazione di domande e di risposte finché non si arriva all’inizio. Domandarsi per esempio perché ci sono le guerre, ma anche perché la gente non smette di sperare nella pace. Chiedersi perché c’è tanta cattiveria, ma anche perché ci sono ancora persone che con generosità aiutano gli altri. Interrogarsi sul perché ci sono tante fragilità affettive, ma anche perché nonostante tutto ci sono ancora giovani che si sposano e credono nell’amore. E così via.
O forse anche farsi domande più personali, magari spinti dall’età che avanza. Ho letto con interesse l’altro giorno su un quotidiano l’intervista a un noto attore e regista. Gli è stato chiesto: “La fede aumenta con l’età?”. Ha risposto: «Quando cominci a essere bello maturo e senti i primi acciacchi, qualche amico l’hai perso o ha qualche malanno, ecco, piano piano ‘sta bomba della fede esplode, la senti sempre più vicina. Cominci ad avere paura e ti interroghi sul senso della vita: cosa succede dopo? Anche il non credente viene spinto verso riflessioni spirituali e prima o poi in chiesa ci entri». Di rimando l’intervistatore gli ha domandato: “Dunque si finisce a credere per paura di morire…”. «Sì, cominci a dialogare, cosa che non facevi prima. Se hai la forza di iniziare una preghiera, ce ne sarà una seconda e poi una terza. La paura della morte è terribile. Ti chiedi: ma io sono nato e ho vissuto per quale motivo? Sì, hai creato degli eredi, ma perché è avvenuto tutto questo? E’ la paura dell’andare via e il non sapere cosa succede…» (intervista a Carlo Verdone, Corriere della sera, 21 dicembre 2024). Interessante: forse c’è un’età dei “perché” anche quando si diventa anziani e non solo da bambini…
In ogni caso sono tanti “perché” che chiedono di arrivare al principio: non ci si può fermare a metà strada. E il principio esiste, lo abbiamo appena ascoltato dal Vangelo: «In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta». In principio c’è il Verbo di Dio, la Parola di Dio, il Figlio di Dio: in Lui, che è vita e luce, tutto ha trovato e trova esistenza, tutto trova salvezza, nonostante le tenebre. Lui è la rivelazione del Padre, Colui mediante il quale Dio ha creato il mondo, Lui è la Parola definitiva come ci ha ricordato la lettera agli Ebrei: «Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha stabilito erede di tutte le cose e mediante il quale ha fatto anche il mondo».
Proprio dal momento che c’è questo principio, possiamo avere il coraggio di porci le domande essenziali senza aver paura che restino senza risposta (o forse per questo non ce le facciamo…): perché esiste il mondo? perché sono al mondo? la mia vita ha un senso? per cosa vale la pena vivere? vengo dal nulla e sono destinato al nulla? alla fine vincerà l’amore o l’odio?
Quel principio di cui parla l’inizio del Vangelo di Giovanni non è però una realtà astratta e neppure un Verbo di Dio lontano e inconoscibile, perché lo stesso evangelista ci ricorda che «il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi». Il Verbo di Dio è divenuto uomo; è diventato bambino ed è cresciuto come noi (anche Gesù Bambino avrà tempestato di “perché” Maria e Giuseppe…); è vissuto come noi in una realtà intessuta di lavoro, di relazioni, di feste e di lutti, esattamente come la nostra; ci ha parlato di Dio con parole di uomo; ha donato per noi la sua vita quando è stato inchiodato sulla croce; è risorto da morte aprendoci alla speranza; ci ha donato lo Spirito affinché avessimo la vita; tornerà alla fine dei giorni per condurci nel Regno di gioia di Dio.
Il Natale ci rivela tutto questo. Non è solo una bella festa da vivere in famiglia, un momento di sosta nella nostra vita frenetica, uno scambio di auguri e di doni. Il Natale va al principio. Non ci imbroglia, non lascia senza risposta i nostri “perché” più impegnativi. Ma anche ci interpella nella nostra libertà e responsabilità: il Verbo di Dio può essere rifiutato oppure accolto. Sta a noi deciderlo.Afferma il Vangelo: «A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati». E ancora: «Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia».
Che questo Natale sia allora per tutti noi la risposta vera ai nostri “perché”. Una risposta che ci impegna nella nostra libertà, ma ci riempie di gioia e di pace.